Effetto Kiev, Putin taglia il gas all'amica Serbia
Con una decisione apparentemente improvvisa, Putin ha ordinato di ridurre del 28% le esportazioni di gas verso la Serbia. Le motivazioni sarebbero da ricercare nel fatto che Belgrado si sarebbe rifiutato di siglare un accordo per sanare, entro marzo 2015, il debito di circa 200 milioni di dollari. Ma non c'è solo questo.
Sebbene la risolutezza di Vladimir Putin sia nota ai più, fino a pochi giorni fa quasi nessuno a Belgrado credeva che un giorno sarebbe toccato sperimentarla proprio al suo Paese. Con una decisione apparentemente improvvisa, infatti, il presidente russo ha ordinato di ridurre del 28% le esportazioni di gas verso la Serbia. Secondo i media locali, le motivazioni di questo gesto inatteso sarebbero da ricercare nel fatto che, durante il meeting del 16 ottobre scorso, il primo ministro Aleksandar Vucic si sarebbe rifiutato di siglare un accordo per sanare, entro marzo 2015, il debito di circa 200 milioni di dollari che il Paese ex-jugoslavo ha nei confronti di Gazprom.
Il premier serbo, però, ha voluto immediatamente rassicurare i propri connazionali, promettendo di risolvere quanto prima la vertenza, anche se questa improvvisa crisi lo ha colto di sorpresa e infastidito non poco, come ha evidenziato il quotidiano Danas. La telefonata risolutiva, stando al comunicato ufficiale del suo staff, dovrebbe avvenire mercoledì prossimo, quando il primo ministro cercherà di convincere Putin ad accettare la soluzione anticipata già nei giorni scorsi da alcuni membri del governo (100 milioni di dollari entro la fine dell’anno e ristrutturazione della restante parte del debito) e ad accelerare le pratiche per l’export delle Fiat prodotte a Kragujevac.
A gettare realmente acqua sul fuoco, comunque, ci avevano già pensato il vice-premier e ministro degli Esteri Ivica Dacic e il ministro dell’Energia Aleksandar Antic. Il primo, infatti, ha messo in evidenza il fatto che i due Paesi, pur avendo relazioni molto amichevoli, non potevano dimenticare i parametri economici e che quindi, in sostanza, era normale che da un lato Mosca cercasse di farsi pagare e dall’altro Belgrado tentasse di rimandare le scadenze per concentrarsi sulle riforme interne. Il secondo, invece, ha tranquillizzato tutti, garantendo che per il Paese non ci sarebbero stati problemi reali, soprattutto perché, a suo dire, il sistema energetico locale è stabile. Antic ha anche affermato che a suo modo di vedere la decisione di Putin non intendeva colpire direttamente la Serbia, poiché essa rientra in una generale politica di riduzione delle forniture anche a Polonia, Slovacchia, Ungheria, Bosnia ed Erzegovina, tutte Repubbliche che si approvvigionano di gas russo attraverso l’Ucraina.
Agli occhi di alcuni commentatori, infatti, sembra che sia stato proprio il duro negoziato fra Kiev e Mosca sul tema delle forniture energetiche a condizionare l’export verso i Paesi dell’Europa centro-orientale. Se ciò sembra assolutamente verosimile per quanto riguardo gli Stati citati pocanzi, la situazione appare più complessa per quanto concerne la Serbia, poiché, anche considerando il debito pregresso, era di difficile previsione un’azione del genere nei confronti del più importante partner russo nell’area balcanica. Mosca, infatti, si era quasi sempre dimostrata comprensiva nei confronti degli stati amici inadempienti, spesso anche incorrendo in perdite economiche di grande entità.
La decisione di penalizzare Belgrado e di metterla quindi sullo stesso piano di altre nazioni più ostili alla Russia (come ad esempio la Polonia) rappresenta un chiaro messaggio ai leader del Paese. Infatti, sebbene la riduzione delle forniture di gas non sia così violenta da determinare nel breve periodo una reale crisi energetica nel Paese, essa ha un peso politico enorme. Putin intende far capire chiaramente che la politica di equilibrismo fra Europa ed Eurasia promossa da Vucic ha i suoi costi e che la Serbia, pur essendo importante per la politica estera Russa, deve pagare i debiti come tutti gli altri Paesi europei. Alla luce di ciò, degli enormi problemi incontrati da Mosca a causa del forte coinvolgimento americano per impedire che Gazprom acquisti parte dell’Ina (la compagnia petrolifera croata di Stato) e per la costruzione del South Stream, fortemente osteggiato da Bruxelles, sembra quindi che la politica energetica Russa nei Balcani sia in una fase di difficoltà.