Emigrazione, gli africani contestano i loro leader
Emigranti africani due volte vittime: del malgoverno dei loro paesi d'origine e poi di scafisti senza scrupoli. L'Ue deve ricorrere a un piano d'emergenza. Ma l'Unione Africana resta indifferente alla tragedia. La stampa locale sta iniziando ad accorgersene, a giudicare da alcuni ultimi editoriali molto forti, come quello di Le Quotidien, del Senegal.
“I migranti sono colpiti due volte: dal malgoverno nei loro paesi d’origine, che li spinge a partire, e dai fratelli sudafricani, in cerca di un capro espiatorio per la povertà, la disoccupazione e il degrado”: Padre S’milo Mngadi, portavoce della Conferenza episcopale del Sudafrica, ha così commentato la drammatica situazione degli africani immigrati in Sudafrica, da quasi un mese vittime della violenza xenofoba scoppiata in alcune città del paese.
In sintonia con le sue parole, ma ancora più espliciti e duri sono i commenti di alcuni articoli pubblicati in questi giorni da un quotidiano indipendente del Senegal, Le Quotidien, che dà voce ai sentimenti di una parte almeno dell’opinione pubblica africana, estendendo il discorso a tutto il fenomeno migratorio e ai flussi diretti verso l’Europa in particolare: per dire cose che merita ascoltare.
Sarà anche vero – si legge in un editoriale del 20 aprile – che gli europei chiudono le frontiere e che la concentrazione in Libia degli emigranti si deve al fatto che francesi, inglesi e americani hanno voluto la morte di Gheddafi, ma poi non si sono preoccupati di assicurare la stabilità nel paese. “Ma – prosegue l’editoriale – che cosa hanno fatto i nostri dirigenti africani per assicurare ai loro connazionali condizioni di vita che evitino loro di preferire, a una vita di stenti, la morte in fondo al mare? Che risposta danno ai problemi che ogni giorno noi tutti dobbiamo affrontare? Ogni stato africano è una perla della lunga litania di problemi che spingono le componenti più giovani e vigorose della popolazione africana a ripercorrere il circuito del commercio schiavista benchè la tratta degli schiavi sia stata abolita fin dalla fine del XIX secolo. È questo soltanto che l’Africa ha da offrire ai suoi figli?”
Ancora più gravi sono le accuse che vengono mosse nell’editoriale del giorno successivo. I sondaggi – esordisce – indicano che gli europei stanno diventando xenofobi, per non dire razzisti. Eppure mantengono la loro umanità e si vede da come si prendono cura delle persone che sbarcano sulle loro coste. Invece “nessun governante africano o arabo ha ancora preso la parola per esprimere commozione per quel che accade. È una constatazione scioccante ma che non sorprende. I governanti africani, primi responsabili di quel che succede nel Mediterraneo, hanno da tempo dimostrato un’assoluta mancanza di volontà di cambiare la situazione nei loro paesi. Abbiamo avuto la prova della loro indifferenza ancora una volta. Mentre migliaia di immigrati vengono massacrati in Sudafrica, non un grido d’indignazione, non una protesta. Nessuno ardisce aprire bocca, non certo per i begli occhi di quei poveracci che hanno avuto la buona idea di andare a farsi uccidere lontano da casa, risparmiando ai loro governi il fastidio di trovargli un lavoro e di farli studiare”.
L’editoriale non risparmia neanche i leader sudafricani “che lasciano morire della gente che ha avuto il solo torto di credere nell’unità di un continente e di volersi guadagnare decentemente da vivere nel paese di Mandela, il paese per cui tutti gli Africani hanno lottato all’epoca dell’apartheid”.
In prima pagina, la scritta “Più di mille morti nel Mediterraneo in una settimana. Il naufragio dei dirigenti africani” precede una grande illustrazione che mostra una imbarcazione di emigranti e, sullo sfondo, con i piedi nell’acqua, un gruppo di leader africani. Sotto, una didascalia spiega: i recenti naufragi “obbligano l’Unione Europea a preparare un piano d’emergenza mentre l’Africa resta indifferente alla tragedia (...) Come l’Unione Europea anche l’Unione Africana deve prendere provvedimenti per prevenire un fenomeno che sconvolge il mondo intero. L’Africa e i suoi dirigenti sono i principali interessati in questa tragedia e si devono mobilitare”.
Ma la conclusione dell’editoriale è amara e disperata: “finchè avremo dei governanti come quelli attuali, il cimitero del Mediterraneo non smetterà di accogliere dei cadaveri”.
Un’altra voce africana da ascoltare è quella di Gassama, un ragazzo del Gambia. Ha raccontato la sua storia alla BBC in un’intervista rilasciata il 22 aprile. Nel 2009 ha lasciato il suo paese. Viaggiando attraverso Senegal e Mali ha raggiunto la Libia e, dopo un primo tentativo fallito a causa del maltempo, ha raggiunto via mare l’Italia pagando 870 dollari per la traversata. Adesso vive a Milano e ha aperto una pagina Facebook che usa per dissuadere altri a tentare di lasciare l’Africa passando dalla Libia spiegando i rischi che si corrono durante il viaggio via terra, in Libia e infine quando si prende il mare. “Cerco di convincere la gente a non venire in Europa tramite la Libia – ha detto al giornalista della BBC – e continuerò a farlo. Hanno tutti i diritti di cercare di venire in Europa come ho fatto io, ma dalla Libia è troppo pericoloso”.