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LAVORO

É l'ora dello scontro tra governo e sindacati

Dopo il braccio di ferro sul Jobs act, governo e sindacati sono nuovamente ai ferri corti. L’ultima sortita del ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, che, due giorni fa, durante un convegno a Roma, ha definito l’orario di lavoro «un attrezzo vecchio», ha rinfocolato le tensioni tra Palazzo Chigi e le parti sociali.

Politica 29_11_2015
Il ministro del Lavoro Poletti

Dopo il braccio di ferro sul Jobs Act, governo e sindacati sono nuovamente ai ferri corti. L’ultima sortita del ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, che, due giorni fa, durante un convegno alla Luiss, a Roma, ha definito l’orario di lavoro «un attrezzo vecchio», ha rinfocolato le tensioni tra Palazzo Chigi e le parti sociali. L’esponente del governo Renzi ha auspicato la rottamazione dell’ora-lavoro come unità di misura nei contratti per il salario e l’individuazione di nuovi strumenti che misurino la produttività e tengano conto dei cambiamenti tecnologici. 

«Ho la convinzione», ha detto Poletti, «che stia cambiando il ruolo del lavoro nella vita delle persone». Per molti anni i ritmi biologici e di vita si sono piegati ai tempi di lavoro, agli orari fissi, ma «oggi le tecnologie ci consegnano più libertà e il lavoro è un po’ meno cessione di energia meccanica ad ore e sempre più risultato». E ha aggiunto: «Dovremmo immaginare contratti che non abbiano come unico riferimento l’ora di lavoro, ma misurare l’apporto dell’opera. L’ora di lavoro è un attrezzo vecchio». Le sue dichiarazioni, c’era da prevederlo, hanno scatenato un vespaio di polemiche nel mondo sindacale. Il numero uno della Cgil, Susanna Camusso, è stata tranchant: «Bisogna smettere di scherzare quando si parla di lavoro. Bisogna ricordarsi che la maggior parte delle persone fa un lavoro faticoso: nelle catene di montaggio, le infermiere negli ospedali, la raccolta nelle campagne, dove il tempo è fondamentale per salvaguardare la loro condizione».

Ancora più netta la reazione di Carmelo Barbagallo, leader Uil, che parla addirittura di liberismo sfrenato: «Un ministro del Lavoro non può pensare di affrontare temi del genere con annunci spot ad uso giornalistico». Non meno duro il giudizio del segretario confederale Cisl, Gigi Petteni: «Il ministro farebbe bene a portare a termine la riforma del lavoro su cui molti punti sono ancora da chiarire e da attuare per offrire nuove opportunità di lavoro ai giovani, combattere il precariato e gli abusi». Di segno opposto le valutazioni degli ambienti confindustriali. Alberto Bombassei, parlamentare di Scelta Civica e presidente Brembo, è d’accordo con Poletti sulla necessità del superamento del concetto di orario di lavoro e punta sul modello tedesco: «Servono forme contrattuali che facilitino, abbiano meno burocrazia e mettano più soldi nelle tasche dei ragazzi».

Ma le parole del ministro, a prescindere dalla loro praticabilità nella realtà italiana, ancora eccessivamente sindacalizzata, rappresentano quanto meno una salutare provocazione. La difesa anacronistica dell’orario di lavoro come principale parametro di valutazione della produttività dei lavoratori ricorda un po’ i film di Fantozzi che ritraevano gli impiegati smaniosi di timbrare il cartellino e di tornare a casa dopo aver scaldato la sedia per ore. Formalmente assolvevano i loro compiti rispettando l’orario di lavoro, in realtà oziavano. Questo è solo un paradosso, ma non si può negare che la realtà lavorativa nella civiltà globale sia ormai profondamente cambiata e abbia da tempo messo in gioco le categorie tradizionali.

Il commercio on line e la Rete hanno radicalmente trasformato il mercato del lavoro, ponendo nuove sfide che la tradizionale dicotomia tra lavoratori e datori di lavoro non è in grado di raccogliere. Non occorre che la flessibilità, anche in termini di orario di lavoro, venga sancita per legge. La flessibilità è già nei fatti e pervade lo spirito organizzativo delle nuove generazioni, che spontaneamente rifuggono dalle logiche tradizionali, mettendo implicitamente in evidenza l’anacronismo delle posizioni dei sindacati. Ancorare la retribuzione a un rigido computo delle ore di lavoro finisce per svilire la creatività del singolo e per mortificare le performance dei lavoratori. Occorrono criteri di misurazione innovativi e integrati che tengano conto dei cambiamenti intervenuti negli ultimi anni sul versante produttivo e che premino efficacemente le performances dei singoli, affinché si sentano maggiormente coinvolti nelle sorti della loro impresa.

Poletti probabilmente immagina questo scenario. Che poi abbia pronunciato quelle frasi allo scopo di riaccendere la dialettica col sindacato, ricompattare governo e Pd e distogliere l’attenzione da altre grane che in questo momento tormentano l’esecutivo, potrebbe essere. Ma la sostanza delle cose non cambia.