Eugenio Corti, il grande scrittore sconosciuto a scuola
Oggi cade il secondo anniversario della morte di Eugenio Corti, uno dei maggiori romanzieri del Novecento, spentosi il 4 febbraio 2014. Il suo Cavallo rosso ha raggiunto la trentunesima edizione, ma anche I più non ritornano, il primo diario pubblicato sulla guerra in Russia, è alle diciannovesima.
In un’intervista rilasciata a Renato Farina poco prima di morire, Eugenio Corti rivelava che la sua vocazione di scrittore era nata quando era ancora ragazzino, incontrando la grande epopea dell’Odissea, poema in cui Omero era riuscito a trasformare in bellezza ciò di cui trattava. «Da grande», si era ripromesso il piccolo Corti, «anch’io farò lo stesso». Era una chiamata a trasmettere la grandezza della vita, a rendere gloria a Dio per il dono del creato, conscio che non c’è circostanza dell’esistenza a cui non siamo chiamati, non c’è nulla che non abbia senso. Se ogni circostanza ha senso, allora ogni momento ci chiama a un compito e ad una responsabilità.
In partenza per il fronte russo (9 giugno 1942), Corti scrive alla famiglia: «Mamma e papà carissimi, questa mia vi giungerà che io sarò in viaggio per il Fronte russo. Ve la scrivo perché voglio che sappiate con quali sentimenti io parto. Vedo questa mia partenza per la guerra, come tutte le altre cose che capitano nella vita, inquadrata nei piani superiori della Provvidenza. Anzitutto per quanto riguarda me nelle mie relazioni con tutta l’umanità: non è giusto, vi pare, che mentre tutti i giovani della mia età, di quasi tutte le nazioni, sono coinvolti in questa grande prova, io ne rimanga fuori. Ma c’è di più: domani a questa guerra, come a tutte le guerre, seguiranno rivolgimenti e contrasti. Io non vorrò restarmene neghittosamente fuori: parteciperò anch’io in favore della Religione, della Famiglia, dello Spirito, di tutte quelle cose insomma in cui voi m’avete educato e nelle quali fermamente credo».
La preoccupazione principale di Corti è che papà e mamma possano essere angustiati per lui. Per il resto Corti parte sereno con una certezza: «Ciò che viene dalle mani di Dio dà sempre gioia. Vorrei che anche voi riusciste a pensarla come me. E ricordatevi: tornerò. Da quanto vi ho detto prima è chiaro che devo tornare […]. Sento che Dio mi guida per una strada che Lui solo conosce, ma che è ancora lunga. Il fatto che io sia, pur frequentando legge, di artiglieria, serve pure a comprovare questa mia sensazione».
Vorrei proprio partire da queste brevi riflessioni per celebrare il secondo anniversario della morte di uno dei maggiori romanzieri del Novecento, spentosi il 4 febbraio 2014. Il suo Cavallo rosso ha raggiunto la trentunesima edizione dal 1983, ma anche I più non ritornano, il primo diario pubblicato sulla guerra in Russia, relativo ai ventotto giorni in una sacca sul fronte, è alle diciannovesima. Completano la sua ampia produzione Gli ultimi soldati del re, L’isola del Paradiso, Catone l’antico, La terra dell’indio, Il Medioevo e altri racconti, Il fumo nel Tempio, Processo e morte di Stalin. La casa editrice Ares ha il grande merito di aver colto la statura dello scrittore e di aver pubblicato l’intera produzione. Il miglior modo per celebrare un autore è quello di diffondere, di far conoscere il valore della sua opera. Del resto, questo significa il termine «celebrazione», in latino vuol dire «rendere affollato, partecipare in maniera numerosa ad un evento».
Ora, se il riconoscimento del valore dell’opera di Corti è certo, colpisce il fatto che pochi in Italia gli rendano il merito che gli spetta, che il suo nome sia pressoché sconosciuto tra molti ragazzi, così come poco nota è la sua figura anche tra il mondo degli insegnanti. Non è allora piccola la responsabilità di chi ha incontrato l’autore e conosciuto la sua opera. Il primo compito è quello di diffondere i suoi scritti contribuendo all’affermazione del romanziere come un classico del Novecento, da leggersi nelle scuole come testimonianza di grande letteratura e, nel contempo, come documento storico e umano di un pezzo della storia italiana e universale. Un classico sa raccontare la vita, intercettando le domande dell’uomo di ogni tempo, il suo anelito alla verità e alla bellezza, alla felicità e alla salvezza.
Da qualche mese si è aperta una nuova fase negli studi dell’opera di Corti che sarà foriera di sviluppi futuri nello studio della genesi del capolavoro Il cavallo rosso. Sempre per conto di Ares sono state, infatti, pubblicate le lettere e i testi delle cartoline scritte da Corti durante la guerra, dal 6 giugno 1942 al 29 gennaio 1943. Il titolo della silloge è «Io ritornerò». Una testimonianza unica dal punto di vista storico ed umano. Ma aggiungerei di più. La rilevanza letteraria dei documenti è grandissima, perché l’epistolario è una vera e propria fucina di uno scrittore che ha già scoperto la sua vocazione. Come lo Zibaldone permette di rinvenire la genesi dell’Infinito del Canto notturno di un pastore errante dell’Asia, allo stesso modo le lettere dalla Russia ci offrono l’occasione spinta (per usare un’espressione cara a Montale) di tanti episodi del Cavallo rosso.
Alessandro Rivali, che ha curato la raccolta, ha annotato i molti punti di contatto tra le lettere e Il Cavallo rosso. Solo per addurre qualche esempio, racconta il curatore, «la partenza della tradotta di Corti e l’analoga esperienza vissuta dal personaggio di Ambrogio, il primo contatto con i morti russi, la migrazione delle anatre e dei ragni trascinati dal vento, la descrizione della “terra dei cosacchi”, l’arrivo della corrispondenza al fronte, le incursioni degli aerei russi». «Le lettere», continua Alessandro Rivali, «furono il regalo più inaspettato di un autore nei confronti di un giovane innamorato della storia. Corti mi fece capire che nel suo solaio erano nascoste le lettere in cui c’era la genesi del Cavallo rosso. Quando parlava con me, non parlava con l’editor della casa editrice, ma all’amico Alessandro Rivali. Questo è l’uomo Eugenio Corti».
Le lettere sono solo un piccolo spiraglio che rivela il cantiere nascosto di Corti che è molto ampio, ricco di tesori. Le carte che Rivali ha consultato lasciano intuire la passione per la verità dello scrittore che voleva essere documentato in maniera certosina su tutto quanto scriveva. Possiamo riscontrare questo scrupolo documentario nelle annotazioni presenti nei libri presenti a casa Corti. Vi sono decine e decine di volumi sul comunismo che attestano come il romanziere voleva che nella propria storia tutto fosse vero. Corti aveva descritto con tanta precisione e verità i reparti degli alpini che quando i reduci della campagna di Russia lo incontravano gli chiedevano in che reparto degli alpini fosse stato.
L’auspicio in questo secondo anniversario della morte di Eugenio Corti è, quindi, duplice: le scuole e gli insegnanti si aprano alla scoperta di questo grande autore; si tenga anche in Italia un importante convegno sulla sua figura, come è accaduto il 29 e 30 gennaio all’Università Sorbona a Parigi con la partecipazione dei più importanti studiosi a livello internazionale.