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MEDIO ORIENTE

Egitto, a pagare saranno i cristiani

Non solo massacri in piazza. Ci sono decine di chiese assaltate in tutto il Paese e i Fratelli Musulmani da mesi indicano i cristiani come obiettivo della loro ira. E anche la diplomazia occidentale (Usa in testa) ha responsabilità evidenti. 

Esteri 16_08_2013
Il generale al-Sisi

Mi sono sempre chiesto che cosa porti noi giornalisti in certe occasioni a dare così tanta importanza ai numeri. Da due giorni sull'Egitto continuiamo a dare i numeri, come se avesse qualche importanza adesso quante sono di preciso le vittime. E' ormai fin troppo chiaro che al Cairo - ma anche nel resto del Paese - si sono puntualmente materializzati tutti i fantasmi di cui anche su queste colonne parlavamo da settimane. Con l'esercito che - dopo settimane di stallo - ha scelto il bagno di sangue per reprimere le proteste dei Fratelli Musulmani; e gli islamisti che - fuori dal Cairo, dove sono più forti - immediatamente hanno scagliato come rappresaglia la propria ira contro le chiese e le case dei cristiani. Obiettivi annunciati che l'esercito egiziano si è per l'ennesima volta dimostrato incapace (o non così interessato) a proteggere,

Così oggi la diplomazia europea può versare le sue lacrime da coccodrillo, Obama - in vena di iniziative “forti” - annulla le esercitazioni congiunte con l'esercito egiziano (quasi si trattasse di un appuntamento epocale...), Erdogan dalla Turchia può proporsi come paladino un po' improbabile delle proteste di piazza e l'Arabia Saudita, velocissima un mese fa nello schierarsi al fianco dei generali egiziani, ora tace imbarazzata.

Dietro ai cadaveri e alle macerie delle piazze di Rabaa e Nahda sgomberate senza andare per il sottile, come delle decine di chiese incendiate in tutto l'Egitto, ora resta in tutta la sua crudezza un dramma iniziato ben prima del colpo di mano dei militari. Perché bisognerà pur chiedersi anche che cosa abbia portato così tanti egiziani a invocare la mano dura di un esercito che non brilla certo per garantismo. E - insieme - come mai quasi all'unisono dal Sinai all'Alto Egitto, in tutte le città, il riflesso condizionato degli islamisti di fronte alle notizie che arrivavano dal Cairo sia stato sempre lo stesso: il pogrom nei confronti dei cristiani, senza ovviamente grandi distinzioni tra copti, cattolici, anglicani o avventisti del settimo giorno.

C'è una vulgata che già circola in proposito ed è quella secondo cui i cristiani avrebbero pagato il prezzo della mossa del papa copto Tawadros II, apparso incautamente in tv il 3 luglio insieme all'imam di al Azhar a benedire il golpe dei generali. Si può ovviamente discutere l'opportunità di questa scelta del papa copto, nel mirino anche per un “incauto” tweet di sostegno all'esercito in occasione dei primi scontri avvenuti intorno alla moschea di Rabaa, a metà giugno. Ma quello che non si può fare è bersi la favola secondo cui tutto sarebbe iniziato così. Come se i Fratelli Musulmani non avessero alcuna responsabilità nella creazione di quel clima apertamente ostile nei confronti dell'Egitto non islamista che ha portato al muro contro muro. E Washington non avesse nulla da rimproverarsi.

Il bagno di sangue di oggi è infatti figlio di un'escalation iniziata nel novembre 2012, quando Morsi - forte della mediazione nella guerra tra Israele e Hamas - impose con un colpo di mano una Costituzione dall'impronta fortemente islamista. Già allora l'Egitto liberale era sceso in piazza e già allora c'erano state giornate di fortissima tensione con morti e feriti, con gli islamisti che andavano ad attaccare i presidi davanti al palazzo presidenziale. I Fratelli Musulmani non avevano comunque accettato di rinegoziare quel testo e già allora avevano cominciato a giocare la carta delle divisioni settarie. Da mesi le loro emittenti denunciano “il complotto dei copti” e attaccano l'Egitto laico. E in nome della “stabilità” del Paese la Casa Bianca ha fatto finta di non capire. Così la pentola a pressione ha continuato a bollire e si è arrivati alla grande manifestazione del 30 giugno contro il presidente. Con tutto quanto è venuto dopo.

E' difficile dire che cosa potrà accadere adesso. L'Egitto appare davvero sull'orlo della guerra civile, anche perché - come la giornata di mercoledì ha ampiamente dimostrato - fuori dal Cairo l'esercito non è in grado di controllare la situazione. C'è davvero da pregare molto per questo Paese dalle radici cristiane antichissime. Che non possono finire anche qui stritolate da un braccio di ferro folle tra generali e fondamentalisti.