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OMOSESSUALITA'

Ecco come vogliono "rieducare" i nostri figli

Se le fiabe gay distribuite negli asili nidi e scuole materne di Venezia hanno scandalizzato, questo è ancora niente: l'UNAR ha pubblicato una trilogia di manuali per le scuole, dalle elementari alle superiori, per "educare alla diversità".

Educazione 10_02_2014
Ideologia gender obbligatoria a scuola

Quarantasei fiabe "gay" distribuite negli asili nido e nelle scuole materne. Ha fatto rumore nei giorni scorsi l'iniziativa della Giunta comunale di Venezia, ma è bene sapere che non si tratta di una iniziativa spontanea, la bella pensata di qualche amministratore locale. Essa non è altro che l'attuazione di direttive nazionali che partono dall'Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali (UNAR), di cui abbiamo già avuto modo di parlare, in attuazione della “Strategia nazionale per la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere (2013-2015)”. La scuola è uno dei principali obiettivi di questa strategia e quello a cui stiamo assistendo è soltanto l'inizio, come l'articolo che segue dimostra.

Torniamo a parlare della strategia gender sui banchi di scuola. L’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali (UNAR), che fa capo alla Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento Pari Opportunità, ha pubblicato una trilogia di manuali dal titolo “Educare alla diversità a scuola”. I testi sono stati redatti dall’Istituto A. T. Beck, istituzione schieratissima a favore dell’omosessualità e quindi ultra-sospetta di partigianeria.  Un po’ come chiedere un giudizio obiettivo sull’Inter ad un Club di interisti.

Riportiamo qui di seguito il contenuto e alcuni stralci di questi tre volumi, destinati agli insegnanti delle scuole elementari, medie e superiori. Il tema dovrebbe essere quello del bullismo, nelle sue varie forme, ma in realtà i tre manuali sono dedicati quasi esclusivamente neppure al bullismo omofobico, bensì all’omosessualità in quanto tale. Dietro al pretesto di asserite discriminazioni si coglie l’opportunità di indottrinare le giovani menti al credo gay.

In tutti e tre i volumi ci sono sezioni identiche: un glossario, un esempio di manifesto antibullismo da appendere a scuola, una lettera prestampata per i genitori dove li si invita ad un incontro, lezioni ad hoc tenute dai docenti con tanto di domande e risposte già confezionate (l’insegnante deve solo ripetere pedissequamente), il suggerimento di istituire un referente anti-bullismo a cui rivolgersi e un capo ronda cibernetico che controlli se in rete qualche studente prende in giro un suo compagno omosessuale, un questionario per gli studenti e una lista di film pro-omosessualità utili per un cineforum.

In merito al glossario si tratta di un sunto dell’ideologia di genere espresso in concetti adamantini per chiarezza. In primo luogo si afferma che “secondo la comunità scientifica, essere omosessuali è […] una normale espressione della sessualità umana, di conseguenza non c’è motivo di voler cambiare tale caratteristica. Inoltre tali terapie [riparative], lungi dall’essere efficaci nel modificare qualcosa di immodificabile, sono estremamente pericolose nel rinforzare nell’individuo omosessuale (e nel resto della società disposta a crederci) l’idea che l’omosessualità sia una condizione indesiderabile, una malattia da debellare. […] Partono dalla premessa sbagliata secondo cui l’orientamento omosessuale debba essere cambiato”. E se uno non si trova bene nei panni dell’omosessuale? “Le indicazioni terapeutiche per un professionista che tratti un individuo disturbato dal proprio orientamento omosessuale o bisessuale – continua il manuale -  includono ‘aiutare la persona a fronteggiare attivamente i pregiudizi sociali’ ”. Insomma se stai male la colpa è degli altri. E dunque dato che per assioma l’omosessualità è cosa buona, il ragazzo che la percepisce in modo negativo sta sbagliando e sbaglia perché gli altri sono omofobi: sia chiama “omofobia interiorizzata”.

Ovviamente l’omosessualità non è mai una scelta: si nasce sempre così e tale aspetto è costitutivo della persona, perché “rappresenta […] una sfera intrinseca dell’identità dell’individuo” e dunque chi tenta di prendere le distanze da questo orientamento non ci riuscirà. “Questi tentativi sono destinati a fallire, perché applicati a una componente estremamente intima dell’identità, che non dipende dalla volontà dell’individuo, ma da qualcosa di più profondo e strutturato che non può essere modificato”. Ergo: “l’unica scelta che l’omosessuale può fare è quella di imparare ad accettare questi sentimenti per convivere serenamente con essi, accettando di seguire il proprio orientamento e mostrandosi agli altri per ciò che è”.

