Editing del genoma e genitori “responsabili”: Balistreri non convince
Nel volume “Il bambino migliore?”, Maurizio Balistreri toglie di mezzo la natura umana, senza neanche argomentare. Ma così tutto il resto, sradicato dal contesto oggettivo, perde di senso.
Maurizio Balistreri è associato di Filosofia morale e membro del Comitato di Bioetica dell’Università di Torino. Ha scritto diversi libri sulle questioni bioetiche di frontiera. Possiamo definirlo una testa di ponte della “bioetica laica” che ha tanto messo radici a Torino. Di recente Balestrieri ha pubblicato il libro “Il bambino migliore? Che cosa significa essere genitori responsabili al tempo del genome editing” (Fandango 2022). Oggi non solo possiamo decidere se avere un figlio ma anche decidere che figlio vogliamo. Da qui la gravissima problematica etica della procreazione programmata non solo nei suoi tempi e mezzi ma anche nel suo esito.
Data la scuola di pensiero a cui appartiene, Balistreri afferma con decisione: “È ormai un dato acquisito dalla riflessione bioetica che non è facile stabilire che cosa è naturale e che la moralità di una tecnologia o procedura non dipende, comunque, dalla sua naturalità (…) l’appello alla natura non appare più un argomento sostenibile nell’attuale dibattito bioetico” (p. 11). Balistreri toglie così di mezzo un argomento “forte” come quello della natura con una posizione altrettanto “forte” e perentoria come è appunto la sua negazione, che secondo lui è ormai sufficiente ribadire senza argomentare (è un “dato acquisito”). Con buona pace del (laico) dialogo filosofico e del rifiuto dei dogmi.
Poi si legge il libro e si incontrano varie impostazioni contrastanti sul tema della responsabilità dei genitori nel tempo della modifica del genoma, senza però che nessuna di esse riesca ad imporsi sulle altre, sicché alla fine la scelta “responsabile” è delegata alle impressioni soggettive dei singoli. In altre parole, senza il riferimento alla natura, il nostro autore non riesce a fondare adeguatamente nessuna responsabilità morale su un fronte così nevralgico.
La tesi della “beneficenza procreativa” di Savulescu invita ad intervenire: “Perché dovremmo affidarci alla lotteria naturale (…) quando possiamo ricorrere ad interventi che permettono di portare al mondo il bambino più avvantaggiato? Il mondo non sarebbe un posto migliore se ci fosse meno sofferenza e più felicità?” (p. 35). I critici di questa tesi (come Robert Sparrow) sottolineano però che si verrebbe a creare una società ingiusta, con dei gruppi dominanti costituti dai bambini dalle caratteristiche più gettonate, o perfino razzista se, per esempio, la maggior parte dei genitori volesse dei figli di pelle bianca. Inoltre, si dovrebbe avere rapporti procreativi solo con le persone “migliori” dal punto di vista riproduttivo.
Il fatto è che parole come “migliore”, “sano”, “responsabile”, “vantaggioso”, “giusto”… non hanno alcun senso se non radicate nel contesto oggettivo della natura umana. (Stefano Fontana)