Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Giovedì Santo a cura di Ermes Dovico
provocazioni

È Sanremo o la festa dell'Unità? Al governo va bene così

Tra accuse di razzismo e fluidità sessuale, il Festival di Sanremo sembra una Festa dell'Unità. Il governo rinuncia a contrastare la deriva ideologico-propagandistica e va al traino della Sinistra. Ma non c'è da stupirsi: il caso del sottosegretario alla cultura Mazzi lo dimostra: ha firmato con Amadeus le scorse edizioni, ma sulle polemiche si nasconde e alla Bussola con imbarazzo risponde: «Non mi interessano, non parlo del Festival». 
- VIDEO: SANREMO, CAPORETTO CULTURALE DELLA DESTRA, di Riccardo Cascioli

Editoriali 10_02_2023

E con Paola Egonu, che ha accusato l’Italia di essere un Paese razzista, il Festival di Sanremo è diventato ufficialmente la Festa dell’Unità. La pallavolista ha rivendicato con orgoglio il suo essere nera e sessualmente fluida e lo ha fatto servendosi del palco messogli a disposizione all’Ariston dalla tv di Stato nella terza serata del Festival. In pratica: accusa di razzismo il Paese che le ha regalato il pass per diventare un personaggio mediatico non in virtù dei suoi meriti sportivi, ma per le sue idee politiche.

Prima di lei c’era stato Fedez, che, con il doppio attacco, prima al viceministro delle Infrastrutture Bignami del quale aveva strappato una sua vecchia foto di Carnevale vestito da nazista e poi al ministro della Famiglia Eugenia Roccella per aver definito l’aborto «purtroppo un diritto», ha mostrato che il rap al servizio della propaganda politica non è arte. E prim’ancora Amadeus, che aveva invitato il ministro Salvini a guardarsi un film sabato sera e messo in guardia i “bacchettoni” spiegando che il «compito della tv è quello di educare che è normale che un uomo ami un altro uomo».

Il tutto con la benedizione di Mattarella.

La sfida al governo Meloni è lanciata col ghigno e l’arroganza dei primi della classe, utilizza i palinsesti della tv pubblica e i soldi dei contribuenti e gli ultimi episodi vanno ad aggiungersi ad una serie infinita di operazioni di propaganda, che nulla hanno a che fare con la cultura, ma semmai con il kulturame egemonico di Sinistra. Sembra quasi che, orfana di un posto al governo, la Sinistra abbia voluto occupare Sanremo riversando tutto il suo catalogo: cantanti stonati e ideologizzati che teorizzano nuove forme di amore, tra il promiscuo e il perverso; ricchissime influencer incapaci di qualunque slancio artistico se non quello del fiuto per gli affari; nani e ballerine a corredo di un’operazione che il centrodestra digerisce a fatica, ma che è incapace di contrastare con un’adeguata reazione, se non altro di indignazione.

Ci ha provato Vittorio Sgarbi a farlo: ha detto che «Benigni e Fedez sono artisti obbligatori, una tassa che lo Stato deve pagare per dare spazio a esponenti di Sinistra o vagamente transgender». Ma Sgarbi, si sa, è un battitore libero. Il resto del governo, finché può, cerca di starsene zitto, in ritirata, ripiegato sul conformismo dominante, incapace di provare a esprimere un’idea di cultura che, anche se non necessariamente controegemonica, per lo meno sia capace di esprimere sentimenti e valori condivisi da un popolo o che non urtino la sensibilità della sua maggioranza silenziosa.

E per forza. Si conferma il problema già sollevato su queste colonne in occasione del voto parlamentare sulla legge 194 di un centrodestra che non ha una cultura politica, che «si è totalmente appiattito sul “fiore all’occhiello” della cultura del post-illuminismo borghese, dell’individualismo narcisistico, dell’emotivismo etico, della cultura postmoderna dei nuovi diritti».

Non è un caso che per un Sottosegretario alla cultura che parla, ce ne sia un altro che invece cerca di starsene fuori dalle polemiche. E non è un sottosegretario di poco conto dato che Giorgia Meloni gli ha affidato non solo la cultura, ma persino la delega agli spettacoli.

