Essere ragazzi in Pakistan, il sacrificio di Bashir
Akash Bashir, pakistano, neanche diciannovenne. Era cristiano, aveva studiato dai salesiani e la domenica faceva la guardia davanti alla chiesa St. John a Lahore per permettere agli altri cristiani di sentire messa. Quando è arrivato il kamikaze, Akash l’ha abbracciato, esplodendo con lui e salvando un sacco di gente.
Nel suo immortale capolavoro, Le lettere di Berlicche, Clive S. Lewis metteva in bocca al diavolo protagonista un singolare ammonimento nei confronti del nipote Malacoda, diavolo apprendista. Quest’ultimo si affannava a suscitare guerre tra gli uomini, ma il suo maestro lo sferzava dicendogli che non aveva capito niente: è con la pace che, dal punto di vista dei diavoli, si raccolgono i maggiori frutti.
Nella guerra e, in generale, in situazioni di estremo pericolo, emerge quel che di autentico c’è dentro ogni uomo. Sono tali situazioni a provocare slanci di vero eroismo, solidarietà, magnanimità, abnegazione. In alcuni, certo, mentre in altri avviene il contrario. Ma la calma piatta è, per Berlicche, consigliabile perché è nell’ozio e nello stato di benessere che la tentazione opera meglio e miete maggior raccolto. Quando la coscienza è rilassata, non quando è vigile. Infatti, è nell’Occidente infiacchito, «sazio e disperato», che certe male piante mentali sono nate e serpeggiano. In un precedente articolo abbiamo parlato degli “ideali” ridicoli e vanesi che vengono additati ai nostri giovani, condannati a fare i “ragazzi” anche alle soglie della mezza età. Il ragazzo-immagine, la cubista, il cantante debosciato, il toy-boy. Ogni altra prospettiva, purché sana e morale, è scoraggiata, vituperata e ostacolata sempre più spesso, addirittura, con la forza della legge.
In altre situazioni, fuori dall’Occidente malato (mentale), proprio l’assenza di “pace” fa sì che la natura, non più artificialmente impedita, riprenda il suo corso e la forza stessa delle cose riporti in auge i veri ideali umani, quelli di sempre. È il caso di Akash Bashir, pakistano, lui sì realmente “ragazzo” perché neanche diciannovenne. Molto probabilmente le discoteche in vita sua le aveva viste solo in televisione (con antenna parabolica) e l’unica palestra che aveva conosciuto era l’oratorio salesiano. Infatti, Akash era cristiano e aveva studiato dai salesiani di Lahore, nell’istituto tecnico del quartiere di Yuhannabad. Ma dalle sue parti non c’è la “pace”, e un cristiano deve dormire con un occhio solo, altro che sballi notturni e danze attorno al palo. Niente febbre del sabato sera per Akash, solo quella della domenica, a far la guardia davanti alla chiesa per permettere agli altri cristiani di sentire messa in relativa, e guardinga, tranquillità. Era infatti di guardia, con un coetaneo, alla porta della chiesa di St. John a Lahore domenica 15 marzo. A un certo punto è arrivato uno, anzi, si è scagliato. I due hanno cercato di fermarlo, perché era chiaro che non si trattava di un fedele ritardatario. Era, infatti, un talebano.
Ne è nata una colluttazione, nel corso della quale Akash si è accorto che quello portava addosso sotto la giacchetta una cintura esplosiva. Un kamikaze islamico. L’uomo aveva già attivato l’innesco e Akash non ci ha pensato due volte. Lo ha abbracciato stretto, esplodendo con lui. Facendo scudo col suo corpo ha salvato un sacco di gente. Solo nove morti nella chiesa che difendeva. Sarebbero stati molti di più senza il suo sacrificio, perché la chiesa era colma. Guardate la sua faccia di (vero) ragazzino nella foto diffusa dall’agenzia di informazioni salesiane, Ans. Ma era già un uomo, un vero uomo, forgiato come tale da un ambiente ostile. Berlicche, ottimo teologo come tutti i diavoli, conosce bene la pretesa del cristianesimo: fare di ogni uomo (o donna) un eroe (o un santo, è lo stesso) liberando tutte le sue potenzialità positive. Malacoda deve fare il contrario, affinché ogni uomo (o donna) marcisca nello squallore della sua componente zoologica.