Egitto, chiese nel mirino. E noi in Italia?
Ancora cristiani uccisi in Egitto nell'attacco a una chiesa, dimostrazione che il terrorismo islamico è sempre ben vivo. Ma davanti alla grande testimonianza di fede dei cristiani in Medio Oriente, è ancora più grande l'amarezza per il modo in cui da noi degradiamo le chiese e la liturgia.
Puntuale, con l’approssimarsi del Natale Ortodosso (7 gennaio) è arrivato in Egitto l’ennesimo attentato in una chiesa, l’ennesimo attentato contro i cristiani. È successo ieri mattina nella chiesa di Mar Mena a Helwan, a sud del Cairo: un uomo (altre versioni dicono due) ha sparato uccidendo sette persone, tra cui una guardia islamica. Poco prima in un negozio lo stesso attentatore aveva ucciso due fratelli cristiani. Bilancio totale, nove vittime. Sono quindi cento, riferisce l’Associated Press, i cristiani uccisi da estremisti islamici in Egitto nel 2017.
Ancora una volta l’attentato è stato rivendicato dall’Isis, a dimostrazione che lo Stato Islamico avrà pure perso gran parte del territorio che aveva conquistato tra Iraq e Siria, ma rimane sempre vivo e capace di colpire ovunque.
Quanto accade in Egitto (e altrove), inoltre, mette in evidenza che i cristiani non sono vittime accidentali di un conflitto tra musulmani, come tanti buonisti nostrani vorrebbero che fosse. Se è vero che in Medio Oriente c’è una guerra tra sunniti e sciiti e quindi molte vittime di attentati sono musulmane, è altrettanto evidente che i cristiani sono un obiettivo non casuale, la loro sparizione è in cima alle priorità dei vari gruppi estremistici. E questo non riguarda solo i paesi a maggioranza islamica, ma anche l’Europa, come tanti sacerdoti mediorientali non si stancano di avvertirci. Certe manifestazioni che si sono viste anche in queste settimane in tante capitali europee, magari con il pretesto della solidarietà al popolo palestinese, sono un avvertimento molto chiaro.
Tornando all’Egitto e agli altri paesi mediorientali dove i cristiani sono perseguitati o fortemente discriminati, non si può non meditare sull’esempio di fedeltà e testimonianza che questi fratelli danno restando nei propri paesi, coscienti della grande responsabilità che hanno nel far sì che la presenza di Cristo continui a vivere nella regione dove il Signore è nato, è vissuto, ha insegnato ed è risorto. Noi non possiamo neanche immaginare cosa significhi vivere nella consapevolezza che in qualsiasi momento si possa diventare vittime del fanatismo violento; andare ogni domenica a messa, soprattutto nelle grandi festività, sapendo che diventare vittime di un attentato terroristico è una possibilità tutt’altro che remota.
Eppure vivere tutto questo con letizia, sapendo che «se Cristo è con noi chi sarà contro di noi?». Messi a morte tutto il giorno, trattati come pecore da macello ma – dice San Paolo scrivendo ai Romani - «in tutte queste cose noi siamo più che vincitori per virtù di Colui che ci ha amati». Vivere la funzione domenicale, celebrare la liturgia come espressione massima di comunione con il Signore, come la luce che illumina il resto delle giornate.
Proprio guardando a questo esempio di fede non si può non sentire ancora di più l’amarezza per il modo in cui da noi, in Italia, vengono sempre più degradate le chiese, come la nostra campagna “salviamo le chiese” sta mettendo drammaticamente in evidenza. Non si può non sentire lo sdegno per il modo in cui alcuni sacerdoti – come testimoniamo nel servizio odierno (clicca qui) - privilegiano il proprio narcisismo spirituale “violentando” la messa, negandola ai propri fedeli, riducendola a pretesto per lanciarsi in comizi politici o rivendicazioni sociali.
Non si può non provare vergogna per tutta questa cialtronaggine, alimentata da pseudo-teologie, davanti a chi ogni giorno ci testimonia con la semplicità della vita che non c’è nulla che valga più del Signore.