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"PRIMAVERA" ARABA

Elezioni in Marocco, c'è rischio islamista

Nelle urne vince il partito Giustizia
e Sviluppo, d'ispirazione islamica. Notizie allarmanti giungono intanto anche dal Congo, dove pure si vota.

Attualità 28_11_2011
Elezioni in Marocco

 

Mentre gli egiziani affollano i seggi nella prima di una lunga serie di tornate elettorali per il rinnovo della camera bassa e del senato, il Marocco riflette sui risultati del voto del 25 novembre che ha visto la vittoria di Giustizia e Sviluppo, Pjd, il partito di ispirazione islamica che ha conquistato 107 seggi parlamentari su 395. Quello marocchino è stato il secondo appuntamento con le urne frutto della “primavera araba” dopo le elezioni svoltesi in Tunisia il 23 ottobre, vinte dal partito islamista Ennahda di Rachid Gannouchi, aggiudicatosi 89 seggi su 217 all’Assemblea costituente e la presidenza del governo, affidata al numero due del partito, Hamadi Jebali.

In Marocco le legislative anticipate, per eleggere il nuovo parlamento, sono state decise da re Mohamed VI per accelerare il processo di democratizzazione del regno già in atto da anni e che, in base alle modifiche costituzionali introdotte e approvate il 1° luglio con un referendum popolare, prevedono tra l’altro un ampliamento dei poteri del parlamento e del primo ministro che inoltre d’ora in poi non verrà più nominato dal sovrano, ma scelto dal partito di maggioranza.

Le proteste popolari, seppur più contenute e moderate rispetto a quelle di Egitto, Tunisia, Yemen e Siria, hanno manifestato nei mesi scorsi l’esistenza anche nello stato maghrebino di gravi tensioni sociali e di un profondo scontento, diffuso anche qui specialmente tra le ultime generazioni che pagano uno sviluppo economico stentato con una disoccupazione che interessa un terzo dei giovani al di sotto dei 35 anni. Sono loro a costituire una parte rilevante del Movimento del 20 febbraio, nato con la “primavera araba”, che ritiene insoddisfacenti le riforme promesse e ha boicottato le legislative definendole una farsa: non cambieranno la composizione della classe politica al potere - sostiene - e non porranno fine ai problemi del paese, a incominciare dalla corruzione, dal clientelismo e dall’organizzazione interna, tutt’altro che democratica, dei partiti.

Alla vigilia del voto, si diceva che proprio i giovani, che rappresentano il 57% dell’elettorato, sarebbero stati l’ago della bilancia. Lo sono stati, a quanto pare, nel determinare la deludente affluenza alle urne - soltanto il 45,5% degli aventi diritto contro il 74% registrato a luglio per il referendum - segno che l’appello al boicottaggio lanciato dal Movimento del 20 febbraio ha convinto molti elettori.

Quanto alla vittoria netta del Pjd, seppure ridimensionata dalla bassa percentuale dei votanti, i giudizi degli osservatori politici internazionali sono discordanti. C’è chi teme una ulteriore affermazione dell’islamismo anche in Marocco, come già in Tunisia e, molto probabilmente, in Egitto, in queste ore. Per contro non mancano voci che esprimono fiducia in una maturità politica e in una reale volontà di democrazia presente anche nell’Islam e che il Pjd incarnerebbe.

Di certo, per il momento, vi è che in Marocco, e dovunque andranno al potere, da soli o coalizzati con altre forze politiche, i partiti islamisti dovranno dimostrare senza indugi e con tangibili iniziative l’intenzione e la capacità di realizzare le promesse fatte agli elettori. Per decenni hanno conquistato consensi denunciando la corruzione, il malgoverno, le ingiustizie commesse e la proterva arroganza dei regimi al potere e non di rado supplendo alle carenze dei governi con opere di assistenza e aiuto alle popolazioni in difficoltà. Non più all’opposizione né tanto meno perseguitati, ma da leader acclamati e democraticamente scelti, non possono permettersi di seguire le orme dei loro predecessori.

Ben diverse, e sicuramente ancora più allarmanti, sono le prospettive di un altro importante paese africano in cui si stanno svolgendo le elezioni presidenziali e legislative, la Repubblica Democratica del Congo, ultima quest’anno, su 187 stati, nell’Indice dello Sviluppo Umano dell’Undp, l’agenzia per lo sviluppo delle Nazioni Unite. La ricchezza di minerali preziosi e di risorse naturali del Congo è tale da essere stata definita “uno scandalo ecologico” negli anni 90. Il vero scandalo è il livello estremo, inimmaginabile di corruzione e di malgoverno: prima, dal 1965 al 1997, sotto il regime di Sese Seko Mobutu, poi, dal 1997 al 2001, con Laurent Désiré Kabila e infine, dopo l’uccisione di quest’ultimo, con Joseph Kabila, suo figlio ed erede politico, che da solo pare abbia già dilapidato qualcosa come 5,5 miliardi di dollari: e tuttavia oggi sicuro della vittoria dopo aver ottenuto una modifica costituzionale che ha soppresso il ballottaggio e in virtù della quale, quindi, il candidato presidenziale che ottiene più voti vince al primo turno.

La “primavera araba” non ha contagiato il Congo. La sua popolazione - circa 68 milioni di persone - è troppo stremata dalla miseria: ha un PIL pro capite di 280 dollari e una speranza di vita alla nascita di 48 anni rispetto, ad esempio, ai 7.281 dollari e ai 74 anni della Tunisia, ai 4.196 dollari e ai 72 anni del Marocco e ai 5.269 dollari e ai 73 anni dell’Egitto.