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IL DIBATTITO

Fare una legge sulle lobby per sconfiggere le clientele

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Nelle semplificazioni giornalistiche le lobby sono considerate gruppi di difesa di torbidi, oscuri e a volte anche illeciti interessi. Invece al nostro Paese manca proprio una legge che regolamenti l'attività di lobbying per evitare la vera piaga italiana, quella delle clientele. 

Politica 15_01_2024

La cultura della rappresentanza trasparente degli interessi è ancora molto evanescente nel nostro Paese. Ce ne accorgiamo ciclicamente ascoltando le esternazioni di alcuni esponenti delle istituzioni e leggendo le prime pagine di molti quotidiani. In pochi hanno rilevato che nella conferenza stampa di fine anno (che in realtà si è trasformata in una conferenza di inizio anno, essendosi svolta il 4 gennaio) Giorgia Meloni, ribadendo di non essere ricattabile, ha accomunato in una critica feroce “affaristi, lobbisti, faccendieri”, come se fossero tutti la stessa cosa. Comprensibilmente alcune associazioni di comunicatori, alle quali aderiscono importanti e stimati lobbisti, hanno espresso il loro disappunto in una nota ufficiale, dichiarando di non riconoscersi in alcun modo nelle affermazioni del premier.

Come detto, anche i media danno fiato alle approssimazioni sulle attività di lobbying, accreditandone un’accezione deteriore. Nelle semplificazioni giornalistiche le lobby sono considerate gruppi di difesa di torbidi, oscuri e a volte anche illeciti interessi. Sono frequenti espressioni del tipo “la lobby dei commercianti”, “la lobby dei tassisti”, “la lobby dei costruttori”, e così via, come se si trattasse di bande organizzate che tramano alle spalle dei cittadini.

In queste condizioni non c’è da stupirsi se in Italia una legge sulle attività di lobbying non sia mai stata fatta, anche se se ne continua a parlare da quasi cinquant’anni. Nel 2026 compirà 50 anni il primo disegno di legge sulle attività di rappresentanza trasparente degli interessi presentato alla Camera. Da allora sono stati presentati oltre cento progetti simili, ma sempre senza esito. Progressivamente è calato il silenzio sul loro iter senza che qualche forza politica si impegnasse più di tanto per raggiungere l’obiettivo.

Eppure in altri Stati normative in quell’ambito importante delle relazioni istituzionali esistono e vengono fatte rispettare, con obbligo di registrazione per chi svolge quella professione presso i decisori istituzionali (in particolare ministri e parlamentari) in registri costantemente aggiornati, con l’indicazione delle attività svolte e delle risorse finanziarie e umane ad esse dedicate.

Anche alla luce degli scandali che ciclicamente scoppiano nel nostro Paese e che spesso fanno dubitare dell’affidabilità della classe dirigente, sarebbe davvero auspicabile che il 2024 fosse l’anno giusto per l’emanazione di una legge sulle lobby, che in Italia continuano a muoversi in un far west. Ad oggi manca infatti una regolamentazione delle attività di lobbying che contribuisca a definire il perimetro entro cui rientra la legittima e necessaria attività di rappresentanza di interessi. Attualmente chi difende presso le istituzioni le ragioni di categorie, imprese, realtà organizzate sul territorio può muoversi con disinvoltura e attraverso qualsiasi canale senza dover dar conto a nessuno di quello che fa.

Non c’è dunque trasparenza nei rapporti tra lobbisti e decisori pubblici e i provvedimenti presi da questi ultimi sono spesso figli di ingerenze indebite da parte di gruppi di pressione più forti di altri anziché di sintesi inclusive dei vari interessi in gioco, come dovrebbe essere in una democrazia matura. Il risultato finale è che spesso i cittadini non comprendono le finalità delle scelte legislative, nutrono il sospetto che esse rispecchino gli interessi di pochi e si allontanano dalle istituzioni considerandole non in grado di garantire il benessere collettivo. In altri termini, quando ci si lamenta della crescente disaffezione alla politica e dell’erosione della fiducia tra governanti e governati, bisognerebbe pensare che l’opacità dei processi decisionali incide su tutto questo e che l’introduzione di meccanismi di trasparenza e di coinvolgimento di tutti gli stakeholder nell’assunzione di decisioni pubbliche sarebbe fondamentale.

Per sanare questa situazione, che rischia di acuire la frattura tra governanti e governati, è necessario intervenire con una legge che renda pienamente trasparenti i processi decisionali, affinché tutti i portatori di interessi abbiano la possibilità di far conoscere il loro punto di vista alle istituzioni e per consentire all’opinione pubblica di valutare chi effettivamente ha contributo a determinare le scelte compiute dai decisori pubblici.

Finora è mancata la volontà politica di approvare una normativa ad hoc sul tema. All’epoca del governo Draghi sembrava si fosse aperto uno spiraglio. Nel 2022, infatti, è arrivato dalla Camera un primo sì a un nuovo testo sulle lobby, ma la chiusura anticipata della legislatura ha impedito la sua discussione in Senato. Alla Commissione Affari Costituzionali della Camera è partita nel marzo scorso un’indagine conoscitiva sulla disciplina delle attività dei gruppi di pressione, ma siamo ancora alla fase dell’approfondimento mediante audizioni. Eppure non dovrebbero esserci più dubbi sulla necessità di mettere ordine in questo ambito così importante delle relazioni istituzionali.

Nel resto del mondo sono decine e decine gli Stati che da tempo si sono dotati di robuste regolamentazioni in tema di attività di lobbying. Nel Regno Unito funziona un registro pubblico dei gruppi di interesse che impone una chiara dichiarazione dell'identità dei soggetti rappresentati e delle risorse impiegate nelle attività di lobbying. In Germania è in vigore da oltre 50 anni una legge che obbliga deputati, ministri e lobbisti alla piena trasparenza delle loro riunioni a margine delle sedute parlamentari. Da oltre dieci anni in Francia l’interlocuzione tra portatori di interessi e rappresentanti delle istituzioni avviene alla luce del sole, perché i lobbisti rispettano regole di condotta molto vincolanti in materia di incontri istituzionali.

In Italia esiste solo alla Camera (non al Senato) un registro delle attività di lobbying, scarsamente alimentato e non aggiornato poiché gran parte degli incontri avvengono fuori dai palazzi del potere e senza alcuna rendicontazione.

Tra le riforme necessarie per riequilibrare i rapporti tra poteri e potenziare la fiducia dei cittadini nelle istituzioni quella della regolamentazione delle lobby dovrebbe essere ai primi posti. Non è una riforma che porta voti e quindi nessun partito se ne fa portavoce, ma è una riforma che darebbe una salutare boccata d’ossigeno alla nostra sofferente democrazia.