Eterologa: inganni e danni collaterali
Il 20 settembre arriva il parere
della Corte costituzionale su vendita
e donazione di ovuli. Silenzio generale sui guai da iperstimolazione ovarica.
Il 20 settembre la Corte costituzionale italiana sarà chiamata a giudicare la costituzionalità del comma 3 dell’articolo 4 della legge 40/2004, che vieta la fecondazione eterologa con ovuli venduti, o come si ama dire, “donati”, da terzi.
E’ allora opportuno ricordare quali sono i motivi che hanno portato il Legislatore, forte anche delle esperienze di altri paesi, a questa decisione.
La fecondazione eterologa prevede che una donna venda i suoi ovuli che serviranno ad un’altra al fine di concepire. Così dovrebbe essere andata, per esempio, nel caso della cantante Gianna Nannini, impossibilitata, causa l’età, ad un concepimento autonomo, con ovulo proprio.
La prima domanda da porsi è questa: cosa accade alla venditrice? Si tratta di una vendita qualsiasi, come quella di un oggetto esterno, che non è parte della persona, o di qualcosa di profondamente diverso?
Sembra inevitabile rispondere nel secondo modo. Infatti la venditrice viene sottoposta ad una iperstimolazione ovarica particolarmente violenta, cioè viene bombardata di ormoni al fine di produrre non un ovulo, come avverrebbe in natura, ma molti di più (a seconda dell’etica e delle previsioni del medico). Sentiamo a tal proposito cosa può provocare la iperstimolazione ovarica dalle parole di un esperto come il dottor Carlo Flamigni, noto per la sua apertura alle pratiche di procreazione medicalmente assistita (PMA). Flamigni, nel suo “La procreazione assistita” (il Mulino, 2002), afferma che l'iperstimolazione ovarica sulla donna, preliminare a qualsiasi operazione di PMA, è "una sindrome pericolosa persino per la vita" (p.29), "una complicanza abbastanza pericolosa" (p.36). Infatti "l'ovaio cresce in modo anomalo fino a raggiungere un volume pari a quello di un grosso melone. Successivamente, e soprattutto se l'iperstimolazione è grave, si forma un'ascite e compaiono raccolte di liquido nelle cavità pleuriche e nel pericardio. Il sangue si ispessisce e perde proteine e la funzionalità renale diminuisce pericolosamente. A causa di grossolane anomalie della coagulazione si possono determinare trombosi e tromboflebiti, talchè esiste addirittura un rischio di vita nei casi più sfortunati" (p.63-64). A ciò si può aggiungere che l’iperstimolazione in vista della PMA comporta anche un rischio tumore, ai genitali o alle mammelle, magari nel lungo periodo ("Le Scienze", Settembre 2004).
La conferma viene da un interessante reportage, comparso alcuni anni fa, a firma Chiara Valentini, giornalista dell’Espresso, ed intitolato significativamente “La fecondazione proibita” (Feltrinelli, 2004, con prefazione di Emma Bonino). In esso si racconta, tra le altre cose, la storia di Brigitte Fanny Cohen, specialista di medicina del canale tv France 2, sottopostasi inutilmente a iperstimolazione ovarica per avere un figlio. La Valentini racconta che durante una conferenza stampa la Cohen spinse un medico ad ammettere il rischio tumore connesso a tale pratica. Poi gli chiese: "Perché non avvertite le pazienti?". E il medico: "Se lo dicessimo nessuna farebbe più la fecondazione artificiale" (p.95).
Ulteriore conferma a questi dati, piuttosto conosciuti tra chi si occupa dell’argomento, viene ora da un documentario veramente impressionante, “Eggsploitation”, a cura del Center for Bioethics and Culture americano, premiato al Festival californiano di cinema indipendente e di cui parleremo in maniera approfondita nei prossimi giorni.
E’ la storia di alcune donne che raccontano di aver venduto o donato i loro ovuli, completamente ignare di ciò a cui andavano incontro, causa il silenzio assordante dei media, ma anche di quei medici che hanno proceduto all’espianto dei loro ovuli. Queste ragazze hanno patito, in seguito alla vendita degli ovuli e quindi alla iperstimolazone ovarica preliminare, cancri, sterilità, emorragie. Alcune sono addirittura morte. Ma non ci si stupisca di come tutto ciò viene spesso nascosto: sono gli affari, bellezza!
La vendita di ovuli e di sperma, infatti, genera nei soli Stati Uniti un giro vorticoso di dollari, ben descritto, in modo asettico e neutrale, da Debora Spar, docente di Business Administration alla Harvard Business School, nel suo “Baby Business” (Sperling & Kupfer, 2006). Nota la Spar che la Pma ha infatti generato un fiorente mercato di seme maschile, un altrettanto fiorente vendita di ormoni, necessari per la iperstimolazione, e, infine, un lucroso mercato di ovuli, a disposizione di chi non riesce ad avere figli, ma anche, ad esempio, di un single, magari in cerca di utero da affittare, o di una coppia di soli uomini. Ricorda, la Spar, che “la “donatrice deve sottoporsi a tre settimane di terapia ormonale, che comporta iniezioni giornaliere per sollecitare le ovaie a produrre abbastanza ovuli. In questa fase la donatrice (si noti l’antilingua, NDR) deve andare spesso dal medico per fare prelievi di sangue ed esami agli ultrasuoni per permettere al medico di stabilire quando gli ovuli sono maturi..”; quanto ai rischi, nota l’autrice, “le conseguenze a lungo termine della donazione degli ovuli sono sconosciute” (p. 47-48). Per capire il business che vi è dietro tutto questo - e che scoraggia molto spesso la ricerca medica di vie alternative, cioè di vere cure volte a ristabilire la fertilità naturale, quando possibile- si ricordi che il costo di ogni ovodonazione va dai 3000 agli 8000 euro.
