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ACCUSE FOTOCOPIA A TRUMP

Ecco il Muslim Ban 2, che non è un Muslim Ban

Il “Muslim Ban”, che non è un “Muslim Ban”, è stato riscritto affinché sia definitivamente chiaro a tutti che si tratta solo di un “Terrorist Ban”. Trump ribadisce che la chiusura delle frontiere non riguarda retroattivamente gli stranieri legalmente residenti in modo permanente negli Stati Uniti. Ma ovviamente al fronte “No Trump” non va bene nemmeno così. 

Esteri 09_03_2017

Il “Muslim Ban”, che non è un “Muslim Ban”, è stato riscritto affinché sia definitivamente chiaro a tutti che si tratta solo di un “Terrorist Ban”. Il 6 marzo il presiedente degli Stati Uniti Donald J. Trump ha firmato l’Ordine Esecutivo 13780, Protecting The Nation From Foreign Terrorist Entry Into The United States, che sostituisce in toto l’Ordine Esecutivo 13769, titolato allo stesso modo ed emesso il 27 gennaio, con cui gli Stati Uniti per tre mesi chiudevano le frontiere con Iran, Iraq, Libia, Somalia, Sudan, Siria e Yemen, per sei bloccavano gli ingressi dei profughi provenienti da qualunque Paese riservandosi poi di rinegoziare la questione Stato per Stato, e a tempo indeterminato, ovvero fino a che non fossero risolte in maniera soddisfacente le questioni di sicurezza, sospendevano l’arrivo dei rifugiati dalla Siria.

Quando al decreto di fine gennaio seguirono urla, strepiti e quelle azioni legali che ne hanno sospeso l’applicazione, Trump promise di riscrivere il provvedimento. Cambiando idea? Affatto. Ribadendo quel che riteneva fosse già chiaro, ma che invece era stato usato per contestare la validità intrinseca del decreto: ossia che la chiusura delle frontiere non riguarda retroattivamente gli stranieri legalmente residenti in modo permanente negli Stati Uniti.

Ma ovviamente al fronte “No Trump” non va bene nemmeno così. A suonare la carica è stato The New York Times che ha definito il nuovo decreto illegale come il primo, tanto che i procuratori dello Stato delle Hawaii hanno già avviato l’iter con cui chiederanno al giudice federale di emettere un ordine di sospensione. L’accusa? Il provvedimento di Trump viola la Costituzione federale e ? come scrive seccamente The New York Times ? rappresenta «[…] una discriminazione religiosa contraria alla legge».

Falso. L’accusa mossa al nuovo decreto è identica a quella scatenata contro il vecchio, ed era falsa allora esattamente com’è falsa oggi. Tant’è che la Corte d’appello del Nono Circuito che il 9 febbraio sospese l’applicazione della prima versione del provvedimento si guardò bene dall’usare quest’argomentazione. Nulla, ma proprio nulla sia nel vecchio decreto sia nel nuovo discrimina gli immigrati in base alla religione. Quindi nulla, ma proprio nulla viola la Costituzione federale americana, in specifico il Primo Emendamento che garantisce il libero esercizio pubblico della religione.

Ma la sensazione è che qualsiasi cosa Trump avesse potuto scrivere nella nuova versione dell’ordine esecutivo il verdetto sarebbe stato identico. Trump sbaglia per principio, qualunque cosa faccia. Non importa che il termine “musulmano” o “islamico” non compaia mai in alcun rigo della prima versione del decreto, e che nella seconda versione “islam” compaia in positivo solo dove si dichiara di voler difendere dalla discriminazione gli islamici là dove essi sono minoranza perseguitata e “islamico” solo là dove si scioglie l’acronimo ISIS: per il mondo è sempre e solo “Muslim Ban”.

Non importa che quella legge voluta dal presidente l’argomento religione lo sfiori soltanto, e sempre e solo per ribadire l’impegno a fare proprio il contrario di quello di cui viene accusato Trump, cioè contrastare le discriminazioni religiose e la persecuzione delle minoranze, e questo qualsiasi altra cosa prima, dopo o durante il presidente abbia eventualmente detto in materia di religione: per il mondo quella di Trump sarà sempre la decisione di discriminare i musulmani. Non importa che nella nuova versione del decreto datata 6 febbraio, la Sezione 1, b, iv scriva che la prima versione, quella datata 27 gennaio, «[…] non forniva alcun elemento per discriminare a favore o contro alcun aderente ad alcuna religione particolare», specificando che se pure «[…] quell’ordine consentiva di dare la precedenza alle domande di asilo avanzate da persone aderenti a gruppi religiosi minoritari perseguitati, detta priorità si applicava sia ai profughi provenienti da qualsiasi Paese, inclusi quelli in cui l’islam è una religione minoritaria, sia alle denominazioni che nel contesto di una determinata religione più ampia sono minoritarie», e questo giacché «quell’ordine non era dettato da animosità verso alcuna religione, quanto invece mirato a difendere la possibilità che le minoranze religiose ? qualunque siano e ovunque stiano ? si avvalgano di quanto previsto dal Programma statunitense di ammissione dei rifugiati alla luce delle sfide e delle circostanze specifiche che si trovano a fronteggiare».

La revoca del vecchio decreto e l’entrata in vigore del nuovo sarà effettiva un minuto dopo lo scoccare del mezzogiorno, ora di Washington, del 16 marzo. L’unica variazione vera è l’esclusione dell’Iraq dal novero dei Paesi che per tre mesi non potranno mandare propri cittadini negli Stati Uniti. L’Amministrazione Trump ammette che includere nel fermo del 27 gennaio anche l’Iraq fu una leggerezza, un errore, e questo perché l’Iraq, pur essendo altamente problematico sul piano della sicurezza, è un Paese che si sta spendendo ampiamente, e con sacrifici enormi, a fianco del mondo civile contro il terrorismo dell’ISIS. E il punto vero è questo: possibile che non ci sia altro modo per distinguere gli amici dai nemici che una chiusura delle frontiere che, pur essendo perfettamente legale e legittima, è inefficace per definizione? Ma avendo già in tasca le risposte precostituite, l’universo “No Trump” le domande intelligenti non se le pone.