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ECONOMIA

Europa: passo avanti, strada lunga

L'accordo al vertice di Bruxelles
è positivo, ma resta vaga la strada
per far ripartire l'economia. L'Italia dovrebbe liberalizzare la scuola.

Editoriali 31_01_2012
vertice Ue

L’accordo raggiunto lunedì sera a Bruxelles tra 25 paesi dell’Unione europea (non lo hanno firmato Gran Bretagna e Repubblica Ceca) costituisce un indubbio passo avanti sulla strada della solidarietà tra i paesi per contrastare la crisi dell’euro. E’ stato infatti anche approvato da tutti i 27 paesi il nuovo “meccanismo di stabilità” (Esm), in pratica un fondo dotato almeno di 500 miliardi di capitali per intervenire sui mercati in modo da contrastare la speculazione sui titoli pubblici. Una dichiarazione sulla crescita e l’occupazione è stata varata con l’astensione solo della Svezia perché il premier, guidando un governo di minoranza, non ha voluto prendere impegni senza un preventivo parere favorevole del Parlamento.

Nel complesso quindi queste tre intese costituiscono un bilancio positivo per un incontro che peraltro è avvenuto in un clima diverso rispetto a quello dell’ultimo vertice tenutosi all’inizio di dicembre. Allora era sembrata prevalere non solo la consapevolezza della gravità della crisi, ma soprattutto la convinzione che ben difficilmente si sarebbero potute varate misure strutturali per contrastare la crescita dei debiti pubblici. Ora lo scenario sembra essere mutato in maniera positiva, anche grazie alle misure adottate in Italia dal Governo Monti che hanno creato un clima di maggiore fiducia nei mercati finanziari.

Particolarmente importante appare l’accordo di bilancio, chiamato all’americana “fiscal compact” (e che qualche economista che pensa in inglese e parla in italiano continua erroneamente a tradurre come “contratto fiscale”). Importante, paradossalmente, perché dice le stesse cose del trattato di Maastricht… vent’anni dopo. L’obiettivo del rapporto debito/pil al 60% era infatti parte integrante dell’intesa da cui ha preso avvio la moneta unica europea così come un dettagliato piano di rientro per i paesi che non rispettavano quella quota. Ora l’impegno è quello di un rientro di un ventesimo all’anno in modo da raggiungere in vent’anni il livello indicato. Per l’Italia un obiettivo non da poco (si tratterebbe di ridurre il rapporto debito/pil del 3% ogni anno), ma una clausola dell’intesa stabilisce che si dovrà tenere conto dei “casi particolari”: fatta la legge, trovata l’eccezione. Resta comunque l’impegno al pareggio di bilancio per tutti i paesi, un impegno importante che tuttavia potrà essere raggiunto sia con un aumento della pressione fiscale, sia con un più auspicabile, ma più difficile, taglio della spesa pubblica.


La perplessità di fondo è proprio questa: sembra che il vertice abbia badato soprattutto a mettere in evidenza i passi contabili del risanamento finanziario anche perché sul tema della crescita ci si è limitati ad auspici e a prese di coscienza, ma senza indicare, al di là della mobilitazione dei fondi europei, strategie chiare e soprattutto condivise. La presa di coscienza della gravità sociale della disoccupazione, in particolare di quella giovanile, appare sicuramente significativa, ma altrettanto sicuramente non sufficiente ad avviare un cammino virtuoso che possa portare non tanto alla soluzione, quanto almeno ad un approccio costruttivo al problema.

Se quindi è vero, come ha sottolineato il premier italiano, Mario Monti, che abbiamo evitato di uscire di strada, è altrettanto vero che il cammino per il rilancio dell’economia e l’assorbimento della disoccupazione appare ancora tutto in salita. Anche perché è questo un terreno in cui non ci sono bacchette magiche, ma è necessaria la consapevolezza che occorrono strumenti nuovi di fronte a problemi sostanzialmente nuovi.

Ma la logica del cambiamento, del fare un passo indietro ciascuno per fare due passi avanti tutti, non fa ancora parte della cassetta degli attrezzi dei protagonisti del sistema-Italia: sindacati, politici, imprenditori tutti tesi a proteggere la garanzie formali, il consenso clientelare, gli incentivi particolari. E con queste posizioni il Governo deve comunque fare i conti.

Eppure la vera soluzione ai problemi, sia quelli finanziari, sia quelli dell’economia reale, potrà essere solo in  un crescita dell’economia nella direzione sia della quantità, sia della qualità. E l’Italia in queste prospettive ha molte risorse da liberare. Ma è necessario superare le vecchie teorie. Per esempio: si è parlato tanto di liberalizzazioni, ma perché non si parla di sostenere una scuola libera, di qualità, in diretta concorrenza, ad armi pari, tra pubblico e privato?