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TERRORISMO

Egitto, perché i copti perdonano i loro aguzzini

Dopo la strage nella basilica di San Pietro e Paolo, il Cairo, la Chiesa copta chiede di far luce sul crimine, ma si dice pronta a perdonare i terroristi. Solo un amore più grande, in grado di salvare anche ciò che è stato annientato, potrebbe rendere possibile a un uomo di arrivare al perdono di chi ha distrutto la vita di amici, padri, madri, fratelli, figli.

Libertà religiosa 29_12_2016
Cairo, dopo la bomba

Mentre assistiamo all'escalation di attentati in Europa e nel resto del mondo è ancora più significativo pensare a quanto sta accadendo dopo la strage nella basilica copta di San Pietro e Paolo del Cairo. Guardando le immagini è difficile immaginare quanto veleno ideologico, economico o di altro tipo deve esserci nel corpo e nel cuore di un ventiduenne capace di entrare in fretta in una chiesa per farsi scoppiare uccidendo uomini, donne e bambini mentre prendono parte al sacrificio di Cristo durante la Messa. E’ questo che ha scoperto la polizia egiziana indagando sull'attentato nella capitale egiziana, dove l’11 dicembre scorso il kamikaze islamico di nome Mahmoud Shafik Mohamed, ripreso dalle telecamere poste sulla via adiacente alla basilica, ha ucciso 25 persone ferendone 49.

Basta poi immedesimarsi anche solo un istante con le famiglie delle vittime per percepire la rabbia e il dolore che istintivamente devono aver provato alla notizia non solo di aver perso i propri cari, ma di averli perduti a causa di un male gratuito, cioè privo di ragione o senso, scaricato su innocenti che al proprio carnefice non avevano fatto alcun torto. Eppure queste persone hanno deciso di perdonare gli autori della strage, quattro dei quali (una donna e tre uomini) sono stati arrestati. E, sapendo che il perdono viene solo da Dio, hanno voluto domandarlo facendosi accompagnare dal loro vescovo nella preghiera. “Certamente – ha spiegato il vescovo copto Angaelos – storicamente in Egitto dopo ciascuno di questi attentati o di attentati simili è emersa la rabbia e la denuncia pubblica, ma mai rappresaglia o vendetta”. Dunque, se da una parte la chiesa copta ha chiesto di far luce suoi fatti e che sia fatta giustizia, nello stesso tempo ha risposto con la preghiera, spiegando che “siamo pronti a perdonare le persone che ci hanno fatto questo, perché alla fine, la mancanza di perdono procura ancor più dolore a noi che ad ogni altra persona”. Angaelos ha aggiunto che il perdono “è sempre avvenuto naturalmente da decenni fra i copti” che hanno subito attentati.

Ma come, se non è umanamente possibile, dato che il perdono non ha nulla a che vedere con il “lasciar correre” che prova a dimenticare il male ricevuto? Come, se non è una soglia di tolleranza che dipende dalla grandezza del torto subito? Come, se perdonare significa regalare (donare) completamente (per) qualcosa a chi ci ha privato di un bene fondamentale? In questo caso il più grande che esista, ossia un familiare. Cosa ridare se ci è stato tolto l’amore necessario a permetterci a nostra volta di amare? Solo un amore più grande, in grado di salvare anche ciò che è stato annientato, potrebbe rendere possibile a un uomo di arrivare a tanto. L’amore di qualcuno che a sua volta lo ha perdonato, di qualcuno a cui ha rubato qualcosa e che in risposta gli ha regalato un bene infinito. Nella storia esiste solo una persona che è riuscita a fare tanto, il figlio di Dio incarnato che sulla croce, e ogni giorno nei confessionali di mezzo mondo, rimette i peccati ai suoi aguzzini. A chi lo tradisce continuamente. A noi, che lui insegue con una tenacia proporzionalmente crescente ai nostri errori e le nostre fughe, come spiegò Benedetto XVI nel 2008: "Dio non fallisce. O più esattamente: inizialmente Dio fallisce sempre, lascia esistere la libertà dell’uomo, e questa dice continuamente "no". Ma la fantasia di Dio, la forza creatrice del suo amore è più grande del "no" umano. Con ogni "no" umano viene dispensata una nuova dimensione del suo amore, ed Egli trova una via nuova, più grande, per realizzare il suo sì all’uomo, alla sua storia e alla creazione". Questo ridare continuamente più di quanto si è perso è una cosa possibile solo a Dio appunto, il cui amore è illimitato. Non agli uomini. Per questo i copti, decidendo di perdonare, stanno chiedendo a Cristo la grazia di essere investiti dal Suo amore.

Unicamente in quest’ottica il male subito, non solo non annienta, ma diventa occasione per lasciarsi possedere dalla agape infinito (quello a cui ogni uomo anela) che supera qualsiasi male fatto o subito, che non toglie il dolore ma lo abbraccia trasformandolo in un frutto divino. E solo così si comprendono le parole di Angaelos sulla convenienza del perdono come innanzitutto necessario a chi lo dà. Da qui nasce anche il rimedio più efficace agli attentati perché il perdono cristiano, oltre ad essere l'unico antidoto alla spirale di odio generata dal male gratuito, non è una fuga o un rimedio spirituale per la vittima ma reca con sé la giustizia. Infatti, chi davvero perdona mira a far comprendere al colpevole il torto fatto come condizione necessaria al suo pentimento e quindi all’accoglimento dell’amore per-donato. Nella storia non si è mai assistito a una possibilità diversa da questa grazia supplicata a Dio che sia in grado di recare al mondo pace vera e duratura.