Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
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Escalation con Mosca, Macron in testa ai "bellicosi"

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In USA e UE cresce la volontà di confronto con la Russia e Parigi punta a una coalizione europea di istruttori militari. Nella migliore delle ipotesi i nuovi sforzi permetteranno all’Ucraina di guadagnare tempo.

Esteri 07_06_2024
AP Photo/Andrii Marienko

Diversi elementi confermano come l’escalation della crisi militare con la Russia sembri costituire l’obiettivo prioritario per USA ed Europa. Ieri il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha menzionato l'Ucraina durante il suo discorso in Normandia per l'80° anniversario dello sbarco delle forze alleate durante la Seconda guerra mondiale, ricordando come il Paese sia stato «invaso da un tiranno deciso a dominarlo».

Tracciare un parallelo tra Terzo Reich e Russia non appare solo una colossale forzatura storica ma le celebrazioni in Normandia appaiono paradossali se non grottesche. La Russia, vincitrice della seconda guerra mondiale, non è stata invitata quest’anno alle celebrazioni a cui ha sempre partecipato: in compenso era presente Zelensky che guida l’Ucraina, il cui eroe nazionale è Stepan Bandera, leader nazionalista e nazista che schierò l’Ucraina tra i satelliti del Terzo Reich macchiandosi di stragi e deportazioni di ebrei (e polacchi) e costituendo reparti di SS che oggi vengono rievocati nei fregi dell’attuale esercito di Kiev.
Insomma, alle celebrazioni in Normandia i russi non li vogliono ma invitano gli ucraini che all’epoca combattevano fianco a fianco con i soldati della Germania nazista.
Un ulteriore passo verso la cancel culture e la profonda ri-scrizione della Storia, fenomeni che da anni stanno ridicolizzando USA ed Europa.

Altri elementi della crescente volontà di confronto con la Russia giungono dal versante militare. Dopo le pressioni formulate dal segretario generale della NATO, Jens Stoltenberg e dall’alto commissario UE per la politica Estera Josep Borrell nei confronti degli Stati membri affinché consentano l’impiego delle armi a raggio più esteso donate a Kiev anche contro obiettivi situati sul territorio russo, molte nazioni hanno risposto positivamente.
Stati Uniti, Olanda, Finlandia, Danimarca, Svezia, Norvegia, Polonia, Lettonia, Estonia e Lituania, Repubblica Ceca hanno dato il via libera all’impiego delle armi fornite a Kiev contro obiettivi in territorio russo e i primi razzi americani hanno già colpito postazioni antiaeree russe nella regione di Belgorod. Secondo Borrell «va considerato il rischio di escalation ma va bilanciato con la necessità degli ucraini di difendersi. Così è una situazione asimmetrica, con gli attacchi a Kiev che arrivano dal territorio russo».

Non si tratta in realtà di una novità: in passato missili antiradar HARM e bombe plananti sganciate da aerei da combattimento hanno colpito obiettivi in territorio russo mentre missili terra-aria Patriot e forse Aster 30 hanno colpito o tentato di colpire velivoli russi in volo sullo spazio aereo della Federazione: tuttavia la decisione assunta ufficialmente da molte nazioni UE/NATO rappresenta sul piano politico una precisa volontà di escalation.  

Del resto nella UE si moltiplicano gli allarmi a prepararsi ad affrontare una guerra contro la Russia entro due o tre anni, come hanno detto il ministro della Difesa tedesco Boris Pistorius e il presidente del Consiglio d’Europa Charles Michel. Appelli comprensibili considerata la necessità di giustificare, specie a ridosso del voto europeo, spese militari gonfiate a fronte delle gravi conseguenze economiche generate all’Europa dal conflitto in Ucraina e le previsioni di spesa per il sostegno militare a Kiev per il quale Stoltenberg ha chiesto agli alleati 40 miliardi di euro annui.

Non tutte le nazioni sembrano disposte a sostenere l’escalation della crisi con Mosca: in particolare l’Italia si oppone all’impiego delle proprie armi sul suolo russo ma anche Spagna, Belgio hanno detto no insieme ovviamente a Austria, Ungheria e Slovacchia che non hanno mai fornito armi a Kiev.

