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COVID E AFRICA

Esportare la sanità è un'utopia

Se il collasso del governo afgano (subito dopo la partenza dei contingenti internazionali) pone interrogativi sulla possibilità di esportare la democrazia, lo stato di salute dell'Africa dovrebbe porli sulla possibilità di esportare la sanità. Senza aiuti internazionali continui, i sistemi sanitari del continente nero collasserebbero. 

Editoriali 30_08_2021
Kenya, murales anti-Covid

La vittoria del talebani in Afghanistan solleva dei dubbi, degli interrogativi sulla possibilità di esportare con successo la democrazia, sul dovere o meno di farlo e, se si, sui metodi e gli strumenti da usare. Il Covid-19, l’andamento della pandemia, dovrebbero porre degli interrogativi altrettanto seri sulla possibilità di esportare con successo la salute. Prendiamo il caso dell’Africa, domandiamoci che cosa resterebbe oggi dei sistemi sanitari africani se sparissero tutti i medicinali donati, tutti i medici non africani, tutti i presidi sanitari finanziati e amministrati da stranieri e di proprietà straniera. 

In Camerun, ad esempio, la sola Organisation Catholique de la Santé du Cameroun ha 266 strutture sanitarie e otto istituti di formazione professionale sanitaria. Altre decine di presidi e alcune scuole professionali si devono all’impegno delle confessioni protestanti. In Kenya la rete di strutture sanitarie cattoliche comprende 65 ospedali, 90 centri sanitari e 300 dispensari con un totale di circa 5.837 operatori sanitari. Nel vicino Uganda la Chiesa cattolica insieme ad alcune confessioni protestanti gestisce 47 ospedali e più di 500 strutture sanitarie minori, molte delle quali rappresentano l’unica possibilità di ricevere cure mediche per la popolazione, specialmente nelle aree rurali. “La pesante dipendenza dei sistemi sanitari nazionali dell’Africa sub-sahariana da strutture religiose finanziate da fondi stranieri – commenta David Toole, direttore di una ricerca sul ruolo degli ospedali missionari nel bacino del fiume Nilo – rende questi sistemi vulnerabili, tanto più quando queste stesse strutture sono in crisi, come sempre più spesso succede”.  

Oltre alle strutture religiose, in Africa operano migliaia di Onlus e di organizzazioni non governative straniere impegnate nel settore sanitario. Molte sono specializzate in determinati settori, come la cura dell’Aids e della malaria. Molte altre hanno per missione di migliorare la situazione sanitaria in generale occupandosi soprattutto delle categorie sociali più svantaggiate. L’Amref, ad esempio, fondata nel 1957, con 139 progetti e dieci milioni di persone raggiunte ogni anno attualmente è la più grande organizzazione sanitaria attiva nel continente. Tra i suoi obiettivi c’è il coinvolgimento delle popolazioni locali, “perché siano gli africani, ogni giorno, a prendersi cura dell’Africa”.

Per realizzare l’obiettivo che tutte le popolazioni, ovunque nel mondo, possano godere del più alto livello possibile di salute, nel 1948 è stata istituita l’Organizzazione mondiale della Sanità, l’agenzia delle Nazioni Unite alla quale oggi  aderiscono 194 stati. Per il biennio 2020-2021 l’Oms ha un budget che supera i nove miliardi di dollari. I fondi provengono principalmente dagli stati membri, per quote fisse alle quali si aggiungono contributi volontari variabili, ma anche da donazioni fatte da fondazioni, privati, altre agenzie Onu, enti e associazioni. È il più grande, ambizioso progetto di “esportazione della salute” mai tentato. Indubbiamente ha ottenuto risultati straordinari sia nella prevenzione che nella cura delle malattie, alcuni dei quali proprio nel continente africano. Si devono all’Oms prima di tutto due tra i maggiori successi contro le malattie infettive registrati in Africa. La campagna di vaccinazione contro la poliomielite a partire dagli anni 90 del secolo scorso ha raggiunto centinaia di milioni di bambini con il risultato che la malattia è stata quasi del tutto debellata. Le due campagne di vaccinazione contro la meningite A condotte dall’inizio del secolo nei 16 paesi in cui era endemica, riuscendo a vaccinare oltre 300 milioni di persone hanno portato alla sua quasi totale scomparsa. L’epidemia più grave, nel 1996-1997, aveva ucciso 25mila persone. Tutte le epidemie di Ebola hanno richiesto l’intervento internazionale, da due anni più efficace grazie ai vaccini messi a punto.

Ma nessuna emergenza sanitaria è mai del tutto risolta e minaccia di ripresentarsi non appena si affida la gestione ordinaria della salute ai governi locali. La Liberia ha quattro medici ogni 100mila abitanti; la Repubblica Centrafricana ne ha sette, lo Zimbabwe ne ha 19. In Africa sub-sahariana mancano 1,8 milioni di operatori sanitari e in media i posti letto sono 1,8 ogni mille abitanti.

Il 17 agosto in Uganda è stato dichiarato lo stato di emergenza sanitaria dopo l’individuazione di alcuni casi di poliomielite probabilmente importati dal Sudan. Il Paese era stato dichiarato libero dalla polio, ma nel 2009 e nel 2010 ci sono stati dei focolai della malattia. Nell’ultimo anno si sono verificati casi di poliomielite in 19 Paesi africani. Ad agosto in Costa d’Avorio si sono avuti casi di Ebola per la prima volta dal 1994. In Guinea Conakry sempre ad agosto sono stati registrati casi di febbre di Marburg, un virus della stessa famiglia dell’Ebola, virus che a sua volta è riapparso nel Paese all’inizio dell’anno gettando nel panico la popolazione memore dell’epidemia del 2013-2016 che ha ucciso 2.554 persone.

Aids, malaria e tubercolosi flagellano l’Africa dove presentano i più alti tassi di diffusione. Altre malattie trasmissibili colpiscono periodicamente nonostante i tentativi di debellarle: colera, morbillo, febbre gialla… E mentre si lotta contro le epidemie di sempre (e adesso anche contro il Covid-19), investendo risorse e fondi, la popolazione rimane esposta ad altre malattie, mal curata o del tutto priva di cure: cancro, disturbi cardiovascolari, diabete... Nel 2016 in Uganda si è guastato l’unico macchinario per radioterapia e per due anni solo chi è stato in grado di recarsi all’estero ha potuto farsi curare. In Africa sub-sahariana il tasso di sopravvivenza ai tumori infantili è circa il 20% rispetto all’80% dei Paesi ad alto reddito. A causa del Covid-19 in molti Stati africani è stato sospeso lo screening e l’Oms stima che oltre 28mila bambini sono morti per mancanza di una diagnosi precoce.    

Lo slogan dell’Amref – “perché siano gli africani, ogni giorno, a prendersi cura dell’Africa” – è tanto bello quanto ancora illusorio.