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MEDIO ORIENTE

Egitto in stallo, a pagare sono i cristiani

Fallito ogni tentativo di mediazione tra militari e Fratelli Musulmani, l'esercito ha la tentazione di passare alle maniere forti ma le pressioni internazionali frenano quello che potrebbe diventare un bagno di sangue. Ma in questa situazione bloccata c'è un'escalation di violenze contro i copti, soprattutto fuori dal Cairo. Tutte le fazioni egiziane sono però unite nell'insofferenza verso l'amministrazione Obama.

Esteri 10_08_2013
Manifestazione pro Morsi

Poteva mancare al Cairo la “marcia del milione” nel venerdì che è pure il secondo giorno dell'Eid, la festa che chiude il mese di Ramadan? Ovviamente no. E così anche ieri in Egitto è andata in scena l'ennesima protesta dei sostenitori del deposto presidente Mohammed Morsi, accampati nelle due piazze di Rabaa e di Nahda. Nuova replica di un copione che va avanti ormai da sei settimane.

In teoria alla vigilia della festa sia il generale al Sisi sia il premier Beblawi avevano minacciosamente sentenziato che ormai era arrivato il momento di sgomberare i sit-in, con le buone o con le cattive. Soprattutto dopo che la mediazione internazionale - condotta tra gli altri dall'Alto rappresentante per la politica estera dell'Unione europea Catherine Ashton e dal senatore americano John McCain, insieme alle diplomazie dei Paesi del Golfo - non ha portato a nessuna soluzione. Si era parlato di un esilio dorato per Morsi e di tre ministeri per i Fratelli musulmani nel governo di transizione, oltre a garanzie sulle proprietà del movimento. Ma gli islamisti non sarebbero disposti ad accettare l'uscita di scena del presidente deposto.

Il generale al-Sisi vorrebbe dunque spazzare via la protesta dei sostenitori di Morsi e si fa forza dei sondaggi: l'ultimo diffuso dal Baseera Center for Public Opinion Research dice che appena il 20% degli egiziani oggi simpatizzerebbe per Morsi. E un altro della Gallup - realizzato prima del colpo di mano del 3 luglio scorso - dava ai Fratelli Musulmani livelli di consenso molto simili (contro il 67% registrato in loro favore dallo stesso istituto di ricerca nel gennaio 2012). Il nuovo uomo forte del Cairo deve, però, fare i conti lo stesso con le diplomazie di mezzo mondo che non sembrano avere intenzione di lasciare all'esercito mano libera nelle due piazze. Anche perché un'azione del genere potrebbe facilmente trasformarsi in un nuovo bagno di sangue, con accuse incrociate tra i generali e gli islamisti.

In questa situazione di stallo ci sono però due elementi che si accentuano sempre di più: il primo sono le violenze fisiche e psicologiche nei confronti dei copti che non accennano a diminuire. Ieri i sostenitori di Morsi sono andati ad attaccare un poster del presidente deposto pure sui muri esterni del patriarcato copto ortodosso al Cairo. Ironia della sorte: quello stesso patriarcato dove quello che si autoproclamava il presidente di tutti non si è fatto vedere nemmeno in occasione dell'intronizzazione del nuovo papa Tawadros II. Peggio ancora, però, era andata qualche giorno fa nella città di Sohag, nel solito Alto Egitto, dove i fedeli barricatisi in una chiesa nel corso dell'ennesima dimostrazione anti-copta da parte degli islamisti si sono ritrovati esposta fuori dall'edificio sacro una bandiera nera di al Qaida.

Notizie di assalti e intimidazioni nei confronti dei cristiani - indicati espressamente come “i mandanti del golpe” - sono praticamente quotidiane, soprattutto fuori dal Cairo, dove il controllo dell'esercito è molto relativo. E mercoledì ben 16 organizzazioni locali per la difesa dei diritti umani hanno diffuso un documento congiunto in cui denunciano “la persistente negligenza delle istituzioni dello Stato nel fornire la necessaria protezione ai cittadini cristiani, nel fronteggiare gli attacchi settari e nel far valere la legge nei confronti dei responsabili delle violenze che si stanno verificando in diversi governatorati”.

L'altro elemento sempre più palpabile al Cairo è - infine - l'aumento dell'impopolarità degli Stati Uniti. Che siano pro o anti-Morsi, musulmani radicali o cristiani copti, ex sostenitori di Mubarak o giovani liberali, c'è una cosa che mette d'accordo tutti: gli egiziani ce l'hanno comunque con Barack Obama. I Fratelli Musulmani lo accusano di aver abbandonato il presidente “legittimo”, i sostenitori dei generali non gli perdonano di non essersi schierato con la folla scesa in piazza il 30 giugno. I copti poi si sentono del tutto ignorati dall'amministrazione americana in un momento così difficile. Così in Egitto ciascuno accusa l'altro di cospirare con gli Stati Uniti per gettare il Paese nel caos e fargli fare la fine della Siria. Una Caporetto totale per l'inquilino della Casa Bianca che proprio dal Cairo - nella primavera 2009 - era partito con l'illusione di lasciare la sua impronta in Medio Oriente.