E i Fratelli Musulmani divennero moderati. Forse
Corre voce che oggi si siano fatti meno fanatici, soprattutto a fronte dei salafiti. Ma basta ripercorrere storia e cronaca per accorgersi che non è vero.
Per anni in Occidente, negli Stati Uniti in prima fila, si è affermato che i Fratelli Musulmani hanno pieno diritto di partecipare al processo elettorale democratico sia perché così facendo si dovrebbero attenere alle regole di quest’ultimo, sia perché esisterebbe in seno alla Fratellanza un gruppo “moderato” che avrebbe modificato gli obiettivi e sarebbe disposto ad attuare la cosiddetta “democrazia islamica”. Oggi, dopo la cosiddetta “primavera” araba, il movimento fondato da Hasan al-Banna è sceso in campo e sta vincendo ovunque si presenti. 44% in Tunisia, il 25% in Marocco e il 40% al primo turno in Egitto. E ancora una volta i mezzi di comunicazione occidentale hanno inneggiato alla vittoria degli islamisti “moderati”. Ciononostante, e questo ci fa ben sperare, qualcuno inizia ad aprire gli occhi.
Ebbene, nel marzo 2007 il periodico statunitense Foreign Affairs pubblicava un articolo a firma di Robert Leiken e Steven Brooke dall’intrigante titolo The Moderate Muslim Brotherhood. Il pezzo era un concentrato di leggerezza e ingenuità. I due autori esordivano sottolineando di avere incontrato e parlato di persona a numerosi esponenti della Fratellanza quindi di avere notizie di prima mano, dimenticando innanzitutto che uno dei fondamenti di questo gruppo è la liceità della dissimulazione. Dopodiché sottolineavano che il movimento non è un monolite, che ha diverse anime e alcuni esponenti che sarebbero persino disposti a colloquiare con gli Stati Uniti, dimenticando anche in questo caso che per costoro tutto è lecito pur di raggiungere il loro fine ultimo ovvero l’insediamento di uno Stato islamico. Leiken e Brooke sostenevano persino che i Fratelli Musulmani rappresentano una notevole opportunità per l’Occidente che vuole dei referenti nel mondo islamico.
Forse è il caso di ripercorrere a grandi linee, così come hanno fatto i due studiosi americani, la storia dei Fratelli Musulmani. Il movimento nasce nel 1928 in Egitto, nei pressi del Canale di Suez ad opera di Hasan al-Banna, nonno di Tariq Ramadan. Al-Banna è la “guida suprema” e struttura il movimento sul modello comunista, con cellule di base a tutti i livelli della vita quotidiana, con sezioni femminili a partire dal 1933. L’insieme aveva come collante il giuramento di fedeltà e la totale obbedienza alla guida suprema. Quando al-Banna si trasferisce al Cairo avvia un intenso periodo di agitazione politica che culmina il 6 dicembre 1948 con l’emanazione di un decreto militare in cui si ordina la dissoluzione e la messa al bando del movimento per opera del primo ministro Nuqraishi Pasha che il 28 dicembre viene assassinato da un giovane fratello musulmano. Nonostante Hasan al-Banna, come ricordano Leiken e Brooke, avesse condannato l’assassinio, il 12 febbraio 1949 fu ucciso dalla polizia egiziana. L’atteggiamento verso al-Banna dei due ricercatori americani è simile a quello del nipote di quest’ultimo Tariq Ramadan che nell’edizione francese del suo Essere musulmano europeo pubblica un glossario, assente nell’edizione italiana, dove alla voce dedicata al nonno scrive: «il fondatore dei Fratelli Musulmani, tanto citato, ma poco letto. In Occidente lo si conosce soprattutto attraverso quel che dicono i suoi nemici politici e in modo particolare i colonizzatori inglesi e i militanti sionisti».
Colonizzatori inglesi e militanti sionisti il cui comune denominatore, secondo Ramadan, è l’islamofobia. Ma non sono certo più rassicuranti le parole di Hasan al-Banna, riportate nel sermone di venerdì 14 marzo 2003 da Yusuf al-Qaradawi, referente teologico di Ramadan e che certamente non è né un colonizzatore inglese né un militante sionista: «In gioventù avevo l’abitudine di recitare alcune invocazioni, tra cui una che diceva: “O Dio accordami da parte tua una vita piacevole e una morte piacevole!”. Cari fratelli, che cosa credete che sia la morte piacevole? Credete che una morte piacevole consista nel morire nel proprio letto, vicino ai propri familiari e i propri figli? È questa la morte piacevole? Tutti muoiono così. In verità, c’è la morte piacevole nel momento in cui questa testa è staccata da questo corpo sulla via di Dio».
