Fare memoria della (grande) tradizione italiana
Ciò che contraddistingue l’anima di un popolo è la sua tradizione, la sua cultura. Noi italiani siamo i depositari di questa memoria. E solo in essa possono risiedere la creatività e la giovinezza di un popolo, come avevano capito Dante, Foscolo, Pavese e tanti altri autori, anche stranieri, da Dostoevskij a Solov’ev. Perciò D’Azeglio aveva torto.
La scuola dovrebbe essere un luogo in cui il ragazzo cresce nella consapevolezza delle proprie radici e delle proprie origini. Una pianta, per crescere, deve essere radicata nel terreno. Così la parola «cultura», che descrive efficacemente il passaggio di un popolo dallo stato nomade a quello sedentario, ben esprime la crescita e la creatività che provengono dal radicamento in un terreno: il verbo colo significa, infatti, «coltivare, abitare, venerare».
Ciò che contraddistingue l’anima di un popolo è la sua tradizione, la sua cultura. Noi italiani siamo i depositari di questa memoria e dovremmo esserne orgogliosi. Solo in questa memoria possono risiedere la creatività e la giovinezza di un popolo, come ricorda Cesare Pavese ne Il mestiere di vivere:
Quando un popolo non ha più senso vitale del suo passato si spegne. La vitalità creatrice è fatta di una riserva di passato. Si diventa creatori anche noi, quando si ha un passato. La giovinezza dei popoli è una ricca vecchiaia.
Napoleone può ben rubare i capolavori d’arte italiana nel 1796. Ma, come scrive Foscolo dieci anni più tardi ne I sepolcri (1807), rivolgendosi alla città di Firenze:
Ma più beata che in un tempio accolte
Serbi l’Itale glorie, uniche forse
Da che le mal vietate Alpi e l’alterna
Onnipotenza delle umane sorti,
Armi e sostanze t’invadeano, ed are
E patria, e, tranne la memoria, tutto.
Gli stranieri ci possono depredare di tutto, ma non della «memoria». E che cosa contraddistingue il popolo italiano e l’Italia? Nel lontano 1877 il grande romanziere russo Dostoevskij annota:
L’Italia porta con sé da duemila anni un’idea di grandezza, reale, organica: l’idea di un’idea generale dei popoli del mondo, che fu di Roma e poi dei papi. Il popolo italiano si sente depositario di un’idea universale e chi non lo sa non lo intuisce. L’arte e la scienza italiana sono piene di quella idea grande.
La peculiarità dell’Italia risiede nella sua universalità. Del resto già Dante, nel VI Canto del Purgatorio, laddove in toni polemici si scaglia contro il suo Paese con queste parole:
Ahi serva Italia, di dolore ostello,
nave sanza nocchiere in gran tempesta,
non donna di province, ma bordello!
ricorda poi come la nostra sia la patria dell’Impero e del Papato.
A parte gli strali scagliati contro la corruzione e l’inadeguatezza dei potenti, non pochi sono gli entusiasmi del poeta nei confronti della sua terra, «il bel paese dove il sì suona», il bel giardino d’Europa. L’Italia c’è, eccome c’è, già all’epoca di Dante (1265-1321), ma già prima quando nel 1224 san Francesco d’Assisi scrive quel «Cantico delle creature» che rappresenta l’inizio della letteratura italiana.
Ne è ben cosciente Solov’ev, che nel 1895 scrive:
Fra tutti i popoli europei il primo che raggiunse un’autocoscienza nazionale fu l’Italia. I creatori dell’autentica grandezza dell’Italia erano senza dubbio veri patrioti e conferivano un valore altissimo alla propria patria […]. Essi non ritenevano conforme a verità e bellezza affermare se stessi e la propria nazionalità, ma si affermavano direttamente nel vero e nel bello. […] Le opere d’arte italiane glorificavano l’Italia perché sono pregevoli in se stesse, pregevoli per tutti.
Erede dello spirito della classicità greco-romana, il popolo italiano è diventato sempre più creativo nell’arte, nella letteratura, nelle opere sociali e caritative all’interno di quella grande eredità cristiana a cui si è ispirato durante i secoli.
La grandezza dei pittori Cimabue e Giotto, delle tre corone fiorentine Dante, Petrarca, Boccaccio, di Machiavelli, di Guicciardini, di Ariosto e di Tasso, dei pittori Michelangelo, Raffaello, Tiziano, Leonardo, fino ad arrivare a quel Tiepolo che decorerà la residenza imperiale di Wurzburg nel Settecento, o agli architetti italiani che contribuiranno in maniera considerevole alla realizzazione di San Pietroburgo, ci narra di uno splendore che ha impressionato e influenzato tutto il mondo per secoli, almeno dal Duecento fino al Settecento.
Italia è sempre stata sinonimo di letteratura, di cultura, di arte, di gastronomia, di musica sinfonica e operistica. Il popolo italiano esisteva già prima che si facesse l’unità d’Italia. Il 17 marzo 1861 si è realizzata l’unità statuale dell’Italia, non certo quella nazionale. La nazione esisteva già. Aveva torto il D’Azeglio quando sosteneva che una volta fatta l’Italia si dovessero fare gli italiani, a meno che non intendesse che gli italiani dovessero essere modellati e plasmati secondo i valori piemontesi che poco avevano a che fare con la millenaria cultura italiana.
Che cosa univa l’Italia in un unico popolo? Proprio quella fede e quella cultura cattolica che il neonato Regno d’Italia cercava in un certo modo di sradicare con provvedimenti spesso violenti. Per questo, oggigiorno è sempre più urgente riflettere sulla grandezza della cultura italiana che è sempre stata prolifica finché è stata radicata nella propria storia e nella propria tradizione.
L’auspicio è che a scuola possano essere messe al centro l’educazione e la cultura, che sono, purtroppo, spesso le grandi assenti nelle aule oltre che nei dibattiti che riguardano il sistema scolastico (e le eventuali riforme).