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IL CASO

Ecco le voci degli ebrei sul genocidio degli armeni

Dire che l’evo moderno ha conosciuto più di un genocidio a qualcuno è sembrato uno stratagemma per ridimensionare la Shoah ebraica. Gli ebrei, però, pensano tutt’altro. Ne è esempio la raccolta di saggi Pro Armenia. Voci ebraiche sul genocidio armeno,  a cura di Fulvio Cortese e Francesco Berti (Giuntina).

Cultura 28_04_2015
La copertina del libro Pro Armenia. Voci ebraiche sul genocidio armeno

Si aprì il cielo quando, nel 1986, lo storico francese Reynald Secher pubblicò La Vendée-Vengé: le génocide franco-français, studio minuzioso dello sterminio dei cattolici dell’Ovest di Francia perpetrato dai giacobini tra 1793 e 1794, pubblicato a Parigi dalle accademiche Presses universitaires de France. La Rivoluzione Francese ne usciva infatti colpita dall’accusa più infamante: crimine contro l’umanità. Di una specie nuova, però, per la quale non si aveva, allora, nemmeno un nome. L’affronto non poteva essere maggiore. La matrice dell’evento-simbolo della Modernità (quella che finalmente si scrollava di dosso gli oscurantismi della Chiesa e dai suoi alleati politici) era nientemeno che il genocidio. Le cose stavano dunque ben diversamente da come ci si sforzava e ci sforza d’inculcarcele. E, proprio perché la memoria di quel mostro è stata censurata onde avvalorare la lettura edulcorata del “mondo nuovo”, l’orrendo crimine ha potuto essere ripetuto più e più volte.

Ma qui il terreno si fa minato. Dire che l’evo moderno ha conosciuto più di un genocidio a qualcuno è sembrato uno stratagemma vigliacco per ridimensionare la Shoah ebraica. Una percezione odiosa, questa, che davanti al genocidio inflitto un secolo fa dalla Turchia agli armeni (e a greci, siri, assiri e caldei) cresce, scatenando spettri agghiaccianti. La cosa curiosa però è che questa percezione alberga in realtà meno nel mondo ebraico e più in certi non ebrei più realisti del re. Gli ebrei, infatti, pensano tutt’altro. Pensano che denunciare tutta la mentalità genocida all’opera nella modernità sia un imperativo morale supremo. Che rompere il silenzio sui molti, troppi genocidi della storia non significhi affatto tradire la memoria d’Israele. Che dire la verità tutta e per intero è un dovere primario.

Esempio di preziosità rara ne è la raccolta di saggi Pro Armenia. Voci ebraiche sul genocidio armeno, pubblicato dalla storica casa editrice Giuntina di Firenze, specializzato in ebraismo, a cura di Fulvio Cortese e Francesco Berti. Nella prefazione, la scrittrice italiana di origine armena Antonia Arslan la inquadra sapidamente come «le parole, le descrizioni, le impressioni, il grido di dolore di alcuni degli ebrei che hanno seguito in prima persona il procedere del genocidio armeno, e hanno vissuto da vicino quei mesi e quegli anni terribili, spesso in posizioni privilegiate di osservazione». Sono le voci di Lewis Einstein, primo segretario di legazione dell’ambasciata statunitense a Costantinopoli nel 1915, quando si scatenò la mattanza; Andre Mandelstam, segretario dell’ambasciata dello zar di Russia; l’agronomo Aaron Aaronsohn, fondatore della rete di spionaggio NILI a favore degli alleati dell’Intesa; e non manca (perché mancare non poteva), Raphael Lemkin. La sua invenzione del termine “genocidio”, e lo standard con cui nel 1944 lo definì, sono quelli poi accettati nel 1948 dalle Nazioni Unite. Lo strumento giuridico così messo a punto fu subito usato per colpire i responsabili della Shoah, ma l’ebreo Lemkin era partito proprio dal genocidio dei cristiani armeni.

Sottovalutare l’importanza di questa raccolta di documenti è impossibile. Nessuno potrà più sollevare dubbi. Denunciare con passione e pervicacia i crimini contro l’umanità che la storia ci consegna oltre e prima della Shoah, e definirli “genocidio” (come ha fatto anche papa Francesco) quando a norma di standard giuridico internazionalmente accettato lo sono al pari dello sterminio sistematico degli ebrei, non implica mai sminuire la specificità dell’Olocausto del popolo scelto da Dio per la sua Rivelazione. È invece una testimonianza di amore e di compassione, la medesima che gli ebrei hanno avuto per i cristiani armeni. A rendersene conto per primi sono proprio gli ebrei: gli ebrei che allora videro svolgersi il genocidio armeno, gli ebrei che ancora non avevano patito la Shoah e gli ebrei di oggi, dopo la Shoah, che volentieri ripropongono quelle testimonianze fondamentali, consolando da fratelli maggiori i cristiani cui li lega – dice bene Alberto Rosselli nel sapido L’olocausto armeno (Mattioli 1885, Fidenza [Parma] 2015) – una “soluzione finale” diversa e uguale.

Gli ebrei oggi e 100 anni fa il Papa, Benedetto XV, «l’unico sovrano o capo religioso ad alzare ufficialmente la voce» contro il Metz Yeghern armeno. A ricordarlo doverosamente in un’intervista al settimanale paolino Credere è il padre gesuita belga Georges-Henri Ruyssen, autore di una ricerca colossale e capillare sui documenti degli Archivi vaticani che per l’editore Valore Italiano/Lilamé di Roma sta pubblicando nei 7 volumi di La questione armena. Gli ebrei, i cristiani, il Papa, da sempre uniti in un misterioso disegno di dolore e di misericordia. Non può lasciarci indifferenti.