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STRATEGIE

E' finito un partito, non l'unità dei cattolici

Il fatto che non ci sia più un partito dei cattolici non deve trarre in inganno. Non è un "liberi tutti". I cattolici devono tener fede ai loro principi non negoziabili, non possono permettersi di militare in partiti completamente incompatibili nei loro valori, storia e proposte.

Editoriali 05_05_2015
Vecchia Dc

Il 30 aprile scorso, Papa Francesco, rispondendo a braccio ad una domanda nell’incontro con le Comunità di vita cristiana, ha detto che il cristiano deve fare politica ma non è utile fondare un partito cattolico, “perché farebbe quello per cui non è stato chiamato”. Era prevedibile che questa frase avrebbe dato adito ai sostenitori della diaspora dei cattolici in politica di vedervi convalidata e confermata autorevolmente la loro posizione.

E’ molto semplificatoria l’equazione: fine del partito cattolico e presenza indifferente dei cattolici in tutti i partiti. Semplificatoria almeno quanto quest’altra: fine del partito cattolico è uguale a unità sui principi e divisione sulle scelte concrete. A questa conclusione semplificatoria giunge, per esempio, Gianni Gennari su Vatican Insider del 3 maggio.  

Cominciamo da quest’ultima equazione. Quali sarebbero le scelte concrete indifferenti ai principi? Da quando tra lex credendi e lex operandi ci sarebbe un salto incolmabile? Non c’è una coerenza a cui far fede? Non solo coerenza di morale personale (“guarda quello là, si dice cattolico e poi fa così e così …”) ma una coerenza dottrinale e, quindi, di morale politica doverosa per tutti i cattolici? La fede cattolica non è un sistema, ma ciò non significa che non abbia una coerenza. Ha forse sbagliato Benedetto XVI a parlare di “coerenza eucaristica” nell’esortazione post-sinodale Sacramentum caritatis

In politica c’è un gran numero di scelte lasciate alla libera valutazione prudenziale in quanto – Nota Ratzinger del 2002 docet – o si tratta di scelte buone (e il bene lo si può fare in molti modi) o complesse da decifrare, o dipendenti da situazioni diverse o  empiriche. Ma la politica non è fatta solo di scelte di questo genere. Ce ne sono anche di tali che coinvolgono principi fondamentali dell’etica naturale e della fede cattolica. Come possiamo parlare, a questo proposito, di unità di fede sui principi e di divisione nelle scelte concrete? Se vogliamo parlare di coerenza – se c’è una coerenza nella fede cattolica – davanti alla recente scelta concreta del “divorzio breve” lo spazio di discrezionalità era pressoché inesistente. D’altronde, se i cattolici lasciano da parte i principi quando affrontano le scelte concrete perché dovrebbero chiamarsi ancora cattolici? La loro posizione sarebbe uguale a quella dei cosiddetti laici. Ammesso e non concesso che i laici non facciano anch’essi riferimento concreto e vitale ai loro principi, mentre chiedono ai cattolici di liberarsene.

Ma c’è anche di più. Per far valere l’equazione di cui sopra – fine del partito cattolico è uguale a unità sui principi e divisione sulle scelte concrete - bisogna negare che nella politica si giochino valori assoluti. In questo caso, infatti, le scelte politiche potrebbero anche dissociarsi dai principi. Ma il magistero ha sempre detto che la politica si riferisce anche “a principi che sono dotati di valore assoluto” (Nota Ratzinger del 2002). Essa, in altre parole, non è l’ambito del relativo distinto dai principi, che sarebbero l’ambito dell’assoluto. Ci sono, quindi, scelte che compromettono i principi e se i cattolici le compissero “verrebbero meno la testimonianza della fede cristiana nel mondo e la unità e coerenza interiore dei fedeli stessi” (Idem). Abituati a dividersi sulle scelte politiche, anche in quelle che richiamano con evidenza i principi, i cattolici finiscono per trasferire questo relativismo anche sui principi stessi. Il cattolico che vota a favore di leggi incompatibili con la morale naturale e la fede cattolica, non ha solo fatto una scelta politica infedele rispetto ai principi, ma attesta implicitamente di aver già modificato nella sua mente e nel suo cuore i principi. 

Veniamo quindi all’altra equazione: fine del partito cattolico e presenza indifferente dei cattolici in tutti i partiti. La questione del partito cattolico è dipendente da valutazioni legate alle circostanze, è una questione di opportunità. Non c’è nessun documento della Chiesa che lo vieti. Che la Chiesa non sia un partito è evidente, ma lo era nemmeno quando esisteva il partito cattolico. Argomentare che non deve esistere un partito cattolico perché la Chiesa non è un partito è un sofisma. La domanda vera è: un cattolico può dare il proprio assenso ad un partito che nel proprio programma, nella propria cultura e nella propria storia presenti elementi contrari  alla morale naturale e al diritto divino? La risposta del magistero è sempre stata no. Il magistero – nemmeno quello conciliare - infatti non ha mai parlato di autonomia dei cattolici, ma di “legittima” autonomia dei cattolici in politica. Ora, dedurre dalla fine del partito cattolico che ora i cattolici possano militare ovunque è scorretto. 

Speriamo che il prossimo convegno ecclesiale di Firenze non si ponga su questa strada.