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INTERVISTA / P. NAZIR-ALI

Ex anglicano: «La sinodalità non vada contro la fede»

«Sul papato ci sono molti malintesi nell’anglicanesimo». Parla alla Bussola padre Nazir-Ali, ex vescovo anglicano e oggi cattolico, che sottolinea l’importanza dell’autorità. E sulla sinodalità avverte: «Non è solo consultazione. Chi viene consultato ha bisogno di essere catechizzato», in accordo al deposito della fede, senza cedere alle pressioni del mondo.

Ecclesia 19_01_2023

“Una Chiesa, per dirsi tale, ragionai, dovrebbe avere un corpo stabile di insegnamenti capace di resistere nel corso dei secoli e in maniera universale”, afferma alla Nuova Bussola padre Michael Nazir-Ali. Si era parlato di lui come del possibile nuovo arcivescovo di Canterbury, ma oggi è sacerdote cattolico. Nato a Karachi, la città più popolata del Pakistan, è stato ordinato sacerdote anglicano nel 1976 ed è diventato il più giovane vescovo della Comunione anglicana nel 1984, l’unico con sangue asiatico nelle vene e l’unico nato all’estero. Cresciuto in una famiglia di tradizioni sia cristiane sia musulmane, Nazir-Ali è stato accolto nella Chiesa cattolica il 29 settembre 2021, festa liturgica dei Santi Arcangeli Michele, Gabriele e Raffaele, e il successivo 30 ottobre è stato ordinato sacerdote cattolico.

Nell’aprile del 2022, papa Francesco l’ha nominato prelato d’onore di Sua Santità. “Entrando nella Chiesa cattolica, mi sono accorto che essa gode dell’autorità che cercavo. Ma non è solo un riconoscimento formale: gli insegnamenti magisteriali della Chiesa mi hanno aiutato a risolvere questioni teologiche che mi avevano turbato”. Padre Michael Nazir-Ali, 73 anni, proveniva dall’ala evangelica dell’anglicanesimo. “Il mio contatto con i cattolici romani, a parte le solite cose ecumeniche, è stato con l’adesione di lunga data all’Arcic - la Commissione internazionale anglicano-cattolica romana, istituita da Paolo VI e dall’arcivescovo di Canterbury Michael Ramsey per ristabilire la piena unità sacramentale tra cattolici e anglicani. L’Arcic ha lavorato per compiere passi decisivi verso l’unità, ma la comunione è stata sabotata in alcune questioni”.

In che senso “sabotata”?
Eravamo giunti ad un accordo sul sacerdozio ministeriale. La Chiesa cattolica ha implorato gli anglicani di non ordinare le donne, ma ogni sforzo è stato vano. Ero, poi, presente al burrascoso incontro dell’Arcic che ha portato all’ordinazione di un vescovo omosessuale praticante e, ancora una volta, è emersa la questione dell’autorità.

E come ha reagito?
Nel corso del tempo, sono arrivato a notare tutte le fragilità della Comunione anglicana e ho cominciato a rendermi conto, sempre di più, che quel che cercavo era nella Chiesa cattolica.

Qual è, esattamente, il punto di vista anglicano?
Sembra impossibile rispondere alla domanda. Credo sia stato papa Benedetto XVI ad osservare che non è sufficiente confessare le formule del credo della Chiesa antica: bisogna anche aderire completamente a Fede e vita sacramentale della Chiesa patristica. Credo, poi, che non si possa rivendicare continuità con la Chiesa patristica e adottare un atteggiamento lassista nei confronti di una certa innovazione che procede senza tener conto dei princìpi.

E invece qual è l’atteggiamento della Chiesa cattolica?
La Chiesa cattolica ha, provvidenzialmente, mantenuto l’intero deposito della Fede. Non solo il sacro deposito della Fede, di cui la Scrittura è norma, ma anche il sacro ministero. L’imposizione delle mani non è solo qualcosa di meccanico: è la trasmissione di tutta la Tradizione apostolica come manifestazione e interpretazione di ciò che è stato rivelato una volta per tutte.

Qual è, oggi, il rapporto tra l’anglicanesimo e il papato?
Sul papato ci sono molti malintesi nell’anglicanesimo, e nelle altre chiese in generale. Per esempio sul fatto che ciò che il papa dice sia sempre de fide. Una volta mi è stato spiegato: “Il papa non può cambiare la fede della Chiesa”. E sono d’accordo. Credo che il compito dell’ufficio petrino sia definire, chiarire la Fede, ma non cambiarla.

