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IL CASO

Estradato in Italia il padre di Saman, un traguardo insperato

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Nel nostro Paese da ieri Shabbar Abbas, l’uomo che nel 2021, insieme a dei familiari, uccise la figlia Saman per aver rifiutato un matrimonio combinato. Un’estradizione, quella concessa dal Pakistan, segnale di un cambiamento.

Attualità 02_09_2023

È arrivato in Italia il 1° settembre, estradato dal Pakistan, Shabbar Abbas, l’uomo che nel 2021 insieme alla moglie e ad alcuni familiari, all’epoca residenti in Italia a Novellara, in provincia di Reggio Emilia, ha ucciso la figlia Saman di 18 anni perché aveva rifiutato di accettare un matrimonio combinato con un cugino scelto dai genitori. Coinvolti nell’omicidio sono la moglie, Nazia Shaheen, tuttora latitante in Pakistan e oggetto anch’essa di una richiesta di estradizione, due cugini di Saman, Ikram Ijaz e Nomanhulaq Nomanhulaq, arrestati in Francia e in Spagna nei mesi successivi al delitto, e lo zio, Danish Hasnain, fratello di Shabbar Abbas, arrestato in Francia.

Come si ricorderà, i resti di Saman erano stati sepolti nella notte tra il 30 aprile e il 1° maggio e il giorno successivo Shabbar Abbas e la moglie erano tornati in Pakistan, richiamati d’urgenza – questa la giustificazione – perché una loro zia stava male. Raggiunto telefonicamente, Abbas aveva continuato a negare, a dire che sua figlia era viva, che si trovava in Belgio. La polizia pakistana lo ha arrestato il 15 novembre 2022 per frode ai danni di un connazionale e così la procedura di estradizione, complessa e delicata, ha avuto inizio. Le udienze per discutere la legittimità della richiesta di estradizione da parte del Ministero italiano della giustizia hanno subìto più di 30 rinvii. Finalmente, il 4 luglio scorso, i giudici della Corte di Islamabad hanno espresso parere favorevole e il 29 agosto è arrivata l’autorizzazione del governo pakistano.

L’8 settembre Abbas comparirà davanti alla Corte di assise di Reggio Emilia dove sarà sentito come testimone suo figlio, il fratello minore di Saman, che ha indicato agli inquirenti il luogo dove si trovava il cadavere della sorella. «È la prima volta che una estradizione attiva viene concessa dal Pakistan, non era mai successo – ha commentato il procuratore di Reggio Emilia, Gaetano Calogero Paci –. Fa ben sperare su una buona prospettiva di riuscita di un accordo più ampio tra Italia e Pakistan che sappiamo essere in fase di gestazione, per creare un sistema di relazioni bilaterali più stabile. In Italia ci sono 200 mila pakistani regolarmente censiti».

«La consegna all’Italia dell’uomo – ha dichiarato il ministro della giustizia, Carlo Nordio – rappresenta un importantissimo risultato, un traguardo quasi insperato, per una procedura estremamente complessa e delicata, dal valore fortemente anche simbolico e dal significato ancor maggiore in assenza di accordi bilaterali di estradizione tra Italia e Pakistan. Voglio per questo ringraziare le autorità pakistane, per aver compreso l’importanza per il nostro Paese di assicurare una piena risposta di giustizia per un delitto che ha sconvolto le nostre coscienze».

Anche il primo ministro Giorgia Meloni ha sottolineato l’importanza decisiva della collaborazione delle autorità pakistane, effettivamente insperata perché in Pakistan tradizioni tribali e integralismo islamico si combinano per far sì che agli occhi di molti il delitto commesso dai familiari di Saman appaia non solo legittimo, ma doveroso. L’onore di una famiglia si ritiene infatti compromesso quando i suoi componenti non obbediscono al padre dimostrando al mondo che manca dell’autorità e della determinazione necessarie a farsi rispettare. Per il decoro e la stima familiare si ritiene che un padre abbia il dovere di vegliare sul comportamento dei congiunti, in particolare di donne e minori, di punirli se lo ritiene giusto. Una figlia che rifiuta un matrimonio combinato disobbedisce e, atto altrettanto grave, contesta una istituzione che è uno dei cardini di un sistema condiviso di rapporti familiari, sociali ed economici. Perciò merita una punizione esemplare. Ai nostri occhi lei è la vittima, chi la uccide il colpevole. Viceversa agli occhi dei parenti di Saman, lei si è macchiata di una grave colpa, le vittime sono i suoi genitori e gli altri suoi familiari sui quali ricade l’onta del suo comportamento. Lo chiamiamo omicidio oppure delitto d’onore. Invece, per chi lo commette è una punizione necessaria per restituire alla famiglia dignità e rispetto dei parenti e della comunità.

Ma anche in Pakistan i valori e le istituzioni delle società patriarcali che l’Islam ha sacralizzato non sono condivisi da tutti, non più. Alcuni segni indicano che è uno dei Paesi islamici in cui si scontrano, a volte con ferocia, i musulmani sostenitori di un Islam integralista e i musulmani dissidenti, riformatori, impegnati nella reinterpretazione e nella trasformazione della professione di fede, una delle condizioni per traghettare la religione di Allah dal VII al XXI secolo. Un segno è l’atteggiamento nei confronti dei cristiani, spesso vittime di intolleranza estrema, ma anche oggetto di concreti segnali di rispetto e volontà di coesistenza pacifica. Un altro è la lotta per emendare la legge che punisce la blasfemia, i tentativi di moderarne almeno le sanzioni.

La decisione di consegnare alla giustizia italiana Shabbar Abbas può essere un altro segno. Sarà importante nelle prossime settimane seguire le reazioni al processo contro gli assassini di Saman delle comunità islamiche in Italia e dell’opinione pubblica italiana.



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