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ONU

Ecco la rappresentante Onu per la vendita dei bambini

La giurista olandese Maud de Boer-Buquicchio, relatore speciale delle Nazioni Unite sulla vendita dei bambini, sostiene… l’utero in affitto.

Gender Watch 19_09_2019

Dal 1991 opera per conto dell’Onu, in particolare del suo Consiglio per i diritti umani, una figura relativamente poco conosciuta: il Relatore speciale sulla vendita dei bambini, la prostituzione minorile e la pedopornografia. Dal 2014 questa posizione è occupata dalla giurista olandese Maud de Boer-Buquicchio (già vicesegretario generale del Consiglio d’Europa), che però ha un’idea, come dire, rovesciata del suo ruolo, che dovrebbe salvaguardare i bambini dall’essere oggetto di compravendita: per farla breve, la signora è favorevole all’utero in affitto. Cose che voi umani… non potete capire.

In un rapporto presentato all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, recante la data del 15 luglio, la de Boer-Buquicchio afferma che in tema di maternità surrogata bisogna definire degli «standard», superare la logica della «proibizione», tutelare il «miglior interesse» del bambino, eccetera. Tutte le obiezioni a una pratica aberrante, che schiavizza le donne e riduce i bambini a cose, vengono spazzate via in una ventina di pagine impregnate di neolingua.

La rappresentante dell’Onu raccomanda così ai Paesi membri di ratificare i contratti di maternità surrogata stipulati all’estero dalle coppie desiderose di un figlio (come hanno già fatto di loro iniziativa diversi giudici e sindaci “creativi” del nostro Paese) e afferma che «ogni restrizione basata sull’orientamento sessuale o identità di genere dei genitori intenzionali costituisce una violazione dei loro diritti». Fuori dal linguaggio in codice: l’utero in affitto, ove permesso, non può essere negato a coppie di persone che si identificano come omosessuali o transessuali.

Stante questo quadro ideologico, non ci si sorprende al leggere nel rapporto: «Una stretta interpretazione del concetto di vendita o traffico di bambini come reato può avere tragiche conseguenze». La spinta alla legalizzazione da parte della de Boer-Buquicchio, del resto, non è nuova, come nota Stefano Gennarini di C-Fam, istituto di ricerca che segue da vicino quanto accade in sede Onu. Infatti, già in un rapporto presentato nel 2018 (di cui quello di quest’anno è un’integrazione), che aveva ricevuto le forti critiche di alcuni Stati membri e il sostegno di altri, la giurista olandese, per camuffare la realtà della vendita, si era esercitata in un triplo salto mortale carpiato con doppio avvitamento, scrivendo così: «La surrogazione commerciale potrebbe essere condotta in un modo che non costituisce vendita di bambini se fosse chiaro che la madre surrogata viene solo pagata per i servizi gestazionali (sic!) e non per il trasferimento del bambino». Se non ci avete capito niente, siete normali.

In pratica, per far sì che questa non sia solo «una finzione legale», la de Boer-Buquicchio propone una serie di cavilli-condizioni, come il fatto che la madre non dovrebbe essere mai pagata dopo il «trasferimento» del bambino bensì solo prima; che possa decidere di mantenere la responsabilità genitoriale e in tal caso «può essere legalmente obbligata» a condividere tale responsabilità con i «genitori intenzionali», cioè i committenti che hanno sganciato il denaro. Addio ai concetti di madre, padre e famiglia come sono stati concepiti dall’inizio dei tempi: mettere al mondo un bambino diventa un po’ come compartecipare le quote e gestire una società, da cui ogni socio può uscire in qualunque momento.

Addirittura, nel rapporto di luglio 2019, si scrive nero su bianco che «né la [madre] surrogata né i genitori intenzionali dovrebbero essere costretti a mantenere involontariamente la responsabilità genitoriale». Avete presente i casi delle coppie committenti che, dopo aver pagato il “prodotto”, hanno abbandonato il bambino alla nascita perché presentava qualche forma di disabilità?

Per le “imperfezioni” del bambino ancora nel grembo, l’industria della maternità surrogata è ricca inoltre di casi di aborti forzati, decisi cioè, su base contrattuale, dagli stessi committenti. Sarà per questo che la de Boer-Buquicchio, alla fine del suo rapporto, scrive che «nulla in queste raccomandazioni dovrebbe implicare che le donne, incluse le donne che agiscono come surrogate, non possano prendere decisioni indipendenti sull’autonomia dei loro corpi durante la gravidanza». Punto. Letta in chiave femminista, questa «autonomia» si traduce sia nel decidere di tenere il bambino che nell’abortirlo.

La giurista olandese considera in modo limitato anche il diritto dei bambini a conoscere le proprie origini, che secondo lei andrebbe bilanciato con «il diritto alla privacy delle surrogate e dei fornitori di gameti». E se questi ultimi volessero rimanere anonimi, dove finirebbe il diritto dei bambini concepiti in provetta di risalire ai loro genitori?

Il punto è che tutto l’approccio della Boer-Buquicchio è una contraddizione in termini, non riconoscendo il problema a monte, ossia che l’utero in affitto è una pratica in sé malvagia (anche qualora fosse “gratuita”). Si finge di voler tutelare gli interessi di «tutte le parti coinvolte» e si citano al riguardo «i bambini, le donne che agiscono come surrogate, i donatori di gameti e i genitori intenzionali», quando è evidente che l’interesse-desiderio che muove tutto, quello delle coppie committenti, è inconciliabile con il diritto dei bambini a crescere con la mamma e il papà, e svilisce la dignità dell’essere umano.

Un’ultima nota: come prima raccomandazione finale, la de Boer-Buquicchio chiama gli Stati membri che non l’avessero già fatto a ratificare la Convenzione sui diritti dell’infanzia, di cui la Nuova Bussola aveva già sottolineato alcuni passaggi critici (clicca qui). Se i “diritti” per i bambini sono quelli che stiamo vedendo in questi anni, probabilmente è il caso di rivederli, per rompere un sistema marcio.

https://lanuovabq.it/it/ecco-la-rappresentante-onu-per-la-vendita-dei-bambini