Ex Ilva, sconfitto l’ambientalismo che uccide l’economia
Il Consiglio di Stato ha annullato la sentenza del Tar di Lecce e quindi gli impianti dell’area a caldo dello stabilimento ex Ilva di Taranto possono continuare a operare. I giudici hanno sottolineato la necessità di raggiungere un punto d’equilibrio tra contrastanti interessi. Sconfitta dunque l’ideologia perbenista che contrappone ambiente ed economia, facendo male all’uomo.
Le ragioni dell’ambiente e quelle dell’economia. Un’ideologia perbenista e fintamente al servizio dell’uomo tende ad alimentare l’antinomia tra la protezione dell’ecosistema e lo sviluppo della produttività industriale. Per fortuna, però, a volte la magistratura smonta questi teoremi e ristabilisce un corretto ordine delle cose, dimostrando che si può produrre in sicurezza, evitando devastazioni ambientali e proteggendo la salute delle comunità, senza alimentare contrapposizioni di natura ideologica.
Questo ragionamento è particolarmente valido per quella che si può definire la telenovela infinita dell’Ilva. Due giorni fa un’altra pagina è stata scritta in quell’interminabile vicenda che si trascina da diversi lustri, a suon di carte bollate, inchieste, rivendicazioni e, soprattutto, un estenuante braccio di ferro tra aperturisti e chiusuristi, proprio come per il Covid.
La Sezione IV del Consiglio di Stato ha accolto il ricorso presentato da Arcelor Mittal s.p.a. e Ilva s.p.a., in amministrazione straordinaria, e ha annullato la sentenza del Tar di Lecce n.249/2021 e quindi l’ordinanza n.15 del 27 febbraio 2020, con cui il sindaco di Taranto aveva ordinato loro, nei rispettivi ruoli di gestore e proprietario dello stabilimento siderurgico ex Ilva, di individuare entro 60 giorni gli impianti interessati da emissioni inquinanti e rimuoverne le eventuali criticità, e, qualora ciò non fosse avvenuto, di procedere nei 60 giorni successivi alla “sospensione/fermata” delle attività dello stabilimento. Secondo i giudici amministrativi di secondo grado, l’azienda può continuare a operare. No, dunque, allo spegnimento dell’area a caldo dello stabilimento ex Ilva di Taranto e degli impianti connessi, la cui attività produttiva proseguirà con regolarità.
L’ordinanza era stata emessa, nell’esercizio dei poteri di necessità e urgenza del sindaco a tutela della salute della cittadinanza, a seguito di episodi di emissioni di fumi e gas verificatisi nell’agosto 2019 e nel febbraio 2020 e delle successive verifiche ambientali e sanitarie. Il Tar della Puglia, sezione staccata di Lecce, pronunciandosi in primo grado sul ricorso delle due società, lo aveva respinto a seguito di un’approfondita istruttoria.
Il Consiglio di Stato, con la sentenza di due giorni fa, ha ritenuto che in concreto il potere di ordinanza d’urgenza fosse stato esercitato dal primo cittadino della città jonica in assenza dei presupposti di legge, non emergendo la sussistenza di “fatti, elementi o circostanze tali da evidenziare e provare adeguatamente che il pericolo di reiterazione degli eventi emissivi fosse talmente imminente da giustificare l’ordinanza contingibile e urgente, oppure che il pericolo paventato comportasse un aggravamento della situazione sanitaria in essere nella città di Taranto, tale da indurre ad anticipare la tempistica prefissata per la realizzazione delle migliorie” dell’impianto. Non si è dunque evidenziato un pericolo “ulteriore” rispetto a quello ordinariamente collegato allo svolgimento dell’attività industriale. A Taranto, insomma, nubi e fumi nocivi provenienti dall’ex Ilva sono ordinari, normali e non indicano alcuna emergenza per la salute dei cittadini.
Quindi, una sorta di falso allarme sollecitato dall’emotività irrazionale alimentata da lobby ambientaliste e da alcune ricostruzioni giornalistiche alquanto ardite. E ora che succede? Il pallino torna nelle mani del Governo, che ha già fatto sapere di voler intervenire. «Alla luce del pronunciamento del Consiglio di Stato sull’ex Ilva, che chiarisce il quadro operativo e giuridico, il governo procederà in modo spedito su un piano industriale ambientalmente compatibile e nel rispetto della salute delle persone», ha subito rassicurato il ministro dello Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti. «L’obiettivo è rispondere alle esigenze dello sviluppo della filiera nazionale dell’acciaio accogliendo la filosofia del Pnrr recentemente approvato», ha aggiunto.
Le argomentazioni del Consiglio di Stato sono ineccepibili anche sul piano strettamente giuridico-costituzionale. È fondamentale raggiungere «il “punto di equilibrio” fra contrastanti interessi, in particolare - scrivono i giudici amministrativi nella sentenza di due giorni fa - fra la salute (art. 32 Cost.), da cui deriva altresì il diritto all’ambiente salubre, e il lavoro (art. 4 Cost.), da cui deriva l’interesse costituzionalmente rilevante al mantenimento dei livelli occupazionali e il dovere delle istituzioni pubbliche di spiegare ogni sforzo in tal senso».
Occorre, cioè operare un bilanciamento tra diritti costituzionali ugualmente meritevoli di tutela, senza la pretesa di risolvere una volta per tutte in modo dogmatico vicende così delicate come quella dell’Ilva, che vanno affrontate, valutate e gestite in base alle evidenze scientifiche e a riscontri concreti e incontrovertibili, non assecondando paure e fuorvianti spinte demagogiche.