Farsetti-Trevisin, un caso intrecciato con la “pista bulgara”
Ascolta la versione audio dell'articolo
L’arresto pretestuoso di due italiani, processati per “spionaggio” a Sofia nel 1982: forse una rappresaglia per il coinvolgimento dei servizi bulgari nelle indagini sull’attentato al Papa.
Le dichiarazioni del giudice Ilario Martella dinanzi alla Commissione parlamentare (e bilaterale) d’inchiesta rese il 27 giugno, secondo cui Emanuela Orlandi e Mirella Gregori, «furono uccise dai servizi segreti dell’Est, in nome della ragion di Stato», dovrebbero aver posto fine alle più svariate supposizioni sulla loro scomparsa a Roma, quasi contemporanea, nel maggio 1983, ma hanno clamorosamente riaperto l’ attenzione sull’attentato in piazza San Pietro il 13 maggio 1981 alla vita di papa Giovanni Paolo II da parte del turco Alì Agca, con il coinvolgimento dei servizi segreti bulgari.
Non potrà restare così “orfano”, ovvero senza motivazioni definitive, il processo giudiziario intentato a Sofia nell’estate del 1982 ed apparso fin dalle prime battute decisamente infondato, nei confronti di una coppia di turisti italiani accusati di spionaggio militare: Paolo Farsetti, 36 anni, di Arezzo, e Gabriella Trevisin, 27 anni, di Roncade. La Magistratura italiana indagava apertamente sulla “ pista bulgara” per l’attentato al Papa. Ed io che da un anno appena ero a Belgrado come corrispondente dell’ANSA ne fui subito e quasi completamente coinvolto. Al processo sono dedicati tanti miei servizi di corrispondente da Sofia.
Farsetti e la Trevisin non erano sposati, lui era impiegato alla “Lebole” di Arezzo e ne era sindacalista UIL, si dichiarava socialista iscritto al PSI; si era proclamato più volte innocente (“non sono una spia”!) e non era stato mai creduto dai magistrati della Bulgaria a cui aveva parlato di un viaggio di semplice vacanza estiva, ma che solo per il fatto che egli aveva scattato delle foto presso la frontiera con la Turchia ad una rete metallica militare, lo poterono incriminare di spionaggio. In effetti aveva subito tutte le “pressioni”, comprese le più infami, della polizia politica di un regime dittatoriale comunista per riconoscere le sue colpe. Come la Trevisin che si era però dissociata da lui, sino a dichiararsi colpevole e ad invocare clemenza in una dichiarazione verbalizzata ed esibita al presidente del processo Michail Menev.
La riprova che si trattasse di una vicenda accusatoria “inventata” era apparsa, come già detto, sin dall’arresto della coppia: un arresto che sembrava pretestuoso, fino a prefigurare una “rappresaglia” al coinvolgimento nelle indagini sull’attentato al Papa dei Servizi segreti bulgari e in particolare di Sergej Antonov, capo della sede romana della compagnia Balkan Air. La riprova si era avuta quando il Pubblico Ministero Atanas Atanasov, per “punire senza crudeltà e senza astratti liberalismi” aveva chiesto per il Farsetti la metà della pena prevista – si erano quindi calcolati 15 anni di carcere – e 5 anni per la Trevisin: una lieve condanna, questa, perché si era mostrato comprensivo della figura e delle dichiarazioni dell’ imputata e convinto assertore del proverbio, che aveva citato: “Chi si pente è quasi innocente”.
Nessun confronto fra i due imputati. La sentenza del 14 aprile 1983 disponeva la condanna di Paolo a 10 anni e 6 mesi e della sua compagna a 3 anni. Confermata in pieno nel processo di appello anche se in esso la Trevisin affermava che in occasione dei primi interrogatori di polizia “non era autonoma, perché vittima dei sonniferi”. E Paolo, non si sa se consigliato, non rinnovava la sua dichiarazione di innocenza citando, come avrebbe fatto in altre occasioni, un fatto incontrovertibile: le foto che lo avevano accusato erano false. Non le aveva scattate lui, e la prova risiedeva nel fatto che tutte quelle vere ritraevano Gabriella, che sempre indossava diversi abiti!
L’allora ambasciatore italiano Giovanni Battistini, e soprattutto il consigliere Fabrizio De Agostini che seguì da vicino la vicenda e il processo, anche durante il lungo periodo in cui fu un brillante “incaricato di affari”, potranno dire qualcosa sulle trattative diplomatiche che portarono nel maggio 1984 alla scarcerazione e al rimpatrio della Trevisin e nel settembre dello stesso anno allo sconto di pena, alla scarcerazione e al rimpatrio del Farsetti. Eventi che certo apparvero collegati alla conclusione in Italia delle indagini giudiziarie sulla “pista bulgara” e al rimpatrio dei suoi cittadini, in primis dell’Antonov.
Resta un fatto grave, rivelato da Spazio 70 e del quale non sapevo, avvenuto sette anni dopo, quando si era forse dissolto il ricordo dell’accoglienza riservata ad Arezzo a Paolo Farsetti, in particolare quella ufficiale tributatagli dal Sindaco. Mi riferisco alla notizia della sua morte, nel maggio 1991 in un tratto, forse italiano, ma imprecisato come la data, della lunghissima E45. Alla fine del resoconto della vicenda su Internet, viene precisato che Farsetti fu investito da un autocarro che si abbattè sulla sua Alfa Romeo 164, ferma sulla corsia di emergenza.
Sono state forse fatte delle indagini su questo che appare come un casuale “incidente stradale” ma che potrebbe riservare delle connessioni e possibili mandanti. Dalla rievocazione della sua avventura bulgara emerge una dichiarazione profetica fatta da Paolo Farsetti: «Questa storia non è finita, magari inizia adesso». Sarà la Commissione parlamentare a far luce completa? E non solo su questi interrogativi, anche sui compilatori dei “Komunicati”, almeno cinque, tutti recapitati alla redazione dell’ANSA di Milano (il primo il 4 agosto 1983, l’ultimo il 22 novembre 1985) del sedicente “Fronte di Liberazione Turco-Anticristiano Turkesh”. “Polpette avvelenate”, come sono state definite. Ma da chi?
«Ecco come ho deviato la pallottola contro Giovanni Paolo II»
La relazione di un magistrato, che per la prima volta ha indagato sull’ipotesi, afferma che è plausibile l’intervento soprannaturale di suor Rita Montella. La monaca agostiniana affermò di avere deviato, in bilocazione e insieme alla Madonna, il braccio di Ali Agca mentre sparava per uccidere Giovanni Paolo II il 13 maggio di 40 anni fa. La Bussola ha letto in anteprima l’eccezionale documento.
- L'AVE MARIA DEI DOLORI, di Aurelio Porfiri
Quella pista che parte da Gelli e arriva fino ad Ali Agca
Il 17 marzo 1981 furono trovati nelle proprietà di Gelli gli elenchi degli iscritti alla P2. Il l 13 maggio, dunque neanche due mesi dopo, Alì Agca sparò a papa Wojtyla, un attentato che non poté essere previsto perché la nostra intelligence era tutta in quegli elenchi di piduisti e venne decapitata. Solo una coincidenza?