Ecco perché la Cirinnà non è emendabile
In vista della discussione del ddl Cirinnà nell’aula del Senato si è discusso molto intorno al Capo I che istituisce le unioni civili omosessuali. In effetti questa è la parte più clamorosamente impresentabile di tutta la legge: palesemente incostituzionale, con il suo rimando agli articoli del codice civile che regolano il matrimonio; eticamente urtante, con la legalizzazione della stepchild adoption.
In vista della discussione del ddl Cirinnà nell’aula del Senato si è discusso molto intorno al Capo I che istituisce le unioni civili omosessuali. In effetti questa è la parte più clamorosamente impresentabile di tutta la legge: palesemente incostituzionale, con il suo rimando agli articoli del codice civile che regolano il matrimonio; eticamente urtante, con la legalizzazione della stepchild adoption che non solo priverebbe i bambini del loro diritto fondamentale ad avere un padre e una madre, ma promuoverebbe l’abominevole pratica del turismo riproduttivo, alla ricerca di un utero da affittare.
Tutte le proposte di mediazione di cui si è discusso fin qui riguardano questa parte della legge. L’adozione del figlio del convivente è l’aspetto che ha incontrato più ostilità, per l’evidente contrarietà del sentire popolare, con proposte di “ammorbidimento” (affido rinforzato e altre simili amenità) se non addirittura di stralcio (soppressione dell’articolo 5). Ma anche le posizioni più intransigenti, quelle di chi si preoccupa di salvaguardare il matrimonio costituzionale dalla sua estensione alle coppie dello stesso sesso (sia pure sotto le mentite spoglie di un altro “istituto”) sono state espresse sotto forma di opposizione alle Unioni Civili. Al punto che una mediazione che sopprimesse l’intero Capo I troverebbe, con ogni probabilità, un plauso quasi unanime, spianando la strada all’approvazione del resto della legge.
Sebbene la soppressione del Capo I sarebbe cosa sacrosanta, dobbiamo però chiederci: che cosa rimarrebbe del ddl Cirinnà? Avremmo una legge che regolamenta le “convivenze di fatto” sia tra persone di sesso diverso che tra persone dello stesso sesso. In altre parole ci ritroveremmo, in forma diversa ma con medesima sostanza, con i Dico che tanto stavano a cuore alla Bindi e contro i quali un Renzi non ancora orientato dal realismo politico manifestò durante il Family Day del 2007. Leggendo con attenzione la proposta di legge, il Capo II si dovrebbe ribattezzare Piano B. Se non addirittura Piano A se, con un pizzico di sospettosità, si arrivasse a pensare che la prima parte sulle unioni civili, così ingenuamente esposta alle sentenze della Corte Costituzionale, non sia altro che una cortina fumogena creata per nascondere la vera manovra.
La seconda parte della legge intende apparentemente dare un quadro giuridico organico a una serie di diritti che le persone conviventi vedono già riconosciuti dalla giurisprudenza come diritti individuali. En passant, verrebbe da ricordare che gli estensori della legge sono quelli che ad ogni piè sospinto sbandierano i “diritti negati” dei conviventi. Ma tant’è. Semmai bisognerebbe dire che il ddl Cirinnà è fatto male anche in questa sua seconda parte: perché lascia fuori dal suo articolato altri diritti individuali che sono già riconosciuti, come ad esempio i permessi retribuiti in caso di grave infermità del convivente (art 4 legge 53 del 2000), le norme sull’adozione dei minori (permessa anche alle coppie eterosessuali non coniugate che siano legate da rapporto di parentela con il bambino), le norme civili e penali di tutela del convivente dalla violenza in famiglia.Insomma, da questo punto di vista il Capo II sembra proprio un testo di legge inutile: sia perché riconosce diritti che sono già tutelati; sia perché non riesce ad organizzare un quadro completo ed organico della materia.
