Epifania, l'annuncio della Salvezza per tutti
L'arrivo dei magi a Betlemme è un fatto realmemnte accaduto e allo stesso tempo carico di elementi simbolici. Non solo la chiamata alla salvezza per tutti gli uomini, anche coloro non appartenenti al popolo di Israele. In questo episodio c'è l'incontro tra fede e ragione, l'unità tra intelligenza umana e grazia divina, il rovesciamento delle gerarchie del mondo.
- CON I MAGI LA VERA SCIENZA RICONOSCE DIO, di Paolo Gulisano
La festa del Natale, che si celebra nella liturgia della Chiesa e che si espande – seppure in modo sempre più sgangherato e contraddittorio – anche nel mondo ‘profano’, contiene due aspetti coessenziali: il Verbo eterno che nasce come uomo a Betlemme, infatti, si manifesta anzitutto al popolo di Israele, conformemente al progetto di Dio che chiama alla salvezza per primi i discendenti di Abramo, a cui il Salvatore era stato promesso; in secondo luogo si manifesta anche ai popoli pagani, anche loro Egli chiama a riconoscere, accogliere e adorare l’unico Salvatore del mondo. Se così non fosse stato i nostri antenati, e quindi noi, saremmo stati esclusi dall’opera della redenzione; a cosa dunque sarebbe servita per noi l’incarnazione, la passione e la morte di Cristo, se i benefici soprannaturali del mistero del Figlio di Dio incarnato e immolato, fossero riservati agli ebrei? A cosa sarebbero servite per noi la sua risurrezione e ascensione al Cielo, se il Signore con il suo trionfo non avesse aperto il Cielo anche per noi?
Ecco dunque che come i convertiti di Israele non si stancano di benedire il canto degli angeli che ha indicato ai pastori la grotta di Betlemme, così noi, discendenti dei popoli pagani di tutto il mondo, dovremmo vivere con entusiastica riconoscenza la festa dell’Epifania: in quella carovana di uomini illustri venuti dall’Oriente e guidati dalla stella siamo rappresentati tutti noi, discendenti di un mondo escluso dall’Antica Alleanza e, in loro, chiamato a quella Nuova. L’Epifania è la nostra festa, cerchiamo dunque di capirne qualcosa di più.
Precisiamo anzitutto i contorni temporali: anche se per consuetudine siamo abituati ad associare la venuta dei magi con la natività, dobbiamo necessariamente porre tra i due episodi un anno e mezzo o due anni di distanza. Matteo infatti ci dice che i magi trovarono il Bambino e sua Madre in una casa: evidentemente avevano lasciato la grotta della natività e, non potendosi rimettere in viaggio con un neonato, si erano stabiliti in un’abitazione di Betlemme, dove probabilmente avevano ancora dei parenti; più chiaramente ci dice che il re Erode, dopo essersi informato circa il tempo del loro viaggio, dopo la partenza dei magi fa uccidere i bambini di Betlemme dai due anni in giù (Mt 2, 16): questa dunque doveva essere all’incirca l’età di Gesù al momento della visita dei magi.
Veniamo ora ai protagonisti: chi sono i magi? Sappiamo anzitutto che vengono da ‘oriente’, determinazione piuttosto vaga, che indica semplicemente l’essere stranieri: infatti poiché ad occidente Israele ha solo il mare, chiunque arrivi da fuori, viene da oriente. Dunque più che un’indicazione geografica si tratta di una chiara collocazione etnica e religiosa: i magi sono non ebrei, quindi sono stranieri quanto all’etnia e pagani quanto alla religione.
Più preciso è il termine utilizzato per designarli: magi è un vocabolo di origine persiana, legato probabilmente alla dottrina del mazdeismo, ed identifica una classe di studiosi, di sapienti, e secondo l’uso dell’epoca, oggetto di studio sono la religione, la filosofia, l’astronomia, e ogni genere di sapienza. In nessun luogo invece si dice che fossero dei re, ma questo titolo venne poi applicato loro da vangeli apocrifi per metterli in sintonia con il salmo 72, nel quale si legge: “I re di Seba e di Saba offriranno tributi …”; non di meno possiamo ritenere che fossero, se non proprio dei sovrani, dei personaggi altolocati, dato che solo i ricchi e potenti potevano permettersi di dedicarsi a tempo pieno agli studi così da essere definiti magi, e poter finanziare un’impresa così dispendiosa come il lungo viaggio di una carovana di uomini, bestiame e vettovaglie.
Sarebbe facile vedere nell’episodio dell’adorazione dei magi un racconto simbolico, inventato a bella posta per illustrare la chiamata dei pagani alla fede in Gesù alla pari con gli ebrei. Purtroppo lo fa la gran parte degli esegeti contemporanei, influenzati dai criteri interpretativi della scuola critica di origine illuminista e protestante. Sarebbe facile se non ci fosse narrato proprio dall’evangelista Matteo. Infatti la credibilità storica dell’episodio ha il suo punto di forza proprio nel fatto di comparire in questo vangelo. Come è noto, il Testo di san Matteo è diretto agli ebrei, per convincerli che Gesù è il messia promesso ad Israele, e più degli altri vuole mostrare la continuità tra l’Antico e il Nuovo Testamento: è inconcepibile che proprio lui metta in bella vista che Gesù è il salvatore anche dei pagani.
Il fatto che si tratti di un evento storico realmente accaduto non ci impedisce però di leggere in esso numerosi elementi simbolici che avvalorano ulteriormente il significato di questa festa.
1) Anzitutto vediamo nel lungo e faticoso pellegrinaggio dei magi verso la casa di Betlemme il simbolo del primo incontro e dialogo tra la fede e la ragione: i magi sono gli studiosi che unendo la sincera apertura della mente e del cuore, scevri da pregiudizi, con l’indagine scientifica più avanzata di quel tempo, cioè i movimenti astronomici, si lasciano alle spalle i loro idoli – le false divinità dell’epoca, ma anche gli idoli dello scientismo moderno – e non temono di inginocchiarsi davanti all’unico vero Dio fatto uomo, divenendo così il prototipo dell’uomo vero, che è razionale e credente insieme, senza alcuna contraddizione.
2) Di conseguenza la speciale stella che guida i magi a Betlemme rappresenta ovviamente la luce dell’intelligenza umana e la luce della grazia divina che brillano insieme e che insieme conducono l’uomo al riconoscimento del vero Dio e all’adorazione di Lui, senza complessi.
3) I doni che i magi portano al Bambino sono stati riconosciuti da tutta la tradizione cristiana come i simboli della triplice dignità di Colui che essi sono venuti ad adorare: l’incenso è il profumo che si brucia per onorare la divinità, dunque è il riconoscimento che quel Bambino è Dio venuto nel mondo; l’oro è l’omaggio che si fa ai re, dunque è il riconoscimento che è nato il sovrano dell’intero universo; la mirra è l’unguento con cui si dà degna sepoltura ai defunti di riguardo, dunque con esso si onora anzitempo quella morte che darà la vita al mondo.
Infine notiamo che i sapienti venuti dall’oriente accorrono a Betlemme, mentre coloro che per il loro ruolo ufficiale – sacerdoti e scribi – dovrebbero essere i testimoni accreditati e i garanti credibili della nascita del Messia, sono chiusi nel palazzo di Erode a confabulare per togliere di mezzo il Bambino. Sono questi paradossi che ci danno la misura dello ‘stile’ di Dio.