Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
San Graziano a cura di Ermes Dovico
DOTTRINA SOCIALE

Ecologia integrale, un concetto stravolto

Ci sono alcuni commentatori - ultimo Stefano Zamagni - che avvalorano l'idea che per la prima volta in questo pontificato si sia messo in relazione il rapporto tra ecologia umana ed ecologia ambientale. Niente di più falso. La vera svolta è che ora viene sovvertito l'ordine che i precedenti papi avevano chiarito: l'ecologia umana fonda quella ambientale.

Editoriali 05_09_2020

Il quotidiano Avvenire ha pubblicato giovedì 3 settembre scorso una recensione di Stefano Zamagni al libro di Mario Toso, vescovo di Faenza-Modigliana ed esperto di Dottrina sociale della Chiesa, “Ecologia integrale, dopo il coronavirus” (Frate Jacopa 2020). Potremo meglio soffermarci sul libro in futuro, per ora vorrei commentare il concetto di “ecologia integrale”, presente come è noto nella Laudato Si’ di papa Francesco, per come viene presentato da Zamagni nel citato articolo.

Egli dice che la novità di questo concetto è che “ecologia sociale ed ecologia ambientale sono come le due facce di una medesima medaglia e quindi non possono essere trattate disgiuntamente come è stato fino a tempi recenti”. In altre parole “ecologia integrale” dice che la “Chiesa si prende cura non solo dell’essere umano, ma anche della natura”.

Leggendo queste righe il lettore può pensare che nel magistero pontificio immediatamente precedente a papa Francesco questa interrelazione tra ecologia umana ed ecologia ambientale non fosse nota o venisse trascurata, e che finalmente la Chiesa l’abbia ora compresa. Questo non è vero. La cosa era stata detta con grande chiarezza sia da Giovanni Paolo II che da Benedetto XVI.

Basterebbe leggere il paragrafo 51 della Caritas in veritate (2009) di Benedetto XVI: “Ogni lesione della solidarietà e dell’amicizia civile provoca danni ambientali, così come il degrado ambientale, a sua volta, provoca insoddisfazione nelle relazioni sociali. La natura, soprattutto nella nostra epoca, è talmente integrata nelle dinamiche sociali e culturali da non costituire quasi più una variabile indipendente. La desertificazione o l’impoverimento produttivo di alcune aree agricole sono anche frutto dell’impoverimento delle popolazioni che la abitano e della loro arretratezza. Incentivando lo sviluppo economico di quelle popolazioni, si tutela anche la natura. Inoltre quante risorse naturali  sono devastate dalla guerre!. La pace dei popoli e tra i popoli permetterebbe anche una maggiore salvaguardia della natura…”.
Gli esempi di interventi del magistero petrino precedente a papa Francesco sulla interconnessione tra ecologia umana ed ecologia ambientale sono molteplici.

Da questo punto di vista, quindi, il concetto di “ecologia integrale” non è una novità, se si limita a segnalare questa relazione. Insistere sulla sua novità da questo punto di vista – come sembrano fare Zamagni e tanti altri – vuol dire dimenticare il magistero precedente e presentare il concetto di “ecologia integrale” come una svolta.

Che sia una “svolta” è vero, ma non su questo punto, non perché indichi una relazione uomo-ambiente che finora fosse stata trascurata, quanto piuttosto perché corre il rischio di equiparare le due dimensioni. I precedenti pontefici hanno sì sempre messo in luce la relazione, ma anche l’ordine di questa relazione che prevede la superiorità dell’ecologia umana su quella ambientale. Tornando, sempre per fare un esempio tra i tanti, al paragrafo 51 della Caritas in veritate, vi si legge anche che “la Chiesa ha una responsabilità per il creato e deve far valere questa responsabilità anche in pubblico. E facendolo non deve difendere solo  la terra, l’aria e l’acqua come doni della creazione appartenenti a tutti. Deve proteggere soprattutto l’uomo contro la distruzione di se stesso”.

A fare la differenza è l’avverbio “soprattutto”, che indica una priorità di valore e finalistica indiscutibile biblicamente e teologicamente. Benedetto XVI fa poi una applicazione molto chiara ed oggi piuttosto in disuso: “Se non si rispetta il diritto alla vita e alla morte naturale, se si rende artificiale il concepimento, la gestazione e la nascita dell’uomo, se si scarificano embrioni umani alla ricerca, la coscienza comune finisce per perdere il concetto di ecologia umana e, con esso, anche quello di ecologia ambientale. È una contraddizione chiedere alle nuove generazioni il rispetto dell’ambiente naturale, quando l’educazione e le leggi non le aiutano a rispettare se stesse”.

Nel concetto di “ecologia integrale” questo ordine per il quale le due ecologie - umana e ambientale - non sono sullo stesso piano ma la seconda è subordinata alla prima e ne dipende, non è per niente chiaro. Il fatto che non sia chiaro è confermato anche da due aspetti di vita concreta.
Il primo è che la linea di impegno ecologico indicata dal Vaticano ai cattolici è di collaborazione con tutti, anche con chi non rispetta l’ordine suddetto o addirittura lo rovescia.

La seconda è che ormai la sensibilità comune anche cattolica è preparata a tollerare l’aborto di Stato, ma non lo spreco dell’acqua potabile di uso domestico, il suicidio assistito, ma non l’abbandono degli animali nel periodo estivo, la soppressione di embrioni umani, ma non il riscaldamento domestico con il gas naturale invece che con il fotovoltaico. La militanza dei cattolici nei movimenti ecologisti rivela spesso questo stravolgimento delle priorità che il concetto di “ecologia integrale” senz’altro non corregge e non aiuta ad evitare.