«È una guerra internazionale fra il bene e il male»
«Di certo si ricorda la tragedia di Chernobyl, con la sua conseguente diffusione di radiazioni, il 26 Aprile 1986. Il giorno dopo, il 27 Aprile, in molti Paesi lontani in Asia e in Europa si rilevò l’esistenza di radiazioni pericolose. Il terrorismo è identico: oltrepassa le frontiere».
Wadee Batti Hanna Al-Batti è un cristiano di Mosul e allo stesso tempo è l’ambasciatore dell’Iraq in Spagna. Da solo pochi mesi la sua famiglia è dovuta fuggire dalla sua città natale per sopravvivere alla piaga del terrorismo che affligge il Medioriente. «La mia famiglia appartiene a una comunità molto antica, ma è composta da persone di diverse religioni» diceva l’ambasciatore, membro di una famiglia di origine assira, etnia convertita al cristianesimo più di milleseicento anni fa.
Ci ha ricevuto cordialmente nel suo ufficio dell’ambasciata e ci ha raccontato della situazione che sta attraversando il suo Paese, la sua gente: «Oggi stesso il gruppo terrorista ISIS ha dichiarato di sentirsi orgoglioso di aver rispristinato la schiavitù nelle zone che domina. Si vantano di aver violentato le donne e di averle spartite come bottino di guerra». Pieno d’orrore ci racconta alcuni aneddoti, sperando che la gente venga a conoscenza del problema: «un orecchino di una bambina di sei mesi, nemmeno mezzo grammo d’oro, è stato strappato a forza, lacerando l’orecchio della bimba, perché considerato bottino di guerra».
Una guerra internazionale
Il problema dell’Iraq dei giorni nostri non è un’esclusiva di questo Paese, ha oltrepassato le frontiere vicine e vuole espandersi: «Di certo si ricorda la tragedia di Chernobyl, con la sua conseguente diffusione di radiazioni, il 26 Aprile 1986. Il giorno dopo, il 27 Aprile, in molti Paesi lontani in Asia e in Europa si rilevò l’esistenza di radiazioni pericolose. Il terrorismo è identico: oltrepassa le frontiere».
L’ambasciatore ci ricorda che ciò che accade in Iraq non è una guerra civile, i terroristi sono giunti da ogni dove e nonostante sia «certo che possono esserci iracheni che collaborano con loro, e possono essere stati tentati o ingannati», il gruppo terrorista Isis è composto da persone da tutto il Medioriente e da persone provenienti da Germania, Inghilterra, Francia, Australia, Olanda, Spagna ecc. «Il Presidente degli Stati Uniti dice che ci sono più di quindicimila combattenti stranieri in questo gruppo terrorista. Per esempio, un capo militare di questo gruppo può essere dell’Uzbekistan, dell’Australia o dell’Afghanistan. Per esempio, un’auto-bomba è stata fatta esplodere l’altro giorno da due tedeschi e un iracheno. Dunque dov’è la guerra civile?».
Tra gli “Europei dell’Isis” non ci sono solo degli immigrati del Medio Oriente e i loro figli, ma anche musulmani di origine europea che si sono lasciati plagiare da questa ideologia religiosa, per: «la mancanza di coscienza o l’ignoranza, e si riesce a toccare i sentimenti di un essere umano, soprattutto di un giovane o di un adolescente, semplicemente giocando con il suo sentimento religioso, o anche tentandolo con il denaro, intimidendolo o anche minacciandolo».
Ci dice che il profilo della persona attratta dall’Isis è quello di: «una persona isolata (che) non è integrata nella società. Ci sono anche dei fattori psicologici, perché no? O ci possono anche essere dei problemi familiari… o una disgrazia personale o un fallimento scolastico o lavorativo, tutti questi fattori possono essere propizi per il terrorismo».
Roma e la Spagna nel mirino
È facile sottovalutare il rischio che l’Isis comporta per la Spagna: «Queste cellule terroristiche non hanno un programma d’azione esclusivamente in Iraq, ma anche, come loro stessi dicono, in tutto il mondo. Loro non riconoscono le frontiere attuali e hanno diviso il mondo in zone. Una di queste zone è Al-Andalus (Spagna) e vogliono arrivare fino a Roma. Non rappresentano un pericolo solo per l’Iraq e il Medioriente, ma rappresentano un’epidemia simile all’ebola, per tutta l’umanità».