Poco prima di essere ordinato sacerdote cattolico ha detto: “Lascio una chiesa ossessionata da correttezza culturale, cambiamento climatico, multiculturalismo, razza e gender”. È passato poco più di un anno dalla sua ordinazione. È cambiato qualcosa nel frattempo?
La situazione nelle chiese anglicane, e protestanti in generale, sta peggiorando, non migliorando! È urgente che dinanzi a grandi decisioni ci sia un’autorità adeguata che dica: “Questa è la via, non quella”. E il protestantesimo e l’anglicanesimo non hanno modo di farlo.

Lei è nato in un Paese in cui la persecuzione contro i cristiani è molto diffusa. I cristiani vengono perseguitati anche in Europa. Perché se ne parla così poco?
È vero. In Europa, la persecuzione non ha ancora la dimensione della carcerazione o del martirio. Ma la gente pensa che non sia persecuzione perdere il lavoro, l’abilitazione, il diritto a ricoprire cariche pubbliche o la libertà di esprimere la fede se sei cristiano. Non è ancora come in Iran o Pakistan, certo, ma siamo all’inizio. Recentemente, ho scritto la prefazione al libro di un’infermiera cattolica in Gran Bretagna che racconta come le opportunità per i cattolici praticanti siano limitate nel mondo della medicina.

D’altronde, lei stesso è finito sotto protezione per la resistenza all’islamismo e alle infiltrazioni della shari’a in Inghilterra.
Sono stato minacciato non solo dai musulmani di questo Paese, ma anche dai radicali occidentali.

Conosce l’islam da molto vicino, perché pakistano e perché suo padre, musulmano, si è convertito al cristianesimo. Secondo lei perché l’islam è sempre più diffuso in Europa?
Se crei un vuoto morale e spirituale, qualcosa dovrà pur riempirlo! I Paesi europei hanno una popolazione in declino e hanno bisogno d’immigrazione per il lavoro. Allo stesso tempo, l’Occidente ha abbandonato le radici cristiane. Ai nuovi arrivati non viene offerto nulla moralmente, spiritualmente e culturalmente. Avremmo tanto da dare, ma mettiamo a disposizione solo la blanda tolleranza del multiculturalismo.

Crede che il cristianesimo in Europa sia una minoranza repressa dalle istituzioni?
I cristiani sono accettabili fintanto che sono disposti a scendere a compromessi con lo Zeitgeist [lo spirito del tempo, ndr]. In caso contrario, vengono esclusi e discriminati.

Lei è un convertito. Oggi si parla molto di ecumenismo e sinodalità. Per la sua esperienza, che cosa suggerisce?
La sinodalità non è solo consultazione. Chi viene consultato ha bisogno di essere catechizzato, forse anche evangelizzato. Altrimenti tutto ciò che otterremo è solo il riflesso della cultura che circonda le persone. La dimensione ecclesiale della consultazione deve essere mantenuta, nella chiesa locale come in quella universale, ma consultarsi con il popolo di Dio è diverso dal subire pressioni da parte degli attivisti. Il sensus fidelium non è ciò che i laici e i sacerdoti possono pensare in un dato momento, ma la corrispondenza tra i vescovi e fino all’ultimo dei fedeli, in tutto il mondo, nel corso dei secoli.

Ci spieghi meglio.
Il sensus fidei deve essere informato anche da ciò che la Tradizione apostolica ha sempre insegnato e deve articolare il pensiero della Chiesa attraverso i secoli, così come in tutto il mondo, ancora nel presente. Non tutto ciò che la gente vuole, le sarà dato. È importante chiarirlo.

Quali prospettive per il futuro della cristianità?
Se la Chiesa non è una Chiesa orante, non sarà una Chiesa autenticamente sinodale. La sinodalità non riguarda solo l’attivismo. Si tratta di partecipare al corpo e al sangue di Cristo nell’Eucaristia che ci è stata donata fin dall’inizio e che rinnova la Chiesa. Decisioni difficili andranno prese, e andrà mantenuta una disciplina divina. Tutto dovrà essere affrontato in continuità con il Vangelo e la Tradizione apostolica. Non tutti hanno lo stesso ruolo nella Chiesa: tutti possono essere consultati, ma i vescovi, insieme al vescovo di Roma, hanno il dovere, al momento opportuno, di articolare la mente della Chiesa.