Al grande pubblico il nome di Gianmarco Mazzi non dice granché, ma il suo essere un importante impresario del mondo dello spettacolo lo mette tra i protagonisti dei Sanremo degli ultimi 15 anni. È stato infatti per diverse edizioni (sotto la conduzione di Bonolis, Panariello, Antonella Clerici e Gianni Morandi) il direttore artistico del Festival e recentemente ha collaborato proprio con Amadeus per le precedenti edizioni del ’20, ’21 e ‘22.

Ebbene. Proprio Mazzi, nonostante sia Sottosegretario alla cultura con delega agli spettacoli, preferisce non commentare la deriva politico-ideologica che ha preso la kermesse in corso in Riviera. Eppure, nel suo ruolo qualcosa potrebbe e dovrebbe dirlo.

La Bussola lo ha cercato per commentare gli ultimi sviluppi, partendo dal caso Rosa Chemical che ha visto sulla graticola la sua compagna di partito Maddalena Morgante: «Non parlo di Sanremo, non mi interessa», è stata la sua cortese, ma imbarazzata risposta alla nostra richiesta.

In compenso, Mazzi parteciperà in rappresentanza del governo agli Stati generali della canzone che si terranno proprio stamattina a Sanremo, nel contesto del Festival. Le agenzie hanno rimarcato che per lui sarà anche l’occasione di ritrovare Amadeus, con il quale ha firmato le precedenti edizioni. Certo, quest’anno Mazzi non è stato coinvolto nell’organizzazione, visto il suo nuovo ruolo politico scaturito con le elezioni di settembre, ma il fatto che sia di casa è testimoniato anche dallo stesso sito del Mibac, dove compare il suo ricco curriculum nel settore dell’intrattenimento canoro e dove figura come collaboratore nell’organizzazione del Festival anche per le annate 2023 – quella in corso – e 2024. Almeno, aggiornare la pagina potrebbe essere un gesto di sensibilità istituzionale, onde evitare di suscitare sospetti di coinvolgimento.

Sia come sia, la deriva del Festival non è cominciata quest’anno, ma va avanti da anni e in questi ultimi in particolare, con la conduzione di Amadeus, ha conosciuto un’accelerazione in fatto di provocazioni sui temi più sensibili. Ricordate le blasfeme interpretazioni di Achille Lauro e Fiorello che avevano fatto sobbalzare il vescovo di Sanremo? A guidare la macchina del palinsesto con Amadeus c’era proprio Mazzi. E non si ricordano prese di posizione particolari da parte sua, anzi, quando ha potuto, ha persino sostenuto certe discutibili performance come quando l’anno scorso ha difeso la presenza di Drusilla Foer (al secolo Gianluca Gori) perché «rappresenta il teatro». Solo che Drusilla non è un “grande e irreprensibile Giorgio Albertazzi” reincarnato, ma uno dei simboli più à la page della fluidità sessuale declinati in ambito artistico. Come si fa a questo punto a combattere il gender nelle scuole come promesso in campagna elettorale?

Inutile, dunque, pretendere, con queste premesse, che Sanremo sia qualcosa di diverso dal pensiero unico dominante per il solo fatto che adesso c’è un nuovo governo e sperare che la musica cambi. La presenza di Mazzi ai Beni culturali e il suo silenzio sugli ultimi attacchi al governo che era stato votato per promuovere una sensibilità diversa, è la prova che anche sul versante della battaglia culturale, la sfida è già persa in partenza e nemmeno giocata.

La Sinistra avrà pure perso le elezioni, ma governa ancora il Paese con le sue idee, il centrodestra non può far altro che assimilare e incassare perché in fondo non ha nessuna intenzione di proporre una cultura alternativa che sia però maggioritaria, popolare e maggiormente educativa sul piano dei valori. In poche parole: una cultura migliore per un popolo che non si merita il birignao sulla libertà di parola e allo stesso tempo vede che viene calpestata la libertà di pensare che l’ossessione sessuopatica, immigrazionista e finto-liberal di certi artisti e certi monologhi è una forma di totalitarismo culturale.