Parole che riecheggiano quelle di Sayyid Qutb, il teorico della lotta armata dei Fratelli Musulmani, che ne ha coniato il motto: «Dio è il nostro fine, l’Inviato è il nostro modello, il Corano è la nostra legge, il jihad è la nostra via, il martirio è il nostro desiderio». Qutb, nel suo commentario coranico All’ombra del Corano, propone un rinnovamento del diritto musulmano che deve adattarsi alla nuova fase della storia dell’islam, ossia quella dei combattenti della fede in una società che è ritornata al periodo preislamico. Secondo lui tre “vermi” corrodono la società islamica all’interno: un apparato religioso corrotto che legittima ogni potere, gli intellettuali modernisti e la sottomissione dei credenti passivi. All’esterno bisogna invece combattere i demoni umani ovvero i crociati, i sionisti, gli idolatri e i comunisti tutti uniti contro l’islam. Tutte queste idee in maniera più o meno palese sono propugnate da tutti i Fratelli Musulmani. Per esempio, Leiken e Brooke sottolineavano la “moderazione” di Hasan Hodaybi rispetto alle posizioni di Sayyid Qutb per quanto concerne il concetto di takfir ovvero la condanna di apostasia. Di fatto la moderazione di Hodaybi si esplicitava nel fatto che prima di condannare a morte contemplava il tentativo di convincere gli altri della correttezza delle proprie idee e solo in ultima istanza la condanna di apostasia.
Molti sono coloro che nel mondo arabo ci mettono in guardia dall’illusione di Fratelli Musulmani moderati. Tra questi spicca l’egiziano Magdi Khalil, fondatore del Middle East Freedom Forum, che parlando della partecipazione, seppure indiretta, dei Fratelli musulmani al processo elettorale nel proprio Paese, commenta: «Nel marzo 2004 la Fratellanza ha pubblicato una piattaforma politica, che era di fatto la proposta di uno Stato islamico, in cui si affermava: “La nostra missione è quella di attuare una riforma comprensiva per diffondere la legge divina sia nelle questioni temporali sia in quelle religiose. La nostra unica speranza è aderire fedelmente alla nostra religione e applicare la shari’a”». Non a caso anche in occasione della recente riforma costituzionale, la presenza dei Fratelli Musulmani in parlamento ha fatto sì che non si potesse riformare l’articolo 2 che prevede che la shari’a è la fonte principale del diritto. Magdi Khalil rammenta anche che le uniche interpellanze parlamentari dei deputati affiliati alla Fratellanza, dal 1984 a oggi, miravano a colpire i liberi pensatori, i cantanti, a fare abolire i baci dai film e a fare assumere una linea più rigida alla università islamica di al-Azhar. La conclusione di Khalil è che «i partiti islamici non accetterebbero mai i valori della società democratica e liberale. Sarebbe un ossimoro perché non è possibile che gli islamisti adottino questi valori mantenendo intatta la loro identità di islamisti, poiché sarebbero dei liberali!».
Della stessa opinione è Eric Trager, ricercatore all’Università della Pennsylvania, autore dell’articolo The Unbreakable Muslim Brotherhood: Grim Prospects for a Liberal Egypt. È significativo che a pubblicare il testo di Trager sia stata proprio la rivista Foreign Affairs che quattro anni fa aveva sostenuto la tesi della moderazione della Fratellanza. Qui l’autore spiega la modalità di reclutamento nelle scuole e gli stadi che gli aspiranti devono superare per diventare membri dell’organizzazione a pieno titolo. Quella che ci interessa è la conclusione: «Washington dovrebbe preoccuparsi della recente ascesa dei Fratelli Musulmani. Nonostante la Fratellanza insista che il loro fine è “moderato”, sembra che diano a questo termine un significato diverso da quello occidentale. Per i Fratelli musulmani la parola, come afferma Hamza il responsabile del loro sito web in inglese, significa semplicemente “non usare la violenza, denunciare il terrorismo e non lavorare con i jihadisti”».
Trager riporta, come eccezione alla regola, le parole dell’ex Guida Suprema Mahdi Akef: «Crediamo che il sionismo, gli Stati Uniti, l’Inghilterra siano bande che uccidono bambini e donne e distruggono case e campi». D’altronde lo stesso Mahdi Akef, in un documentario mandato in onda dal Canale 2 della televisione norvegese lo scorso novembre, affermava: «Il sogno dei Fratelli musulmani è istituire uno Stato islamico unito. Istituire? Dove? Non lo so. Noi musulmani siamo attualmente diffusi dovunque. Numerose nazioni e differenti gruppi».
Significa che i Fratelli musulmani non ne fanno una questione di tempo, l’importante è raggiungere lo scopo: lo Stato islamico. Hasan al-Banna poneva il processo elettorale come uno strumento per raggiungere il potere e imporre quindi la sharia e raggiungere infine lo Stato islamico.
Forse Foreign Affairs se ne è accorta e sarebbe il caso che anche noi aprissimo gli occhi giacché, come ha scritto l’intellettuale egiziano Adel Guindy, «il tentativo di paragonare i partiti democratici cristiani ai partiti democratici islamici nei nostri Paesi e nelle nostre nazioni è come volere paragonare l’acqua all’acido solforico».