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Economia e salute: una falsa alternativa

Salute ed economia fanno capo alla stessa persona. I grandi progressi della medicina che hanno permesso di allungare la vita in buona salute delle persone è l'esito della ricerca medica finanziata dalla ricchezza sociale e dalle grandi disponiblità finanziarie. Perché la salute sia la vera priorità è necessario quindi difendere anche il sistema economico e la ricchezza che può produrre.

Editoriali 27_03_2020

La vita delle persone è più importante dei soldi. Come non essere d’accordo. Certo, la buona salute è un bene fondamentale per il quale, se necessario, gli altri beni devono passare in secondo piano.

Ma non ci si può fermare qui. Soprattutto in un momento di emergenza sanitaria come l’attuale non ci si può fermare a giudicare ogni scelta e ogni decisione, con i parametri manichei di tutto il bene da una parte e tutto il male dall’altra. Soprattutto perché salute ed economia fanno capo alla stessa persona. Pensiamo al fatto che I grandi progressi che ha compiuto negli ultimi decenni la medicina, progressi che hanno allungato la vita in buona salute delle persone, non possono che essere collegati alla ricerca medica, una ricerca finanziata dalla crescita delle disponibilità finanziarie e della ricchezza sociale.

In queste settimane stiamo riscoprendo il valore della solidarietà, dell’impegno per gli altri, della generosità del personale medico e infermieristico, della dedizione dei lavoratori di negozi e grandi magazzini. Ma stiamo scoprendo anche una grande trama di rapporti sfruttando le nuove tecnologie, le videochiamate, le teleconferenze, il lavoro a distanza: tutto frutto del progresso economico.

E stiamo riscoprendo anche il valore di scelte compiute nel passato. In primo luogo quella di creare il servizio sanitario nazionale (SSN) per attuare l’art. 32 della Costituzione italiana che sancisce il diritto alla salute: un sistema pubblico di carattere universalistico in grado di fornire assistenza sanitaria a tutti i cittadini, un sistema finanziato dallo Stato attraverso la fiscalità generale e, in piccola parte, dalla partecipazione alla spesa con il sistema dei ticket.

Il SSN compirà tra poco quarant’anni: è stato varato alla fine del ’78 ed iniziò ad operare, superando e inglobando il vecchio sistema basato sulle mutue settoriali, nel luglio del 1980. Ministro della Salute era il socialista Aldo Aniasi in uno dei primi governi di centro-sinistra, guidati prima da Francesco Cossiga e poi da Arnaldo Forlani.
La sanità italiana è diventata di alto livello e si è collocata regolarmente ai primi posti nelle classifiche, come quelle dell’Organizzazione mondiale della sanità, di efficienza della spesa e di universalità di accesso alle cure. Due elementi, tra gli altri, lo possono dimostrare: la mortalità infantile più bassa e la speranza di vita più alta d’Europa.

Negli ultimi anni tuttavia anche il SSN ha risentito della politica di contenimento della spesa pubblica. In assoluto la spesa ha continuato ad aumentare ed ha superato i 150 miliardi l’anno, ma sono aumentate ancora di più le esigenze sia per l’invecchiamento della popolazione, sia per il maggior costo delle cure e degli strumenti tecnologici e biomedicali connessi.
Lo Stato non ha ovviamente risorse infinite, ma negli ultimi anni è chiaramente prevalsa nelle scelte della spesa pubblica una logica che ha spostato l’attenzione dai beni collettivi, che sono beni di tutti, ma anche e soprattutto di ciascuno, ai beni individuali, che sono un beneficio solo per i diretti interessati.

L’esempio più evidente è nelle misure approvate lo scorso anno e che sono state la bandiera ideologica e pratica del governo giallo-verde, Cinque stelle-Lega. Reddito di cittadinanza e quota 100, che costeranno quest’anno rispettivamente otto e cinque miliardi, sono palesemente due misure destinate a singoli cittadini. Il reddito di cittadinanza avrebbe avuto una giustificazione se fosse stato limitato ad una vera assistenza alla povertà, mentre le politiche attive del lavoro non hanno dato risultati perché avrebbero avuto bisogno di altri mezzi e altre strategie. E dimenticando peraltro che la povertà la si affronta non solo con i sussidi economici, ma anche con servizi efficienti sull’ampio fronte sociosanitario.

Ma ancora più criticabile è quota 100, una misura dettata solo dalla logica di fare il contrario di quanto avevano fatto, peraltro in situazione di difficoltà finanziaria, i governi precedenti. Con questa riforma non solo sono aumentati i costi per le nuove pensioni, non solo sono diminuite le entrate perché ovviamente chi va in pensione non paga più i contributi. E sono uscite dal lavoro migliaia di persone tra i 60 e i 65 anni (tra cui molti medici ed infermieri) che avrebbero potuto continuare a dare un contributo attivo alla creazione di ricchezza per la collettività.
L’inganno e l’illusione che stanno alla base di queste misure è che un aiuto individuale possa sommarsi l’uno all’altro creando un benessere collettivo.

Ma è un inganno e un’illusione. Sono i beni collettivi come la sanità, l’istruzione, le infrastrutture pubbliche, i servizi sociali, disponibili per la generalità dei cittadini, che possono aumentare molto di più il benessere e la sicurezza sociale di tutti. Beni collettivi, non necessariamente statali, che possono essere finanziati solo da un’economia che funziona, che crea posti di lavoro, quindi stipendi e salari e quindi gettito fiscale.

Nel secolo scorso, per dirla tutta, i Governi guidati dalla tanto criticata Democrazia Cristiana (un partito fatto di persone e che quindi ha commesso anche molti errori) avevano indirizzato il paese verso la promozione dei beni collettivi con ricadute positive per tutta la società e quindi per ciascun cittadino.
E peraltro proprio una società più equa e sicura può lasciare più ampi spazi all’iniziativa privata, all’imprenditoria, al libero mercato. A tutti quei fattori che creano innovazione e progresso economico.

Perché la salute sia la vera priorità è necessario quindi difendere anche il sistema economico e la ricchezza che può produrre.