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ITALIUCUM

E se Berlusconi regalasse a Renzi l'area moderata?

Renzi incassa un risultato storico sull'Italicum. Dopo anni di pantano in materia elettorale. finalmente l'Italia ha una legge che consente di andare al voto e di avere una maggioranza solida. Il premier ha la strada spianata? Forse, magari con l'aiuto di Berlusconi pronto a garantire un futuro politico a Renzi proprio nell'area moderata.

Editoriali 06_05_2015
Silvio Berlusconi

Renzi incassa un risultato storico sull'Italicum. Dopo anni di pantano in materia di riforma elettorale (perfino l'ex Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano rivolse inutilmente accorati appelli al Parlamento affinché riformasse il sistema di voto), finalmente l'Italia ha una legge che consente di andare al voto e di avere una maggioranza solida, almeno alla Camera. 

L'Italicum, infatti, vale solo per il rinnovo dell'assemblea di Montecitorio, tanto che una clausola di salvaguardia ne posticipa l'entrata in vigore a luglio 2016, data entro la quale la riforma del Senato (a quel punto non più elettivo) dovrebbe essere cosa fatta. C'è dunque da ammettere che l'attuale premier è riuscito laddove tutti i suoi predecessori avevano fallito. Certamente la spinta della Consulta, con la bocciatura del Porcellum, ha accelerato il processo. Il Consultellum, con l'attribuzione proporzionale dei seggi a tutte le forze politiche, avrebbe nei fatti impedito la governabilità e consegnato all'Italia nuovi governi di larghe intese. Con l'Italicum i cittadini scelgono più o meno direttamente il capo del governo perché il partito che vince ottiene il premio di maggioranza e ha il diritto di esprimere la guida dell'esecutivo. Ma il voto definitivo sull'Italicum alimenta qualche dubbio sulla tenuta del quadro politico. 

La storia insegna che chi ha sostenuto a spada tratta un sistema elettorale con la convinzione di poterne trarre un vantaggio alla fine si è trovato spiazzato dal verdetto delle urne. Peraltro le lacerazioni interne al Pd potrebbero riprodursi a Palazzo Madama, dove occorre una maggioranza solida per far passare la riforma costituzionale del Senato. Se quella riforma non passasse, la legislatura potrebbe subire una battuta d'arresto.  Senza contare che Mattarella potrebbe rimandare l'Italicum alle Camere per un approfondimento (alcuni costituzionalisti adombrano tale ipotesi) e che le opposizioni sembrano tutte coalizzate nel chiedere il referendum abrogativo. É vero, Renzi ha messo in cassaforte un'arma che gli consente di andare a votare in qualunque momento con la certezza di arrivare primo. Difficilmente, infatti, il centrodestra, anche se superasse le divisioni attuali, potrebbe eguagliare le percentuali che i sondaggi attribuiscono al Pd. L'incognita riguarda però il ballottaggio. 

Al momento il premier gioca sul fatto che al ballottaggio difficilmente le opposizioni si coalizzerebbero: se il secondo partito fosse il Movimento 5 Stelle, l'elettorato di centrodestra si dividerebbe tra il voto a Renzi e l'astensione; se il secondo partito fosse Forza Italia o un nuovo partito di centrodestra, l'elettorato pentastellato, al secondo turno, si dividerebbe tra l'astensione o il voto al centrosinistra. In entrambi i casi, quindi, il Pd avrebbe la certezza di prevalere. Ma questi calcoli, assai attendibili, sono figli di una fase storica che potrebbe esaurirsi di qui alle prossime politiche, soprattutto se la legislatura arrivasse alla scadenza naturale del 2018 e soprattutto se la situazione economica, attualmente meno critica, dovesse nuovamente precipitare. Nell'attuale Parlamento ci sono almeno duecento parlamentari che si dichiarano nullatenenti (zero euro di introiti all'anno) o con redditi bassi (sotto i 10.000 euro). Si tratta, probabilmente, di senatori e deputati disposti a correre in soccorso del premier ove le sue truppe perdessero altre pedine nel Pd e ove il soccorso azzurro non dovesse arrivare. Ma che prezzo dovrebbe pagare in quel caso il premier? Andrebbe avanti con maggioranze variabili, tenute insieme solo da calcoli convenientistici e senza un progetto politico, il che lo indebolirebbe in vista del voto politico.

Un primo test per misurare il gradimento del renzismo agli occhi dell'elettorato saranno senz'altro le elezioni regionali del 31 maggio. Si parla di cappotto (7-0 per il centrosinistra). Attualmente il centrodestra governa solo in due delle sette regioni chiamate alle urne: Veneto e Campania. Mentre nel Veneto, il presidente uscente, il leghista Zaia, avrebbe ancora margini di vantaggio sulla rivale più temibile, la Moretti (Pd), in Campania il governatore uscente Caldoro sarebbe in leggero svantaggio sullo sfidante De Luca, che peraltro rischia di essere eletto e di decadere il giorno dopo, a causa della condanna subita in forza della legge Severino. Se il Pd dovesse confermare a fine maggio le percentuali raccolte alle europee dell'anno scorso, la strada per il premier sarebbe in discesa, anche nella battaglia con la minoranza interna, a sua volta divisa tra la vecchia guardia (Bersani, D'Alema, Bindi) e le nuove leve, sempre più attratte dalle sirene renziane. Ma se a sinistra prendesse quota una nuova formazione politica, figlia di un'alleanza tra Landini, Camusso, Civati, Boldrini, Fassina e altri esponenti del fronte antigovernativo, Renzi potrebbe a quel punto realizzare l'idea del partito della nazione, in grado di attrarre voti anche nel bacino elettorale di Forza Italia e di assorbire quel che resta di Area popolare e dei centristi ora al governo.

Il risultato sarebbe quello di arrivare alle prossime elezioni politiche con un ballottaggio tra un centrosinistra guidato da Renzi, molto orientato verso l'elettorato moderato, e una sinistra con un nuovo leader. Grillini e leghisti si dividerebbero i rimanenti voti.  Per ora questo scenario appare lontano, ma l'atteggiamento di Berlusconi, che annuncia di voler rinnovare Forza Italia ma nel frattempo non indica una strada precisa per farlo, alimenta più di un sospetto: non è che alla fine sarà proprio l'ex Cavaliere a garantire un futuro politico a Renzi nell'area moderata?