Fake news per infangare i pro life, Repubblica scivola per 100 euro
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Dopo Aosta, tocca a Genova. Repubblica monta il caso di una donna in ospedale che avrebbe ricevuto l'offerta di 100 euro dal centro di aiuto alla vita per non abortire. Ma è una notizia senza riscontri, smentita sia dalla struttura sanitaria che dal Cav e da Pro Vita onlus. La propaganda si serve anche della menzogna.
Ha tutta l’aria di essere una fake news per orientare un giudizio contrario ai pro-vita nei consultori, la notizia data ieri da Repubblica in prima pagina su una presunta offerta di 100 euro a una donna perché non abortisse a Genova. Non esiste alcun riscontro, infatti, né da parte dell’ospedale né da parte dei centri di aiuto alla vita del capoluogo ligure, di una presenza di volontari pro-vita appostati in reparto per indurre le donne a non abortire sotto la corresponsione di una somma di denaro.
La notizia è uscita ieri mattina su Repubblica. Una donna straniera ha raccontato di essersi recata a Villa Scassi (una delle strutture dell’Asl ove si praticano gli aborti) e di essere stata avvicinata da due donne che «dopo aver scoperto che di figli ne ha già tre le hanno provato a fare la morale sulle ricadute psicologiche di una eventuale interruzione della gravidanza. E alla fine le hanno offerto 100 euro per tenere il bambino».
L’episodio, stando a quanto riferito dal quotidiano si sarebbe svolto all’ingresso della sala d’attesa di Villa Scassi, dunque dentro la struttura ospedaliera. Una circostanza, questa, che non torna né al Cav di Genova né all’ospedale ligure dato che è impensabile immaginare volontari pro-vita che si aggirano indisturbati nei corridoi delle strutture sanitarie come piazzisti.
Ma che la cosa puzzi di fake news lo conferma anche la stessa offerta di denaro. Le due donne, infatti si sarebbero presentate «come attiviste dei centri per la vita e hanno promesso soldi e aiuti dicendo che una vita non si butta via».
Il fatto è smentito dall’unico Centro per l’aiuto alla vita, dipendente dal Movimento per la vita di Genova. Come spiega alla Bussola Sophia Furolo, presidente del Cav genovese e da noi contattata: «È una ricostruzione assurda – spiega -, non ci permetteremmo mai di andare in un ospedale senza le dovute autorizzazioni, siamo consci di quello che legalmente si può fare e la cosa che fa più specie è che nel costruire questa bufala non abbiano nemmeno pensato di riportare almeno delle informazioni che potessero essere verosimili».
Il progetto Gemma, infatti, è l’adozione di una mamma a distanza per aiutarla in situazioni di difficoltà, ma si tratta di un percorso articolato: «Anzitutto i soldi vengono raccolti da donatori sulla base di progetti specifici, ma l’attivazione del progetto viene fatta a precise condizioni che l’Associazione Vita Nova valuta se accogliere una volta aperta l’istruttoria su ogni specifico caso, non è dunque una corresponsione di denaro automatica».
Un’altra bufala è sui cento euro: «La quota mensile del Progetto Gemma è di 200 euro erogati per 18 mesi a conclusione dell’iter di analisi del caso. Dunque, fa sorridere che nell’inventare la notizia, abbiano addirittura parlato di una cifra inferiore a quella che di solito viene donata. Davvero un bel modo di essere convincenti».
Il Cav, dunque, è pronto a dimostrare che «sicuramente non è uno dei nostri volontari, che non ha accesso alle strutture di Villa Scassi». E nemmeno potrebbero essere altri pro-life attivi sotto la Lanterna. «Esistono gli universitari per la vita, ma fanno prevalentemente attività culturale; e poi c’è il centro di appoggio alla vita, che non fa attività di ascolto, ma si occupa di distribuzione di aiuti».
Come inquadrare, allora, questo tentativo di screditare il lavoro meritorio dei Cav? «Una trappola, una montatura ad hoc per screditarci», ha concluso la presidente.
A Genova, inoltre, è attiva anche una sezione di Pro Vita & Famiglia, che ieri per bocca del portavoce Jacopo Coghe ha indirizzato parole molto nette contro questo tentativo di infangare l’attività pro life: «Siamo totalmente estranei al presunto caso di due “attiviste pro vita” che avrebbero offerto cento euro a una donna per convincerla a non abortire nella sala d'attesa dell'ospedale Villa Scassi di Genova – ha detto in una nota stampa -: nessun attivista di Pro Vita & Famiglia Onlus ha mai svolto alcun tipo di attività nei pressi o dentro consultori e ospedali, iniziative che non rientrano nel nostro operato».
Coghe, giustamente, ricorda che «lo stesso ospedale ha già smentito la presenza di qualsiasi attivista nella struttura».
In effetti, come anche la Bussola ha potuto verificare telefonando all’ufficio stampa ospedaliero, la notizia non è riscontrabile in nessun modo, perché semplicemente non esiste. E anche il nosocomio, nel tentativo «onorare» la 194, riporta che il caso non è mai esistito. Dice infatti Rodolfo Sirito, direttore del Dipartimento interaziendale ostetrico ginecologico: «L’ospedale di Villa Scassi non ha autorizzato l’ingresso di rappresentanti di associazioni Pro vita nei propri ambulatori o negli spazi interni, non ne è prevista in alcun modo la presenza e se ciò fosse avvenuto avremmo immediatamente chiamato la sorveglianza: applichiamo convintamente la legge 194». E ancora: «Se entrassero in reparto persone che vogliano boicottare la 194, la nostra procedura prevede l’intervento della sorveglianza. Ma non è mai successo».
Dunque, l'episodio non è mai avvenuto, con buona pace di Repubblica e di chi ha abboccato all'amo. Che nel frattempo però era già caduto nella trappola del "dagli al pro life", come dimostra la posizione del senatore genovese del Movimento 5 Stelle Luca Pirondini che ha parlato di «episodio vergognoso», come se fosse riscontrabile al pari di uno reale.
«Ci chiediamo – conclude Coghe - se anche questa vicenda non sia stata montata ad arte solo per screditare l’associazionismo di sostegno alla maternità e alla vita nascente che ogni giorno aiuta migliaia di donne che si sentono costrette ad abortire e che non ricevono alcun sostegno dallo Stato e dagli enti locali».
I tentativi per frenare con manipolazioni apposite la partecipazione dei pro-life nel percorso clinico dei consultori con scopo dissuasivo dell’aborto, dunque, cominciano ad essere numerosi.
Non più tardi di un mese fa, le cronache avevano riportato il caso di Aosta, dove, nel corso di un’ecografia su una gravida, era stato fatto ascoltare il battito cardiaco del feto, con lo scopo di far desistere la donna dall’aborto che aveva programmato. Un caso, così come raccontato da attivisti pro choice, che in poche ore si era dimostrato falso, perché non poteva essere in ogni caso attribuito a volontari pro-life, che non hanno alcun accesso, e che è poi stato smentito dall’Asl.
La propaganda, come noto, si serve anche di bugie e di notizie confezionate artificialmente per orientare l’opinione pubblica sul nemico pubblico numero uno, che a quanto pare, sembrano essere diventati i pro-life nei consultori. E giornali come Repubblica, non si fanno alcun scrupolo per confezionare notizie così bislacche senza nemmeno mettere in campo quelle verifiche che pure dovrebbero conoscere molto bene. Un segnale che il livello dello scontro ideologico è quanto mai alto.