Si prendono ad esame poi alcune tematiche specifiche: “Diversi studi condotti negli ultimi 30 anni hanno mostrato che i bambini cresciuti da genitori gay e lesbiche sono felici esattamente come i bambini cresciuti da famiglie eterosessuali”. In realtà come abbiamo anche spiegato su queste colonne più volte è proprio vero il contrario.  L’unico danno che possono ricevere i bambini secondo questi tre manuali deriva dal fatto che i “genitori” non possano “sposarsi”: “L’impossibilità di sposarsi, può avere un impatto sul benessere dei genitori, e conseguentemente di tutti i membri della famiglia”.

Poi si dà per scontato che l’omofobia sia una realtà assai estesa: “L’ostilità nei confronti dell’omosessualità è così diffusa nella nostra società”. Si accenna anche ad un “odio profondamente radicato” verso le persone omosessuali. Infine si aggiunge: “La scuola italiana non sembra essere un posto sicuro per i giovani gay e lesbiche”. Ma la Bussola aveva già dato prova che è immotivata tale emergenza omofobica.

La mania di persecuzione è spinta all’estremo quando si afferma: “Gli insegnanti, anche i più bravi e preparati, possono non essere perfettamente consapevoli della propria omofobia”. Anche se tu non lo sai, sei omofobo e l’unico modo per non esserlo è diventare omosessuale.

Chi fomenta l’omofobia? Dio, la patria e la famiglia che essendo i capisaldi della tradizione culturale occidentale devono essere messi sul banco degli accusati. Così nel testo: “Che tipo di educazione abbiamo ricevuto sull’omosessualità dalla famiglia, dalla Chiesa, dallo Stato, dai mass-media, dalla scuola? Non c’è mai stato un approccio neutrale all’omosessualità, che, al contrario, veniva considerata un ‘male’ ”.

In particolar modo la religione è un’alcova che dà protezione agli omofobi più convinti: “il grado di religiosità” è uno degli elementi che delinea “il ritratto di un individuo omofobo. […] Come appare evidente, maggiore risulta il grado di ignoranza, di conservatorismo politico e sociale, di cieca credenza nei precetti religiosi maggiore sarà la probabilità che un individuo abbia un’attitudine omofoba”. Così, tanto per non discriminare i credenti. Gli estensori ripetono il concetto anche a beneficio dei cattolici adulti: “Per essere più chiari, vi è un modello omofobo di tipo religioso, che considera l’omosessualità un peccato”.

Successivamente si elencano possibili condotte omofobe tra cui registriamo le seguenti: “prendere in giro, dare nomignoli, fare pettegolezzi su qualcuno e imbarazzare qualcuno, escludere qualcuno dal gruppo”, come se ci fosse l’obbligo di essere amici con tutti. Tutte cose che, in certi limiti, hanno fatto le spalle larghe a generazioni di studenti dalla notte dei tempi.

Segue l’attacco alla naturalità dell’orientamento sessuale con domande provocatorie quali: “Come si diventa eterosessuali? L’eterosessualità è una scelta? I rapporti sessuali eterosessuali sono naturali? Ci sono tanti eterosessuali perché è di moda?”. Si chiama decostruzione dell’ordine naturale delle cose.

Passiamo alle indicazioni specifiche e iniziamo dalle scuole elementari. Si legge nel testo: “Molti bambini trascorrono gli anni della scuola elementare senza accenni positivi alle persone LGBT. Gli anni delle elementari offrono, invece, una meravigliosa e importante opportunità di instillare [sic] e/o nutrire atteggiamenti positivi e rispettosi delle differenze individuali, familiari e culturali, comprese quelle relative all’orientamento sessuale, all’identità e all’espressione di genere. Nella società occidentale si dà per scontato che l’orientamento sessuale sia eterosessuale. La famiglia, la scuola, le principali istituzioni della società, gli amici si aspettano, incoraggiano e facilitano in mille modi, diretti e indiretti, un orientamento eterosessuale. A un bambino è chiaro da subito che, se è maschio, dovrà innamorarsi di una principessa e, se è femmina, di un principe. Non gli sono permesse fiabe con identificazioni diverse”. Si fa dunque passare un atteggiamento naturale del bambino come effetto di un plagio culturale della società.

Da qui uno dei moniti rivolti ai maestri: “Non usare analogie che facciano riferimento a una prospettiva eteronormativa (cioè che assuma che l’eterosessualità sia l’orientamento ‘normale’, invece che uno dei possibili orientamenti sessuali). Tale punto di vista, ad esempio, può tradursi nell’assunzione che un bambino da grande si innamorerà di una donna e la sposerà”. Bisogna poi rifuggire dalle seguenti condotte che vengono definite “stereotipi basati sul genere”: per i “maschi ad esempio, guardare la Formula 1 o giocare ai videogiochi”, per le “femmine ad esempio, essere interessate alla cucina o allo shopping”.

