Erdogan punta all'egemonia del Mediterraneo orientale
Alla ricerca di gas sui fondali del Mediterraneo orientale, la Turchia di Erdogan provoca la Grecia, Egitto e Cipro, ignorando i loro legittimi interessi e muovendosi come se non dovesse chiedere nulla a nessuno. Il tutto approfittando della debolezza europea
Kalymnos, l’isoletta dell’Egeo, tra Kos e Rodi, ha dominato, ancora, la stampa estera in queste ultime settimane, diventando oggetto delle eterne provocazioni di Erdoğan.
Il 21 luglio, a pochi giorni dalla prima preghiera musulmana nella nuova veste che il sultano ha dato alla basilica Santa Sofia, in una mossa strategica aumentava la tensione nel Mediterraneo. Annunciava, infatti, dopo aver messo in allerta la settimana prima la Marina di Atene, l’avvio una missione di esplorazione energetica nell’isola contesa di Kastellorizo. E con essa anche la maratona diplomatica europea. Immediato il passo indietro di Erdoğan. Ma è stato temporaneo. Com’era prevedibile. Aveva annunciato di sospendere “per un po’ di tempo” le attività, in attesa che la controparte si impegnasse in negoziati “senza condizioni”. E a fine luglio Ankara ha, provvisoriamente, abbandonato, il progetto di sfruttare gli idrocarburi al largo della costa greca.
Erdoğan è un provocatore, e spesso temporeggia solo per indagare sulle reazioni dei leader internazionali, come ha fatto con il proclama di Santa Sofia in moschea. Infatti, alle prime provocazioni dell’aspirante sultano, c’era stato, pochi giorni fa, l’accordo sulla demarcazione dei confini marittimi siglato a Il Cairo fra i capi delle diplomazie di Grecia ed Egitto. Un accordo che ha subito riacceso le tensioni: in realtà era quello che Erdoğan aspettava per legittimare ogni azione, più che reazione.
È di queste ore la risposta alla firma dell’accordo greco-egiziano, che il governo turco e libico non hanno riconosciuto, delle autorità di Ankara: hanno emesso una nota di avvertimento marittimo sull’area fra Rodi e Castelrosso. “Abbiamo ripreso le attività di perforazione” nel Mediterraneo orientale. “Abbiamo inviato anche la nave da ricerca sismica Barbaros Hayrettin nell'area" perché i greci "non hanno mantenuto le promesse”.
L’obiettivo, adesso, è quello di capire se l’ultima mossa di Ankara è da leggere come una semplice provocazione o se, invece, effettivamente muoverà navi militari in zone che ricadono sotto sovranità greca. Il rifiuto della Turchia di riconoscere il limite di 10 miglia dello spazio aereo greco e le acque greche di 12 miglia, delimitate dalla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, è un casus belli senza fine che investe la Grecia: oggetto delle svariate manifestazioni di espansionismo turco.
Ogni giorno c’è una nuova provocazione e non è raro vedere un caccia turco sorvolare Kalymnos. I greci temono che la Turchia si stia già muovendo con droni e aerei da guerra in tal senso e hanno messo la Marina in stato d’allerta. Il governo di Atene è costantemente in allerta e vive nell’incubo di un nuovo incidente come quello del ’96, quando un tira e molla diplomatico per le isole Imia - appartenenti alla Grecia ma con Ankara spesso pronta a rivendicarne il possesso- , che sfociò in una tensione tale che un blitz delle forze speciali di Ankara portò all’uccisione di tre soldati greci.
Le 18 navi da guerra turche hanno, infatti, scatenato, a luglio, il diluvio di reazioni di Francia e Germania, che di solito è molto cauta nelle relazioni con la Turchia. Macron ha condannato duramente la provocazione turca, minacciando anche nuove sanzioni economiche. Per la stampa turca la condanna francese ha svolto un importante ruolo dissuasivo. Adesso continua a lavorare alle sue condizioni, alla smilitarizzazione delle isole del Mar Egeo, e all’obiettivo di sedersi al tavolo con la Grecia.
In un video messaggio pubblicato giovedì 30 luglio in occasione della "Festa del sacrificio" (Kurban Bayrami), l'uomo forte della Turchia ha ricordato tutta la determinazione a “coronare una vittoria per noi e per i nostri fratelli nella vasta area geografica che va dall'Iraq alla Siria alla Libia”, specificando che il suo Paese finirà il lavoro avviato per difendere i suoi diritti nel Mediterraneo orientale e nel Mar Egeo. Promettendo di “lasciare ai nostri figli nuove vittorie”, Erdoğan ha anche colto l'occasione del suo discorso per sottolineare che, come per la trasformazione dell'illustre Hagia Sophia in una moschea, la Turchia non esiterà a servirsi dei suoi “diritti sovrani”.
Approfittando della debolezza europea, a maggio aveva già eseguito lo stesso tipo di esercizio al largo di Cipro. Da un accordo siglato a novembre 2019 con il governo dell'Unità nazionale libica (GNA), rafforzato dalle sue recenti vittorie militari a Tripoli, si è concentrato anche sullo sfruttamento dei giacimenti di idrocarburi nel Mediterraneo orientale. Non dimenticando che il gas, per la Turchia, è la principale risorsa energetica consumata. In base all’“accordo” turco-libico, Ankara può anche garantirsi il diritto di bloccare il progetto del gasdotto EastMed, che mira a esportare gas israeliano nell'Europa centrale e che attraverserebbe l'area rivendicata dai turchi.
Perché la sua resa dei conti va ben oltre la Grecia. Motivato da interessi sia politici che economici, devoto delle migliori ambizioni neo ottomane, sogna se stesso come il leader del mondo arabo-musulmano. E il motto allegato alla caccia al gas nel Mediterraneo, coniato da Erdoğan, è, “non ci serve il permesso di nessuno”.
L’idea del conflitto resta ancora lontana, ma dalle schermaglie la Grecia e l’Europa tutte non sono esenti. Anche perché Ankara, ha una nuova arma in Libia, ed è “la strada degli immigrati”. Se i turchi prendono il controllo della politica migratoria libica, sarà l’ennesimo disastro per l’Europa.
Come confermano i più importanti analisti internazionali, il sogno e la determinazione turchi di appropriarsi delle acque comprese tra Creta, l’Anatolia e Cipro non svanirà quando il presidente non sarà più Erdoğan. Ma se gli Stati Uniti indulgessero ulteriormente nel sostegno aprioristico ad Atene, Ankara uscirebbe definitivamente dall’orbita occidentale. Sullo sfondo una data che inizia a far paura, il 2023. L’anno in cui la Turchia celebrerà il centenario della nascita della Repubblica voluta da Ataturk. L’aspirante sultano ha, già da diversi anni, dichiarato l’obiettivo di revisionare in quell’occasione i trattati di Losanna: anch’essi stipulati nel 1923 e con i quali sono nati gli attuali conflitti turchi.
Qualcosa che interesserebbe anche l’Italia per diverse ragioni. In primis il fatto che le isole erano del Dodecaneso italiano: di Roma dal 1912 al 1947. C’è stato un tempo in cui l’Italia aveva interesse a ricoprire il ruolo di mediatrice nelle controversie sull’Egeo tra Turchia e Grecia.
Oggi l’importanza che assume, per il nostro paese, l’intero bacino del Mediterraneo e le importanti carte che potrebbe giocarsi non sono comprese, o forse si ignorano radicalmente. Tra i protagonisti, nel futuro prossimo, del “mare nostrum”, difficilmente ci sarà l’Italia, nonostante sarebbe indispensabile per un naturale sbocco della nostra politica estera.