Nota Benedetta Frigerio, nel commento al documentario citato: “L'industria della fecondazione… fattura 6 miliardi e mezzo di dollari l'anno. E opera senza sorveglianze né regole. Quel che si sa è che il 70 per cento dei cicli di stimolazione ovarica fallisce. E che in generale i rischi, assenti dalla letteratura fino a poco tempo fa, sono cancri al seno, all'ovaio e all'endometrio, infertilità futura, emorragie, ictus, infarti, paralisi e morte. (“Assessing the medical risks of human oocyte donation. From stem cell research”, L.Giudice, E. Santa and R. Pool eds, Washington, D.c., National academies of science, 2007)”.
Analizzate brevemente le conseguenze dell’espianto di ovuli sulla donna donatrice, occorre ora valutare quali possono essere i rischi della fecondazione eterologa per la coppia. Il più classico è anche il più intuibile: la Pma è un processo lungo e costoso, spesso fallimentare, che sovente ingenera tensioni nella coppia. Accade non di rado, talora presto, talora più avanti, che il coniuge non genetico, cioè quello che è ricorso a seme o ovulo non suo, per esempio in un periodo di difficoltà con la moglie o col figlio, rinneghi quest’ultimo: “tu non sei mio figlio!”; oppure che rinfacci al coniuge di aver voluto a tutti i costi un figlio che ora, lui o lei, non sente davvero suo. Ma può accadere anche il contrario: può essere il figlio che rinnega il genitore adottivo, non riconoscendo in lui il proprio patrimonio genetico, il proprio aspetto: “Cosa vuoi da me, che non sei neppure mia madre (o mio padre)?”.
Si aggiungano infine, a tutti questi, le possibile problematiche del figlio così concepito. La prima: l’iperstimolazione ovarica porta a maturazione gli ovuli tramite un procedimento forzato, violento, non secondo i modi e i tempi della natura. Questo significa che non di rado tali ovuli non sono “il meglio possibile”, ma hanno delle alterazioni che possono comportare quindi problemi fisici per il nascituro, nel breve o anche nel lungo periodo.
Quanto all’impatto psicologico dell’eterologa, esso è dimostrato da numerose analisi. La già citata Valentini, pur favorevole all’eterologa, spiega che i genitori che sono ricorsi ad essa devono far conoscere ai loro figli la loro origine, per evitargli pesanti danni psicologici. I genitori che non dicono subito ai figli che sono stati generati con gameti altrui, sostiene la Valentini, "danneggiano i figli", come dimostrano quattro casi da lei conosciuti: Heidi, nata da donatore, "ha gravi problemi psichici"; Peter racconta di aver finalmente capito perché il padre lo aveva sempre rifiutato solo dopo essere venuto a conoscenza del fatto che non era suo padre genetico; Robert, venuto a sapere per caso di essere nato da donatore, afferma: "E' come essere stato investito da un treno"; Susannh, invece, spiega: "appena sarò più grande cercherò di sapere chi è l'uomo che ha dato alla mamma il seme che mi ha fatto nascere. E' duro crescere senza sapere niente di metà del proprio patrimonio genetico". In Australia, scrive ancora la Valentini, in un "documentario andato in onda nel 2000 viene seguito passo dopo passo il viaggio di una ragazza di 17 anni alla ricerca del donatore che le aveva dato la vita" (p.168.169). Anche l'ovodonazione tra parenti viene definita "un disastro" (a p.77).
Ancora una volta, ai giudici della Corte costituzionale può venire in aiuto quanto avvenuto altrove. Negli Stati Uniti ed in altri paesi occidentali in cui l’eterologa, maschile e femminile, è permessa, vi sono personaggi come l’olandese Ed Houben, abituato a vendere il suo seme con notevole baldanza, e per questo padre biologico di oltre 50 figli (Corriere della sera del 23/11/2010). Inoltre aumentano di continuo single e coppie gay che ricorrono all’eterologa.
Quale l’effetto sui concepiti? Risponde, almeno in parte, il Corriere citato con alcuni fatti indicativi: “Solo negli Stati Uniti sono più di trentamila i figli nati da donatore sconosciuto che hanno affidato al Web la ricerca delle proprie radici. Figli in provetta che attraverso blog o community dedicate cercano non solo di risalire al padre biologico, ma anche di ritrovare fratellastri e sorellastre con cui condividere storie e sentimenti… ‘Sono il prodotto di un donatore aninimo’-dice nel suo blog Lindsey Greenawalt- e ora che sono adulta sto cercando risposte a costo di alzare la voce’. Perché, spiega, ‘se avessi potuto scegliere tra una vita a metà e una non vita avrei scelto quest’ultima’. Sempre su Internet, tra i tanti siti di annunci ‘cerco papà’ o ‘cerco fratelli’, c’è poi il gruppo ‘famiglie del donatore 1476’: tutti biondi, tutti con gli occhi azzurri e tutti con la stessa voglia di trovare quella metà di se stessi che manca”.
Non sembra difficile concludere che ogni persona che viene chiamata alla luce ha il diritto ad avere un padre ed una madre non solo affettivi, ma anche biologici. Tutelare i diritti del più debole non può dunque che essere la scelta di un Legislatore che abbia compreso la posta in gioco.