Fake News, i rischi di un controllo "poliziesco"
Dall'analisi del Protocollo Operativo per il contrasto sulle fake news emerge il pericolo di una valutazione arbitraria. Un potere di accertamento attribuito alla Polizia, alle dipendenze del governo, lascia perplessi. Il tutto senza passare neppure dal Parlamento.
Il 18 gennaio scorso il Ministro dell’Interno Marco Minniti, il Capo della Polizia Franco Gabrielli e la Direttrice del servizio di Polizia postale Nunzia Ciardi hanno presentato a Roma il primo Protocollo Operativo per il contrasto alla diffusione delle cosiddette fake news attraverso il web.
Che cosa cambia? La Nuova BQ lo ha ichiesto a Domenico Airoma, procuratore aggiunto della Repubblica al Tribunale di Napoli Nord e vicepresidente del Centro studi Livatino.
“Questo nuovo strumento, così come presentato nel comunicato, avrebbe l’obiettivo "di arginare, con specifico riguardo al corrente periodo di competizione elettorale, l’operato di quanti, al solo scopo di condizionare l’opinione pubblica, orientandone tendenziosamente il pensiero e le scelte, elaborano e rendono virali notizie destituite di ogni fondamento, relative a fatti o argomenti di pubblico interesse". L’intenzione dunque sarebbe anche apprezzabile. Ma gli elementi problematici superano di gran lunga la bontà dell’intenzione".
Dal punto di vista strettamente operativo, riprendendo il titolo ufficiale “Protocollo Operativo per il contrasto alla diffusione delle Fake News attraverso il web in occasione della Campagna elettorale per le Elezioni politiche 2018”, la sostanza dell’iniziativa è l’attivazione di un “Red Button” sul sito www.commissariatodips.it.
Il video illustrativo postato sui social mostra le modalità di segnalazione con cui chiunque, semplicemente fornendo un indirizzo email (anche non pec), può segnalare alla Polizia un contenuto che ritiene ascrivibile a fake.
L’ultima immagine del video vuole fornire un esempio di fake: politici e cariche istituzionali con una didascalia "guardate chi c’era a dare l’ultimo saluto al funerale Totò di Riina?". Fatta le segnalazione, si ha inoltre la facoltà di corredarla con l’indicazione del social e con la possibilità di aggiungere un “commento libero”. A questo punto la Polizia emetterà una sorta di giudizio di veridicità sulla notizia.
“Questo è un aspetto particolarmente problematico - riprende il Procuratore. Nel comunicato, infatti, si legge: "La Polizia Postale verificherà, per quanto possibile [sic!], l’informazione, con l’intento di indirizzare la successiva attività alle sole notizie manifestamente infondate e tendenziose, ovvero apertamente diffamatorie". Le ultime parole, sottolineate nel comunicato ufficiale, sono l’unico riferimento su cosa dovrebbe intendersi per fake news. Ci chiediamo: per il Ministero degli Interni sussiste identità delle fattispecie regolate dagli articoli 595 (‘diffamazione’) e 656 (‘pubblicazione o la diffusione di notizie false, esagerate o tendenziose per le quali possa essere turbato l’ordine pubblico’) del codice penale con le cosiddette fake news?
Altro punto “inquietante” che sottoponiamo al giudice è il fatto che ad analizzare le segnalazioni provvederà nientedimeno che il CNAIPIC. Sciolto l’acronimo scopriamo, dal sito ufficiale della Polizia Postale, trattasi del Centro Nazionale Anticrimine Informatico per la Protezione delle Infrastrutture Critiche. Il CNAIPIC è incaricato in via esclusiva della prevenzione e della repressione dei crimini informatici, di matrice comune, organizzata o terroristica, che hanno per obiettivo le infrastrutture informatizzate di natura critica e di rilevanza nazionale. “La struttura – conferma il vice presidente del CSL - è specializzata nel contrasto del cybercrime, cyberterrorismo e dello spionaggio industriale. Anche in questo caso, ci chiediamo se il ministero considera, e su quale base giuridica, le fake news alla stregua di pericoli per la sicurezza nazionale, fino a “distrarre” mezzi e professionalità altissime da compiti così vitali e nevralgici. Il CNAIPIC - continua - svolgerà comunque anche un’autonoma attività di indagine. Con risorse aggiuntive?”
Le perplessità, dunque, restano. “Pur non minimizzando la professionalità e la dedizione della Polizia postale e l’apprezzabile intenzione di contrastare la circolazione di fake news, non si possono tacere taluni rischi derivanti dalla configurazione del (presunto) rimedio: non è noto il sistema di regole e l’ambito operativo nel quale si muoverà la Polizia Postale; manca la concreta indicazione del modo in cui si procederà a stabilire se una determinata informazione sia vera o falsa; non è chiaro se il red button sarà operativo per la sola campagna elettorale”.
In sintesi, dunque, il pericolo di una valutazione arbitraria non è peregrino. Che poi un tale potere di accertamento e intervento si possa convenientemente e adeguatamente attribuire ad un organo di polizia alle dipendenze del governo, suscita più di una perplessità. Per queste ragioni, in chiusura chiediamo al nostro interlocutore possibili considerazioni “migliorative”.
“Tanto per cominciare sarebbe auspicabile distinguere con maggior precisione i casi per i quali incrementare una puntuale opera di factchecking giornalistico e i procedimenti relativi alla querela per diffamazione. Si potrebbe introdurre il coinvolgimento dell’autore (allo stato attuale, non previsto). In ogni caso, la disinformazione andrebbe combattuta prima e prioritariamente sul piano culturale e non favorendo conflittualità fra parti o peggio attraverso un controllo dell’informazione che sappiamo per esperienza storica non potere essere immune da rischi. Prudenza, moderazione e fiducia nelle istituzioni democratiche non potranno mai essere sostituite da ‘Protocolli operativi’.”
Confidando nessuno ci segnali tramite il red button, auspichiamo che su un tema come questo la discussione riprenda presto nella sede appropriata, il Parlamento della Repubblica.