La teoria del gender ovviamente deve essere pervasiva e interessare anche i compiti a casa. Ecco una traccia per un problema di matematica: “Rosa e i suoi papà hanno comprato tre lattine di tè freddo al bar. Se ogni lattina costa 2 euro, quanto hanno speso?”. Per la soluzione al problema rivolgetevi al bar dell’Arcigay.

Poi si illustra il contenuto di varie lezioni per promuovere l’omosessualità. Una riguarda la famiglia e viene spiegato che per capire cosa è una famiglia non bisogna far riferimento a “come appare [es. formata da due uomini], ma piuttosto a come i membri si supportano tra loro, si amano e si accudiscono a vicenda”. Alla fine ai bambini per verificare se hanno capito bene la lezione verrà domandato: “Cosa succede quando ci sono due padri o due madri?”.

In merito ai ruoli sessuali si parte da un’altra domanda: “È giusto dire a qualcuno o sentirsi dire che non si può fare qualcosa perché si è un maschio o una femmina?” Per illustrare il concetto si propone questo giochino assai furbo. La classe viene divisa in quattro gruppi. Ogni gruppo sceglierà un proprio colore, un proprio nome, un proprio gioco e un’altra squadra con cui competere. Fatto questo si prende un membro in ogni squadra che dovrà rimproverare ad esempio la squadra n. 1 di aver scelto il colore giallo, di chiamarsi “Il Castello” e infine le vieterà di giocare a palla con i maschietti di un’altra squadra. Alla fine la maestra chiederà alla squadra 1: “come vi siete sentiti?” Il trucco è facile: si fa passare l’omosessualità come una “pratica” uguale a quella di giocare con la palla tra maschi e l’appellativo “omosessuale” uguale al termine “Castello”, termine scevro di implicazioni morali. Ed infatti ecco cosa la maestra dovrà dire loro al termine del gioco: “Ricordate come vi siete sentiti quando la vostra squadra non poteva fare qualcosa? Mi chiedo come qualcuno potrebbe sentirsi se gli venisse detto che non può fare qualcosa perché è un ragazzo o una ragazza”.

Per rafforzare il concetto poi la maestra racconterà la storia di Alex, una bambina che ama il calcio ma che viene presa in giro per questa sua passione. Al fine di consolarla una volta la mamma le dice: “Alex, tu non sarai mai una ragazza simile a tutte le altre e non devi esserlo. Ognuno deve fare le cose che gli piacciono e per cui si sente portato. E tu puoi scegliere di fare tutto quello che vuoi, senza preoccuparti se sia una cosa ‘da donna’ o ‘da maschio’. Che te ne pare? Alex adesso non piange più”.

Passiamo alle scuole medie. In una lezione l’insegnante dovrà spiegare che non tutte le famiglie sono uguali: ci sono famiglie con più figli di un’altra, dove i genitori non sono italiani, oppure sono separati e quindi manca – come nelle coppie omosessuali – il padre o la madre, famiglie diverse tra loro per il lavoro che svolgono i genitori, per abitudini etc. Quindi anche la “famiglia” composta da due papà è sì diversa, ma sempre famiglia è. Segue ricerca per rintracciare nei telefilm e film quante volte sono state rappresentate “famiglie” omo. Poche? Ecco un caso di discriminazione cari studenti.

Altra lezione: si invitano i ragazzi a separare i fatti dalle opinioni. “Esempio: uno studente può dire la frase ‘Due uomini che fanno l’amore sono disgustosi’. A quel punto l’insegnante può far notare che questa è un’opinione, è un giudizio personale, che deriva dal fatto che siamo poco abituati, dal cinema e dalla televisione, a vedere due uomini che si baciano o che fanno l’amore, è un fenomeno che per noi non è stato reso normale”. E in tal modo l’opinione dell’insegnante ideologizzato deve essere presa come fatto inconfutabile.

Infine ai ragazzi viene  raccontata “la storia di un’eterosessuale che vive in un mondo dove la maggioranza della gente è omosessuale”, un mondo dove ci sono solo film per gay, riviste per gay, le uniche relazioni accettate sono quelle omosessuali e tutti deridono la protagonista perché è eterosessuale. In tal modo e a parti invertite si addebita il possibile disagio della persona omosessuale non alla propria omosessualità, ma al fatto che la maggior parte delle persone siano eterosessuali.

Per gli adolescenti delle scuole superiori segnaliamo questa esercitazione dal titolo “Completare le frasi”.  Una di queste recita: “I bambini cresciuti da coppie dello stesso sesso saranno…”. Il gioco mira a distinguere i fatti dalle opinioni. Se lo studente completa la frase dicendo che i bambini di una coppia gay “saranno infelici” l’insegnante “evidenzia come in alcune [frasi] ci sia un pregiudizio alla base”. Insomma sta al manuale dell’UNAR, a cui si deve attenere l’insegnante, stabilire cosa è un fatto e cosa è un pregiudizio. Benvenuti nella scuola del pensiero unico ed omosessuale.