Ma in realtà il ddl fa qualcosa di più che riscrivere (inutilmente) diritti individuali già tutelati: introduce anche la tutela di diritti nuovi che normalmente sono associati al matrimonio. È, ad esempio, il caso di chi lavori nell’impresa della famiglia del convivente senza un formale contratto di assunzione e senza essere socio: con la nuova legge in vigore potrà vedersi riconosciuti non solo il salario, ma anche la partecipazione agli utili e agli incrementi di valore dell’azienda. Questa norma ribalta precedenti sentenze della Cassazione che riconosceva (lapalissianamente) come elemento saliente dell’impresa famigliare la famiglia: quella tutelata dalla Costituzione. Se ce n’era bisogno ecco un’ulteriore dimostrazione che anche l’istituzione di un matrimonio “di serie B” inevitabilmente toglie valore al matrimonio di “serie A”, che lo si voglia o meno.
È per questo che c’è da essere sospettosi. Facciamo un esempio: tra i diritti già tutelati che non vengono richiamati dall’apparentemente raffazzonato ddl c’è anche l’accesso alla fecondazione artificiale per le coppie di conviventi di sesso diverso. Quasi che su questo aspetto molto sensibile si sia voluto tenere un basso profilo. Proprio perché si tratta del Piano B. Immaginiamo che il ddl, ridotto al solo Capo II, venga pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale. Dopo qualche settimana una coppia di donne conviventi si presenta dal giudice e fa istanza per essere autorizzata ad accedere alla fecondazione artificiale. Argomento: una delle due conviventi verrà fecondata con seme di donatore (fecondazione eterologa, oggi consentita dopo il pronunciamento della Corte Costituzionale) e non si vede perché non possa farlo visto che alle donne conviventi con un uomo ciò è concesso.
Dopo tutto la legge Cirinnà equipara tutte le convivenze di fatto: sia eterosessuali sia omosessuali. Si può davvero pensare che alla fine la giurisprudenza creativa non darà il via libera? Si tratta semplicemente di stabilire che la fecondazione artificiale della donna non sposata può, a certe condizioni, essere accettabile: per decidere quando ci sono (appunto) i giudici. Secondo passaggio. Una coppia di uomini conviventi si presenta dal giudice e chiede di potere accedere alla fecondazione artificiale secondo queste modalità: uno dei due conviventi metterà a disposizione il seme, mentre l’ovulo verrà fornito da una donatrice (fecondazione eterologa). Un’amica testimonia sotto giuramento che accetterà di accogliere il bambino nel suo utero gratuitamente, per pura generosità. Se una coppia di donne ha potuto accedere alla fecondazione assistita perché non potrebbe farlo anche una coppia di uomini, visto che la legge Cirinnà equipara tutte le convivenze di fatto? Si può davvero pensare che alla fine la giurisprudenza creativa non darà il via libera? Si tratta semplicemente di stabilire che la cosiddetta “gestazione per altri” può essere, a certe condizioni, accettabile: per decidere quando ci sono (appunto) i giudici.
Terzo passaggio. Un certo numero di bambini vive da qualche anno con le coppie di “genitori” omosessuali. Un uomo e una donna omosessuali chiedono di potere “riconoscere” i figli avuto dal convivente in virtù delle sentenze precedenti, proprio come succede nelle coppie di conviventi eterosessuali che hanno un figlio. Dopo tutto la legge Cirinnà equipara tutte le convivenze di fatto. Si può davvero pensare che alla fine la giurisprudenza creativa non darà il via libera? Si tratta semplicemente di stabilire che la cosiddetta stepchild adoption può essere, a certe condizioni, accettabile: per decidere quando ci sono (appunto) i giudici.
La storia così delineata forse sembra ancora non del tutto realistica. Ma chiediamoci: si sarebbe mai pensato dieci anni fa di dovere andare in piazza contro un ddl Cirinnà o di dovere diffidare i presidi dal fare leggere ai vostri figli i libretti dove si racconta di “famiglie” con due papà e due mamme? L’importante è approvare un testo di legge qualsivoglia che, in qualche modo, affermi che non c’è nessuna differenza di fatto tra coppie di persone di sesso diverso e coppie di persone dello stesso sesso. Dopo un po’ non ci sarà più nessuna differenza neanche di diritto. Siamo realisti: la Cirinnà non è emendabile. È solo cestinabile.