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VITA

Elena, la mamma che la mattina uscì disperata...

«Oggi, qui dentro, è successo davvero un miracolo! Dobbiamo ringraziare san Gennaro!». A queste parole pronunciate da Elena, scoppiamo tutte e due a ridere. «San  Gennaro?», le dico tra le risa, «siamo a Milano, Elena». «Sì, ringraziamo sant’Ambrogio e, poi, tutti i santi perché la mia vita è completamente cambiata».

Editoriali 22_11_2014
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«Oggi, qui dentro, è successo davvero un miracolo! Dobbiamo ringraziare san Gennaro!». A queste parole pronunciate da Elena che aveva tanto pianto, scoppiamo tutte e due a ridere; una grande risata liberatoria! «San  Gennaro?», le dico tra le risa, «siamo a Milano, Elena». «Ha ragione! Ringraziamo sant’Ambrogio e, poi, tutti i santi perché la mia vita è cambiata completamente». Questa la frase conclusiva di un colloquio drammatico, che più drammatico non si può.

Elena, infatti, mi ha raccontato la sua situazione veramente tragica; mi sembrava una matassa arruffata dove un gattino si sarebbe trovato a meraviglia per tutti i nodi intricati che vi si incrociavano. Ha già una figlia di cinque anni, avendone lei trentanove; il padre della sua bambina se n’è andato e la piccola soffre molto per la sua mancanza anche se le telefona quasi tutti i giorni a suon di «Amore del tuo papà! Tesoro mio!». Con aria triste e una nota di disperazione nella voce, racconta: «Io so molto bene che cosa vuol dire crescere senza papà. La mia mamma, infatti è stata violentata e, nonostante tutto non mi ha abortito.

In paese gliene dicevano di tutti i colori, ma lei ha tenuto duro e, se oggi io ci sono, è stato per la sua forza d’animo. Adesso è ridotta su una sedia a rotelle ma è ancora lei a spronarmi e, pur avendo una pensione minima più l’assegno di accompagnamento, mi aiuta tutte le volte che può». Naturalmente piange. «Ora sono incinta alla sesta settimana; con il padre di questo bambino c’è stata una bella amicizia per quindici anni. Era, evidentemente, solo una bella amicizia!

Poi, rimasta da sola, l’amicizia si è trasformata in un sentimento amoroso; stavamo bene insieme. Non avevamo pensato a un figlio che, però, è arrivato. Gli ho dato la notizia e non mi ha coccolato, non si è emozionato, ha solo esclamato con rabbia “devi abortire, assolutamente abortire, non voglio essere un padre bastardo. Hai sempre saputo che ho questi due figli gemelli a cui devo provvedere”. Così me ne sono andata di casa con la mia bambina; da sola non avrei mai potuto pagare quell’affitto. Possiedo un monolocale di 15 metri quadrati per il quale ho acceso un mutuo che non sto pagando da cinque anni e per il quale sto aspettando, da un giorno con l’altro, l’ufficiale giudiziario».

Sono assolutamente attonita. La matassa si aggroviglia sempre di più. Non so pensare né, tanto meno, parlare. É il momento del silenzio. Elena, però, è un fiume in piena e continua: «Ho cercato di procurarmi un’occupazione indipendente circa tre anni fa. Sono gelataia e, con tanti debiti, ho aperto una gelateria. É andato tutto male; perfino il commercialista ha commesso errori per i quali ho dovuto pagare parcelle salate di avvocati e multe sopra multe.

Comincio a fare i conti ma poi mi prende una grande paura e metto via tutto». Il suo pianto è continuamente interrotto dai singhiozzi; mi sembra impossibile consolarla in qualche modo. Devo solo trovare la possibilità per aiutarla. Nel silenzio che ci avvolge, mi viene improvvisamente alla mente che prima di Elena è arrivato un amico, di quelli veri, che ha lasciato in segreteria un assegno di 5.000 euro perché li usassi per un progetto. É scappato via senza nemmeno volermi salutare, anche se in quel momento la mia porta era aperta visto che non avevo nessuno.

Posso offrirle questa somma, a 250 euro mensili com’era il Fondo Nasko in origine, (penso), ma i grandi guai restano. Mi tornano in mente le sue parole:«sto solo aspettando che compaia l’ufficiale giudiziario in divisa» e, a questo punto, io provo a pensare a una possibile soluzione. Ricordo all’improvviso che una certa coppia andrà via da casa nostra il 10 dicembre; una delle situazioni assolutamente fortunate in cui siamo riusciti ad avere l’assegnazione di una casa popolare. «Elena, …» e le racconto di questa possibilità di accoglienza. Mi sembra perplessa. Dopo capisco che si sta chiedendo come fare a proporre a Chantal la coabitazione con altri. Ne parliamo. Quasi subito conviene sul fatto che ai bambini si può dire la verità cercando di mettere in luce i lati positivi. Ed ecco il telefono. Deve essere una cosa urgente perché in segreteria sanno bene che non desidero rispondere durante un colloquio. «Paola ti chiamo perché una tua amica ha appena saputo che la signora che l’aiuta in casa, ha una malattia seria, deve subire un intervento chirurgico e lei non può assolutamente fare a meno di una collaborazione domestica».

Quando si dice la Provvidenza! Chiudo il telefono e guardo Elena. Con un leggero sorriso le dico: «Oggi deve essere il suo giorno fortunato. Un’amica mi chiede di aiutarla a trovare qualcuno che le dia una mano per la manutenzione della casa. Se la sentirebbe?». I fazzolettini si sprecano! Elena è felice di questa possibilità di lavoro per il quale le permetteranno anche di portare il suo nuovo bambino. «Mi sono alzata disperata e questa sera andrò a letto tranquilla. Sono sicura che farò dei bei sogni».