E il muftì mandò all'inferno i terroristi suicidi
Due alte cariche religiose dell'Arabia Saudita, il Gran Muftì e l'imam della Grande Moschea della Mecca, hanno condannato il terrorismo suicida. Ma il Gran Muftì, fino a poco fa, diceva cose ben diverse. Solo opportunismo?
Se l’Europa teme il rientro dei jihadisti dalla Siria, anche l’Arabia Saudita, terra natale di Osama bin Laden e una delle principali officine dell’ideologia del terrore, è preoccupata non solo da quanto accade in Siria, ma dalle problematiche interne che nei prossimi anni potrebbero colpirla in prima persona. La serpe ideologica che l’Arabia Saudita nutre da anni nel proprio seno, non è una novità.
Nel 2005 l’intellettuale egiziano Sayyid al-Qimni sulla rivista “Rose al-Youssef” denunciava: «Ma che cosa dicono gli ulema wahhabiti a proposito dello spargimento di sangue innocente? Qui non si schierano dalla parte della verità, non si leva da parte della religione alcun biasimo, ma d’altronde la religione è quella di Muhammad ibn ‘Abd al-Wahhab. Per questa ragione Muhsin al-‘Awaji, nella moschea dell’Università Re Sa’ud [a Riad] ha bofonchiato: ‘La verità deve essere pronunciata’. Costui è un personaggio che non si vergogna di creare la propria verità secondo la quale “il popolo saudita ama tutti combattenti e tutti coloro che intraprendono il jihad. Noi siamo orgogliosi di essere considerati coloro che hanno colpito senza pietà i nemici di Dio e i nostri nemici. L’Arabia Saudita resterà sempre la tana dalla quale usciranno le persone per combattere il jihad nel mondo intero”».
Di recente deve essere però scattato un campanello di allarme interno a causa del numero sempre più elevato di giovani jihadisti che partono dal Regno alla volta della Siria per unirsi prevalentemente all’organizzazione terroristica Jabhat al-Nusra. Costoro se non troveranno la morte nella convinzione di combattere sulla strada di Allah e di conquistarsi il Paradiso, sono destinati a rientrare in patria e a diventare con molta probabilità i più temibili nemici non dell’islam, ma della stabilità interna.
La conferma della inversione di rotta della monarchia saudita è confermata dalle dichiarazioni e dalle affermazioni dei principali religiosi del Regno, primo fra tutti il Gran Mufti Abd al-‘Aziz Al al-Shaykh. Il 28 ottobre 2013 il quotidiano arabo internazionale Al-Hayat aveva riportato in prima pagina le parole della più importante autorità religiosa saudita titolando “Consigliate i giovani della nazione islamica come se fossero i vostri figli”. Durante una conferenza tenuta presso l’Università dell’imam Turki ibn Abd Allah a Riad, il Gran Mufti si è rivolto agli educatori con le seguenti parole: «Il musulmano deve temere Allah, non deve deludere i giovani né approfittare della loro debolezza né della loro miopia per poi scaraventarli nel baratro, deve consigliarli come se stesse consigliando il proprio figlio». A una domanda circa il jihad ha risposto con molta chiarezza: «Tutto questo è un errore, non è un obbligo del singolo. Se tu andassi [a combattere il jihad] senza conoscerne il motivo, senza sapere con chi vai a combattere, allora è bene che tu sappia che sono fazioni che si combattono a vicenda e che non bisogna intromettersi». Il 12 dicembre 2013 nello stesso ateneo, sempre il Gran Mufti ha avuto modo di essere ancora più esplicito circa il jihad e gli attentati suicidi: «Il suicidio è un crimine ed è uno dei peccati più gravi. Coloro che si suicidano facendosi saltare in aria sono criminali che finiranno direttamente nel fuoco dell’inferno». Riferendosi ai kamikaze ha dichiarato che «i loro cuori sono deviati e hanno perso la retta via, le loro idee sono mutate e le loro menti sono dedite al male e alla corruzione. Le loro menti non sono più in grado di distinguere il vero dal falso. Quando annientano se stessi e la società, usano i mezzi dei nemici dell’islam che assassinano i giovani dell’islam». Non è mancata l’analisi delle devianze del pensiero che, secondo il Gran Mufti, sono le più preoccupanti e quelle che provocano più danni: «Bisogna quindi concentrarsi sul vero credo, sui programmi educativi poiché con una fede sana e pura i cuori non vengono intaccati da idee nocive. D’altronde viviamo in un mondo inondato da canali satellitari e falsi predicatori».
Probabilmente non è una semplice coincidenza quella che ha portato, lo scorso 14 dicembre, l’imam della Grande moschea della Mecca a pronunciare un sermone che sembrava essere la continuazione del discorso del Gran Mufti e in cui metteva in guardia dall’ulteriore spargimento di sangue e dalle condanne di apostasia perché «danneggiano la religione e i suoi seguaci, impediscono la diffusione dell’islam e introducono corruzione nella società islamica». L’imam fa anche un chiaro cenno alla Siria dove “i governi arabi e musulmani non sono riusciti a porre fine al conflitto” e alcune organizzazioni «sono diventate il terreno fertile per le condanne di apostasia e omicidi, altre adescano giovani per combattere il nemico nel loro Paese».
In Arabia Saudita nulla accade per caso. Le prese di posizione delle due autorità religiose sono senza dubbio coordinate e volute dall’alto. Purtroppo sono interpretabili solo come dichiarazioni utilitaristiche volte a preservare la sicurezza interna e non come segni di una svolta nell’interpretazione conservatrice dell’islam denunciata da Sayyid al-Qimni. Basti pensare che quello che oggi appare un saggio Gran Mufti, nel 2006 ha definito il discorso di Benedetto XVI a Ratisbona "un cumulo di bugie"; nel marzo 2012, durante una visita in Kuwait, ha auspicato che "tutte le chiese della Penisola arabica vengano distrutte", infine nell’aprile 2012 ha emesso una fatwa che consentiva il matrimonio delle ragazze a partire dai dieci anni d'età.
Ancora una volta, ci si trova innanzi a un profondo relativismo che tutela la sacralità della vita solo a certe condizioni, che tutela le persone solo in base all’appartenenza religiosa, che “rispetta” la donna solo per darla in pasto al proprio guardiano. Sino a quando l’Arabia Saudita, e tutti i predicatori d’odio nel mondo islamico, non comprenderanno che solo accettando l’universalità dei diritti umani a prescindere dall’appartenenza religiosa riusciranno a salvare se stessi, tutti sermoni e tutte le dichiarazioni cadranno nel vuoto e i giovani cadranno in quel baratro di cui parla il Gran Mufti.