Egitto, un inquietante appello all'intifada
La radice della parola intifada significa agitare o rimuovere: definizione che calza alla situazione egiziana, dove i fratelli musulmani vogliono rimuovere la rivolta popolare, prima che metta radici profonde.
L’appello lanciato nei giorni scorsi da esponenti dei Fratelli musulmani a intraprendere un’ennesima intifada, questa volta in Egitto, ha scatenato la curiosità e la preoccupazione di alcuni analisti. Il giornalista britannico Adel Darwish ha lanciato su Facebook la seguente richiesta: “Domande agli amici in Egitto. Devo dedurre qualcosa dal richiamo da parte della leadership dei Fratelli musulmani a una rivolta utilizzando però una parola non egiziana, ma aliena come intifada? Nei trent’anni in cui mi sono occupato della regione non mi è mai capitato di vedere o di sentire un egiziano usare questo termine se non con riferimento alla ribellione palestinese iniziata nel 1989 e certamente mai in un contesto egiziano. Ho la sensazione che la scelta delle parole abbia un significato. Idee, per favore?”
Un dato è certo: la parola intifada non è contenuta nel testo coranico e non ha uno specifico riferimento religioso. Ed è per questo che risulta strana se pronunciata dai Fratelli musulmani, il cui lessico è marcatamente religioso o da leggersi in un contesto islamico. Scartata l’ipotesi religiosa, essendo Hamas la filiale palestinese dei Fratelli musulmani, potrebbe trattarsi di un parallelo con le due intifada contro l’occupazione israeliana. Tuttavia prima di giungere a una soluzione, anche se ipotetica, occorre ripercorrere la storia dell’intifada nel mondo arabo. In epoca contemporanea la prima intifada degna di menzione è la cosiddetta “intifada di marzo”. Era il 1965 e in Bahrein scoppia una rivolta, guidata da movimenti di sinistra, contro l’ingerenza britannica nel paese e contro i sovrani locali. Il motto dei manifestanti è “Basta con il colonialismo!” Al movimento si uniranno anche i nazionalisti arabi che si ispiravano a Nasser. I giornali dell’epoca riportano che tremila manifestanti scagliarono pietre, che in Palestina saranno il simbolo della rivolta, contro gli uffici della Bahrain Petroleum Company, rea di avere licenziato quattrocento cittadini del Bahrain. Nel 1970 è la volta del Sahara spagnolo e della cosiddetta intifada di Zemla. Anche in questa occasione ci si vuole affrancare dai colonizzatori e i manifestanti lanciano sassi.
Nel 1977 in Egitto, ed è questa la prima volta in cui viene utilizzato il termine nel paese dei Faraoni, si assiste alla celebre “intifada del pane”. Tutto inizia nel 1974, quando il presidente egiziano Sadat decide un avvicinamento agli Stati Uniti e all’occidente, segnando un cambiamento radicale rispetto al suo predecessore Nasser. L’obiettivo è quello di attirare investimenti stranieri nel paese. Nel 1976 Sadat prende prestiti dalla Banca Mondiale con l’impegno di ridurre i sussidi statali. Il 17 gennaio 1977 l’annuncio della cancellazione di circa trentamila dollari di sussidi incendia gli animi e il giorno seguente iniziano manifestazioni e scioperi che portano a scontri tra polizia e protestanti e ad attacchi contro uffici statali e governativi. Il 19 gennaio il governo è costretto a cancellare i decreti. Dal 1987 al 1993 scoppia la prima intifada palestinese, seguita da una seconda dal 2000 al 2005 circa. Obiettivo, come si è detto, è l’occupazione israeliana. Una rivolta popolare che ben presto si ammanta di motivazioni e giustificazioni religiose come si evince dallo Statuto di Hamas.
Dopo l’assassinio di Rafiq Hariri nel 2004 anche il Libano vive la propria intifada per l’indipendenza. A differenza degli altri casi esposti si tratta di una rivoluzione pacifica, dove l’unica bandiera ammessa è quella libanese, a indicare l’unità nazionale. Tuttavia anche in questo caso si vuole cacciare un’ingerenza, quella siriana, al grido “Syria Out”. Quanto appena esposto ci porta ad almeno due conclusioni certe: il termine intifada viene usato non solo in riferimento alla Palestina ed è presente nella storia d’Egitto del secolo scorso.
A spiegare l’uso da parte dei Fratelli musulmani in questi giorni viene in soccorso un articolo dal titolo “La grammatica dell’intifada”, pubblicato nel 2005 sul sito Islam Online vicino alla Fratellanza. Qui si legge: “La parola intifada (letteralmente “agitare”) suggerisce una semantica interessante e un paradigma culturale nel contesto del mondo arabo-islamico. La radice della parola intifada è nafada che significa agitare o rimuovere. Il significato attuale della parola è “un movimento creativo che genera qualcosa di nuovo da qualcosa di vecchio.” Il significato implicito è che ciò che viene rimosso – l’occupazione sionista della Palestina – non ha radici profonde”.
E’ probabilmente quest’ultimo il significato che più calza alla situazione egiziana degli ultimi giorni. Un cambio di potere voluto dal basso, ma non ancora radicato. Un cambiamento che dai Fratelli musulmani è considerato un vero colpo di Stato ai danni di un presidente democraticamente eletto, quindi una sorta di “occupazione” del potere. Quindi un’intifada contro l’occupante illegittimo da “rimuovere” al più presto prima che metta radici. Questa volta però la Fratellanza non ha fatto i debiti conti con la base e con il popolo che ha voluto la cacciata di Morsi e che ha capito che l’islam non è la soluzione, e si è ribellato.