Chiediamo dei pericoli dell’avere dei gruppi di manifestanti a favore della jihad a pochi chilometri dalla frontiera spagnola, ricordando quel video di migliaia di marocchini in un campo di calcio che acclamavano l'Isis: «Non solo in Marocco, ma anche in Olanda e Australia ci sono stati purtroppo dei gruppi che hanno acclamato e sostenuto il gruppo terrorista Isis».
Cristiani e musulmani iracheni in guerra
Ricordando il reportage che abbiamo fatto per Infovaticana a proposito dei miliziani Cristiani (fu letto dai combattenti, che ci risposero con un articolo emozionante) chiediamo di più all’ambasciatore del punto di vista del governo a proposito della difesa armata di questi gruppi: «La missione di liberare i territori sarà una missione degli iracheni, ed è normale che tutti gli iracheni partecipino a questa guerra di difesa».
«C’è un accordo esplicito tra l’Iraq e la comunità internazionale, gli alleati prendono parte fornendo la protezione aerea mentre le operazioni terrestri sono compito degli iracheni».
Tuttavia, ogni giorno che passa, diminuiscono le notizie sui bombardamenti: «C’è stata anche un’ordinanza per bloccare i bombardamenti, stabilendo un coordinamento tra i vertici militari, tra le forze irachene e le forze della coalizione internazionale, per raggiungere una maggior precisione nei bombardamenti, per evitare qualunque danno ai civili e causare il massimo danno ai terroristi».
La differenza tra uno Stato e un gruppo terrorista: «Lo Stato ha responsabilità giuridica ed etica nei confronti della popolazione, i gruppi terroristi non hanno questa responsabilità. Questo è il problema di cui soffriamo, questo è anche ciò che ha allungato la vita a questi gruppi terroristici, perché si proteggono o si fanno scudo con i civili… e lo Stato non può mettere a rischio la vita dei civili con il pretesto di eliminare i terroristi, perché non possiamo ferire i civili o moltiplicare le loro sofferenze ora che stanno subendo l’oppressione di questi gruppi».
Una guerra tra il bene e il male
«In Europa si sono accorti che ci sono due linee, una che rappresenta il bene e l’altra che rappresenta il male, ed è normale che il mondo civilizzato difenda i valori umani e i valori civili».
Di fronte a uno scenario desolante, volevamo sapere che speranza vi sia per chi lotta contro un simile orrore: «Crediamo che il male sia passeggero e che ciò che è normale, naturale e accettabile sia il bene… il Venerdì di Passione non può essere Venerdì di Passione, se non è seguito da una speranza, della domenica (Domenica di Risurrezione) e questa speranza avrebbe poco senso senza la sofferenza degli altri giorni. C’è un vincolo tra speranza e dolore, e ogni volta che il dolore è più grande, più grande è la speranza».
Infine, il popolo iracheno si è unito per lottare contro il male: «Se c’è un aspetto positivo in questo male di cui soffriamo in Iraq, questo è l’unità che ha raggiunto il popolo iracheno, e includo l’unità della comunità internazionale che è a favore dell’Iraq, contro l’Isis. E quando, per esempio, si libererà Mosul, sarà un’occasione di gioia tanto per voi quanto per noi, e sarà un trionfo anche per tutti voi, sicuramente festeggeremo questo trionfo».
Asciugare le lacrime di un bambino
Chiediamo dell’impegno della stampa e di quello che abbiamo potuto fare a distanza per migliorare la situazione di chi soffre molto: «Tutti i mezzi d’informazione, social media, centri culturali e politici hanno la responsabilità di risvegliare la coscienza di questo mondo. Tutti dobbiamo opporci al male. Una qualsiasi azione umana può avere un grande valore, persino asciugare le lacrime di un bambino che piange. Quando aiuti un bambino ad asciugare una lacrima, non stai pensando alla religione di quel bambino, quello che importa è asciugare la lacrima di questo bambino, porre fine alle sue sofferenze, e con questo avrai raggiunto l’obiettivo umano che vai cercando. Vi auguro tutto il successo possibile nel vostro impegno nel divulgare i valori del bene e i valori umani e tutti quei valori su cui gettiamo le basi della nostra convivenza».
*Da Infovaticana. Traduzione dallo spagnolo di Valeria D'Ellena