“Eroi in fiamme”, la protesta estrema contro l'oppressione rossa
Prima del ceco Jan Palach, era stato l’ucraino Vasyl’ Makuch, nel 1968, a darsi fuoco contro la dittatura comunista. Famoso anche il gesto di un bonzo buddista nel Vietnam del Sud filoamericano, ma in generale questa misura disperata produsse epigoni - addirittura una settantina - contro il totalitarismo rosso. Ne parla “Eroi in fiamme”, un libro di Dario Fertilio e Olena Ponomareva.
«A Kiev il cittadino ucraino Vasyl’ Makuch ha compiuto l’autoimmolazione in segno di protesta contro il totalitarismo comunista, contro l’oppressione del popolo ucraino e l’aggressione dell’Unione sovietica contro la Cecoslovacchia. Le comunità democratiche di tutto il mondo si inchinano davanti al gesto di coraggio del patriota ucraino». Così la sera del 5 novembre 1968 l’americana Radio Free Europe annunciò il suicidio tramite fuoco di un giovane dissidente.
Pochi mesi dopo sarebbe stato imitato dal ceco Jan Palach. Quest’ultimo si diede fuoco a Praga per protestare contro l’invasione sovietica. Essendo il gennaio 1969, l’atmosfera del Sessantotto e le aspettative suscitate dalla «primavera di Praga» lo fecero diventare famoso. Ora sappiamo che l’inventore di questa singolare forma di protesta aveva un antecedente ed ebbe dei successivi imitatori. In quegli anni anche un bonzo buddista si diede fuoco nel Vietnam del Sud filoamericano, ma tale misura estrema produsse epigoni - addirittura una settantina - essenzialmente contro il comunismo sovietico.
Ne scrivono Dario Fertilio e Olena Ponomareva in Eroi in fiamme (Mauro Pagliai Editore, pp. 264, € 15). Fertilio, di origine dalmata e già giornalista del Corriere della Sera, nel 1998 ha fondato col dissidente russo Vladimir Bukovskij (morto nel 2019) i Comitati per le Libertà e ideato la Giornata Memento Gulag in memoria delle vittime del comunismo (si celebra il 7 novembre, ex compagni permettendo). La Ponomareva è ucraina e ricercatrice all’università La Sapienza di Roma.
Ma torniamo al primo suicida-per-protesta. Vasyl’ Makuch si cosparse di benzina e si diede fuoco sul viale principale di Kiev, inaugurando la disperata serie: nessuna resistenza attiva era infatti possibile, anche per l’inerzia dell’Occidente (che, oltre a non avere alcuna voglia di iniziare una terza guerra mondiale, traboccava di quinte colonne comuniste). Makuch, fedele della chiesa clandestina greco-cattolica, corse il rischio di cercare un prete e di confessarsi con lui. Sappiamo che quest’ultimo gli diede l’assoluzione per il grave peccato che aveva intenzione di commettere. Makuch spedì, anche, una lettera al partito comunista locale per spiegare il suo gesto. Naturalmente, la lettera finì sepolta negli archivi, così come la memoria dell’ucraino in fiamme.
Come abbiamo anticipato, il suo esempio fu imitato da almeno altri settanta protestatari di altri Paesi sotto il tallone comunista e/o sovietico, il libro di Fertilio-Ponomareva ne parla diffusamente. L’Occidente? O non ne seppe nulla o fece spallucce. E fu già tanto se non si accodò alle opinioni in merito di un Sartre in Francia e un Occhetto da noi. Trovate tutto nel libro.