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EDITORIALE

Enzo Bianchi vuole ridurci al silenzio

«Scrivo in nome e per conto di Enzo Bianchi, priore del monastero di Bose…». Comincia così una lettera inviata nei giorni scorsi al sottoscritto dall’avvocato Andrea Castelnuovo. Ci intima di togliere dal sito tutti gli articoli su Bianchi, ritenuti diffamatori, pena un'azione legale. Ma le accuse sono inconsistenti, e rivelano solo l'intenzione di reprimere ogni dissenso.

Editoriali 05_08_2014
Enzo Bianchi

«Scrivo in nome e per conto di Enzo Bianchi, priore del monastero di Bose…». Comincia così una lettera inviata nei giorni scorsi al sottoscritto dall’avvocato Andrea Castelnuovo di Torino. Come avrete già capito non si tratta di una lettera di saluti o di auguri di buone vacanze, ma di una diffida, tendenza querela: l’avvocato infatti rileva che nel sito de La Nuova Bussola Quotidiana ci sarebbero «numerosi articoli diffamatori nei confronti del priore, della comunità e del monastero di Bose». In più ci viene rimproverato l’uso di fotografie di Enzo Bianchi «senza autorizzazione» e «con l’aggravante dell’uso in senso dispregiativo».

Conclusione: «Vi invito e formalmente diffido a voler immediatamente cessare ogni utilizzo dell’immagine del priore Enzo Bianchi ed in generale delle immagini attinenti al monastero di Bose, nonché a voler eliminare dal sito Internet tutti gli articoli di contenuto diffamatorio, con espressa diffida dall’inserirne di ulteriori. Qualora non provvediate entro il termine di otto giorni dal ricevimento della presente, adirò le competenti autorità giudiziarie a tutela degli interessi dei diritti del mio assistito per ottenere l’inibitoria delle condotte illecite ed il risarcimento dei danni».

Come prima cosa è bene chiarire che dal nostro sito non verrà tolto un bel nulla, perché non c’è niente di diffamatorio né nei confronti di Enzo Bianchi né di chiunque altro. 

Detto questo però occorre rilevare alcune stranezze nella lettera dell’avvocato per poi cercare di capire il senso di questa azione legale.

Intanto, sembra di trovarsi di fronte a una lettera standard che poi di volta in volta viene aggiustata per il destinatario di turno. Ad esempio, si parla genericamente di «numerosi articoli diffamatori», ma poi si fa riferimento preciso soltanto a tre articoli: quello recente di monsignor Antonio Livi (clicca qui) che prendeva le mosse dall’intervista concessa da Enzo Bianchi a Vatican Insider, dopo la sua nomina a consultore del Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani; e due risalenti addirittura al 2012 (uno dei quali pubblicato dalla “vecchia” Bussola): il primo, ancora di monsignor Livi (clicca qui), che si riferiva a un articolo sulla Stampa in cui Bianchi sosteneva la correttezza delle tesi di Hans Kung (non proprio un personaggio ortodosso); l’altro, del sottoscritto (clicca qui), che invece criticava un altro articolo – sempre pubblicato dalla Stampa – in cui Bianchi esaltava il gesto del suicidio dei monaci tibetani.

Tutti questi articoli criticano il contenuto e le modalità degli interventi di Bianchi, ma sempre in modo rigoroso, attenendosi precisamente alle tesi sostenute dal priore di Bose. Per questo fa specie che l’avvocato faccia riferimento alla «non veridicità di molti dei fatti riportati». Tutto ciò che è riportato sono le parole del priore stesso, quindi di quali fatti si parla? Casomai sono proprio queste accuse generiche e infondate dell’avvocato a poter essere oggetto di azioni legali da parte nostra.

Ma procediamo con le stranezze: la lettera di diffida parla di articoli diffamatori non solo nei confronti del priore ma anche della comunità e del monastero di Bose: in realtà solo in un articolo si fa un fugace riferimento alla comunità di Bose, ma soltanto per precisare che – contrariamente a quanto generalmente creduto – non si tratta di un nuovo ordine monastico, dal punto di vista canonico. È ciò peraltro che si deduce anche dalla presentazione che si può leggere sul sito della stessa comunità di Bose. Quindi, dove sarebbero questi articoli diffamatori sul monastero di Bose?

E ancora: la contestazione dell’uso delle fotografie di Enzo Bianchi, come se le avessimo rubate a chissà chi per usarle in modo distorto. Ma Internet è piena di foto di Enzo Bianchi, che non hanno alcun copyright, e che si possono trovare su tantissimi siti. Foto normalissime, in genere primi piani, senza espressioni particolari, come quelle usate da noi. Nulla di sconveniente o di oltraggioso. E poi, di grazia: scrivendo un articolo su Bianchi, la foto di chi o di cosa dovremmo pubblicare? 

E sempre a proposito di foto, l’avvocato ci diffida dal continuare a usare le «immagini attinenti al monastero di Bose». Ma quando mai abbiamo pubblicato foto del monastero?

Di fronte a queste incongruenze e generiche quanto gratuite accuse, sorge dunque la domanda sul perché di questa offensiva legale. La risposta appare abbastanza semplice: un atto di intimidazione, un tentativo di chiudere la bocca a chi osa criticare o anche solo porre domande sulla reale ortodossia delle tesi del priore di Bose. Evidentemente, la fama di “profeta” con cui viene accolto in decine di diocesi italiane, non deve essere neanche minimamente sfiorata dalla critica o dal dubbio. Tutto si può mettere in discussione nella Chiesa – compreso il Catechismo – ma non il “magistero” di Enzo Bianchi. È una ulteriore conferma che questi “maestri del dialogo”, così accoglienti e disponibili verso chi quotidianamente copre di fango la Chiesa, in modo direttamente proporzionale sono intolleranti nei confronti di coloro che all'interno della Chiesa chiedono conto di certe prese di posizione.

In fondo nulla di nuovo, ma è bene che tutti sappiano di che pasta sono fatti certi personaggi che cercano di schiacciare ogni piccolo segno di dissenso proprio nello stesso giorno in cui ad Assisi fanno una lezione sul perdono (clicca qui).