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ICE BUCKET

Esibizionismo o no, l'importante è donare

Ice Bucket Challenge è una campagna che ha raccolto 55 milioni di dollari (finora) a favore della ricerca sulla Sla, quasi 50 volte tanto quel che si era raccolto nel 2013. E allora perché avere dubbi? Molti italiani trovano che la "doccia fredda" dei Vip mandata su Internet sia un'inutile forma di esibizionismo dei Vip. E per questo non donano. Troppo comodo questo alibi.

Politica 24_08_2014
Belen Rodriguez

La campagna Ice Bucket Challenge ha raccolto 53 milioni di dollari per la ricerca sulla sclerosi laterale amiotrofica (Sla) in meno di un mese. È una somma pari a 26 volte tanto quella raccolta l’anno scorso nello stesso arco di tempo. Basta questo per considerarla un’azione meritevole. Tutto il resto passa in secondo piano.

Le regole del gioco, lanciato dal giocatore di baseball statunitense Pete Frates, 29 anni, malato di Sla a sua volta, sono molto semplici e tipiche dell’era dei social network. Ci si getta addosso (o ci si fa gettare addosso) una secchiata di acqua ghiacciata davanti alla videocamera e si nominano altri Vip o persone conosciute dalla "vittima". Queste, dal momento in cui il video va su Internet, hanno 24 ore di tempo per fare una donazione alla ricerca per la lotta alla Sla o gettarsi a propria volta una secchiata di acqua ghiacciata. O (possibilmente) fare entrambe le cose. Se grazie a questo gioco si raccolgono 55 milioni di dollari per combattere una malattia, perché avere dubbi sulla sua legittimità?

Prima di tutto, vediamo i meccanismi su cui fa leva il gioco. La secchiata di acqua gelata è stata pensata da un malato di Sla, perché riceverla improvvisamente addosso provoca un intorpidimento degli arti e una temporanea paralisi che simulano, per qualche secondo, le sensazioni che prova un malato vero. Si tratta, dunque, di una sensibilizzazione diretta: “prova anche tu, per qualche secondo, cosa proviamo noi malati”. Il gioco non avrebbe successo e sarebbe liquidato via come una trovata di cattivo gusto, se non facesse scattare un altro meccanismo: l’egocentrismo dei Vip. Farsi tirare una secchiata d’acqua gelata davanti a una videocamera e far diventare virale il video soddisfa l’ego di chi si fa riprendere. E questo, nell’era dei selfie, è il modo migliore per raccogliere fondi in quantità industriali. Per una donna fascinosa, come Belen Rodriguez o Shakira, farsi riprendere bagnata può anche essere sexy. Per un politico in vista, come Matteo Renzi, può essere l’occasione per fare un comizio extra da mandare su You Tube.

Il cristiano fa la carità, ma non se ne vanta: “non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra”. Figuriamoci se lo fa sapere a tutto il mondo. Ma cosa dovrebbe fare, allora? Agire secondo coscienza. Non mettersi in mostra, non farsi pubblicità, ma donare comunque.

È giusto condannare chi si fa filmare? Condannare in modo rigoroso e coerente chi fa la carità da “esibizionista” vorrebbe dire: condannare i filantropi che chiedono una targa per ricordo, gli imprenditori e i Vip che legano il loro nome alle iniziative che sponsorizzano, i venditori di opuscoli, magliette, mele, piante e altri oggetti a scopo benefico (sia i venditori che gli acquirenti si fanno vedere in luogo pubblico, infatti), i fedeli di una parrocchia che fanno elemosina facendosi vedere (e non nascondendosi con un cappuccio in testa). Vorrebbe dire, in un mondo post-cristiano, in cui ognuno vuole almeno i suoi 15 minuti di notorietà: privare i beneficiari di gran parte della carità contemporanea. Può un buon cristiano condannare un non cristiano (o un cristiano particolarmente “adulto”) per aver fatto la doccia fredda e la carità in modo ostentato? Compiere un atto benefico non è intrinsecamente malvagio. Non stiamo parlando di una rapina, né di una vendita di stupefacenti a fini benefici. L’ostentazione del gesto non cambia la natura dell’atto benefico, né il suo risultato, che è comunque importante.

Eppure, proprio in questo caso, la contestazione morale sta addirittura impedendo di fare la carità. L’Italia, Paese che si distingue sempre per la diffusione dell’invidia sociale, è al primo posto per il numero di condanne morali rivolte ai Vip che si sottopongono al supplizio dell’acqua ghiacciata, ma all’ultimo posto nella raccolta fondi (poche decine di migliaia di euro finora raccolti). L’associazione Aisla, la Onlus che lotta contro la Sla in Italia, lamenta di non aver notato alcun aumento straordinario di fondi da quando è iniziata la campagna. Inutile prendersela con i singoli Vip docciati. Il loro apporto sarebbe comunque minimo, in rapporto a quel che possono fare masse di donatori. I Vip, negli Usa hanno soprattutto un ruolo di traino, catalizzano le donazioni di massa mettendoci la faccia (e magari neppure un dollaro). In Italia, evidentemente, scatta il meccanismo psicologico opposto. In una nazione che odia il successo, i video dei Vip bagnati si riempiono di commenti insultanti. In pratica, l’italiano medio preferisce puntare il dito e condannare moralmente chi si mette in mostra, ma i soldi non li scuce e ai malati non ci pensa.