Alla guida della frangia dei “bellicosi” sembra volersi porre la Francia, pronta all’invio di consiglieri militari e istruttori in Ucraina. Da quanto si apprende, Parigi invierebbe inizialmente un numero limitato di personale presso le scuole e centri di addestramento in Ucraina per poi mandarne diverse centinaia. Un advance party destinato a una ricognizione delle aree dove insediare le truppe di Parigi sarebbe già in Ucraina e il presidente Emmanuel Macron potrebbe ufficializzare già in queste ore la missione durante la visita di Zelensky a Parigi.
Secondo indiscrezioni giunte da ambienti militari francesi Macron potrebbe finanziare, armare e addestrare una brigata motorizzata ucraina. Il capo di stato maggiore della Difesa di Kiev, generale Aleksander Syrsky, ha confermato la scorsa settimana di aver autorizzato il personale francese a visitare i centri di addestramento ucraini.
Inoltre, secondo fonti citate dal quotidiano Le Monde, Parigi punta a costituire una coalizione di nazioni che inviino consiglieri militari in Ucraina dove già da due anni operano migliaia di “volontari” occidentali tra i quali, secondo il ministero della Difesa russo, circa 350 francesi per circa un terzo uccisi o feriti.

Macron vorrebbe costituire una coalizione europea (ovviamente sotto comando francese) di istruttori militari da inviare in Ucraina per addestrare le truppe di Kiev: finora Polonia e repubbliche baltiche non hanno escluso di mandare truppe in Ucraina se la situazione militare dovesse aggravarsi ma altre nazioni potrebbero aggiungersi.
L’iniziativa di Macron, a ridosso delle elezioni europee, se la si guarda con occhio malizioso potrebbe anche avere l’obiettivo di far dimenticare la disfatta francese in Africa con la cacciata dal Sahel e l’impasse della crisi in Nuova Caledonia.

Mosca ha già risposto, inizialmente con il portavoce del Cremlino Dimitri Peskov che ha definito gli istruttori francesi «obiettivi legittimi» per le armi russe e poi per bocca dello stesso presidente Vladimir Putin che in un’intervista ha sottolineato che «dal punto di vista della presenza di consiglieri e istruttori, qui non c'è novità: sono presenti da tempo sul territorio dell'Ucraina e, sfortunatamente per loro, subiscono perdite, lo so per certo» ma «nei Paesi europei e negli Stati Uniti preferiscono tenere tutto sotto silenzio».

Putin ha espresso valutazioni anche circa possibili rappresaglie per l’impiego di armi occidentali a raggio più esteso sul territorio russo. Una risposta che «potrebbe essere asimmetrica. Stiamo pensando al fatto che se qualcuno pensa che sia possibile fornire tali armi in una zona di combattimento per colpire il nostro territorio e crearci problemi, allora perché non abbiamo il diritto di fornire le nostre armi della stessa classe a Paesi terzi?», ha spiegato. «Ci penseremo», ha aggiunto lasciando intendere la possibile fornitura di armi russe alle milizie che attaccano le forze statunitensi, riferendosi probabilmente a Iraq e Siria.

I limiti delle due iniziative militari occidentali sono però evidenti. Molti analisti valutano che l’impiego delle armi occidentali sul suolo russo potrà fornire un supporto utile a favorire la resistenza delle forze ucraine, pressate su quasi tutti i fronti e costrette dai russi a ritirarsi da diverse posizioni nelle regioni di Donetsk, Lugansk, Zaporizhia e Kharkiv. Le armi occidentali potranno colpire depositi, comandi, qualche base o concentramenti di truppe nelle retrovie in Russia, distruggere alcuni radar o lanciatori di missili della difesa aerea ma non cambieranno gli equilibri sul campo che vedono i russi disporre di una superiorità crescente mentre gli ucraini sono sempre più deboli e a corto di munizioni, armi, mezzi e truppe.

Così come la cronica carenza di truppe che vede gli ucraini rimpiazzare solo un quarto delle perdite subite (con personale spesso arruolato a forza, demotivato e privo di addestramento) non permetterà agli istruttori francesi di ricostituire un efficiente esercito ucraino. Nella migliore delle ipotesi i nuovi sforzi di USA ed Europa permetteranno all’Ucraina di guadagnare un po’ di tempo e resistere ancora. Almeno fino alle imminenti elezioni nella UE e fino a quelle di novembre negli Stati Uniti.



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