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DA CALAIS A LAMPEDUSA

E' caos immigrazione alle porte estreme d'Europa

A Calais è iniziato lo sgombero della "giungla", la grande area abusiva occupata da 7300 emigranti in attesa di imbarco per la Gran Bretagna. Attualmente arrivano soprattutto dal Corno d'Africa, passando attraverso la rotta dell'Italia. E nel Ferrarese...

4 CRITERI PER LE POLITICHE MIGRATORIE di Giampaolo Crepaldi*

Politica 25_10_2016
La "giungla" di Calais

Immigrazione: è di nuovo emergenza. Il punto critico è Calais, il punto di imbarco per le isole britanniche, ma anche le coste della Sicilia sono di nuovo teatro di uno sbarco di massa. A Calais è iniziato ieri lo sgombero della “giungla” come viene chiamata l’area in cui si sono addensati tutti gli emigranti in attesa di imbarcarsi per attraversare la Manica. Ma quello è solo uno dei punti di snodi finali della lunga rotta che parte da Africa e Medio Oriente. Nei punti di approdo, gli arrivi continuano ad addensarsi.

Su Calais si era concentrata l’attenzione europea all’indomani della Brexit. L’esito del referendum per l’uscita del Regno Unito dall’Ue era indubbiamente condizionato dall’arrivo massiccio di clandestini dall’Europa continentale e Calais per gli inglesi è come Lampedusa per gli italiani: la porta di accesso. Il campo profughi chiamato “giungla” è irregolare, anche se tollerato dalle autorità come male minore e assistito da numerose associazioni non profit che assistono emigranti e rifugiati. La sua è una lunga storia, iniziata nel 1999 all’indomani della guerra del Kosovo e proseguita in questi anni ’10 con l’arrivo di migliaia di clandestini che percorrono la rotta balcanica. Fino all’anno scorso la sua popolazione era costituita soprattutto da persone in fuga dall’Iraq: curdi e arabi erano le etnie dominanti, poi i curdi si sono mossi di recente in un campo analogo a Dunkerque. La popolazione che costituisce il grosso dei nuovi arrivi è attualmente formata da afgani ed emigranti dal Corno d’Africa, meno persone in fuga dalla guerra, più emigranti economici. Nel 2016 il numero di coloro che si sono fermati a Calais ha raggiunto il suo massimo storico, più di 7300 stando all’ultimo censimento dell’associazione Help Refugees. Se i mediorientali percorrono ancora la rotta balcanica, i nuovi arrivati dall’Africa orientale giungono attraverso l’Italia. Quindi Lampedusa e Calais sono due facce dello stesso fenomeno.

La decisione di sgomberare la “giungla” è giunta dopo la costruzione del primo “muro”, una barriera protettiva lungo l’ultimo tratto di autostrada, finanziata soprattutto dalla Gran Bretagna, per evitare l’assalto ai tir da parte degli emigranti e dei trafficanti di uomini. I camionisti erano al centro della protesta, perché la loro vita era sempre più spesso in pericolo. La popolazione locale lamentava, negli ultimi mesi, un’impennata di casi di aggressione sessuale, furti e vandalismi. Alla fine la risposta politica è arrivata. Ma la reazione è stata ideologica e militante. Il giorno che ha preceduto lo sgombero è stato caratterizzato da duri scontri fra la polizia e i No-borders, ultima metamorfosi del movimento No-global che protesta contro ogni restrizione alla piena libertà di movimento. Le autorità francesi hanno inviato 2mila poliziotti per tener testa a circa 200 militanti provenienti da tutta Europa, arrestare i passatori e gestire lo sgombero nel modo più ordinato possibile.

Nonostante tutte le difficoltà e gli scontri con i No-borders, Parigi annuncia che la prima fase dell’operazione è stata compiuta con successo. Più di 1900 adulti sono stati evacuati dal campo e a 200 minorenni è stato concesso il trasferimento in Gran Bretagna (in forza dell’emendamento Dubs). I ricongiungimenti familiari in territorio britannico sono, finora, appena una cinquantina, una goccia nel mare. Per tutti gli altri, assicura Parigi, sono già pronti 7500 posti letto in 450 campi di accoglienza distribuiti in tutto il paese. Sempre che non si volatilizzino tutti durante il percorso o subito dopo il loro nuovo alloggiamento, dovranno essere identificati, ispezionati e a coloro che rispondono alle caratteristiche giuste potrà essere concesso il diritto di asilo. Gli altri saranno espulsi.  Verso dove? A parte l’Afghanistan che potrebbe riaccogliere i suoi emigranti in cambio dei prossimi aiuti europei (ma l’accordo non c’è ancora), è difficile pensare che somali, eritrei in fuga dalla leva di massa ed emigranti africani privi di documenti possano fare ritorno ai loro paesi di origine. Saranno però rimandati in Italia, secondo le regole del Trattato di Dublino: è l’Italia il primo paese di approdo. Ma quanti di questi sono stati regolarmente registrati e identificati nel nostro paese?

E qui, appunto, si deve tornare “a monte”: al punto di approdo. Nella sola giornata di ieri sono sbarcati nei porti della Sicilia circa 4300 persone. Per oggi sono previsti più di 1100 nuovi arrivi. Nell’ultima settimana, gli immigrati arrivati sono stati 6500. Si registra un aumento del 10% rispetto allo stesso periodo del 2015, finora considerato l’anno record dell’emigrazione del Mediterraneo. E ce lo dovevamo aspettare: una volta che l’Ungheria ha chiuso la rotta balcanica, l’unica che resta è quella del Mediterraneo centrale, la via che passa dal nostro paese. Come abbiamo visto prima, siamo soprattutto noi all’origine del problema di Calais. Ma il governo sta gestendo l’emergenza? Sempre che di “emergenza” si possa parlare, dopo due anni ininterrotti di intenso flusso? Il premier Matteo Renzi ha vincolato i fondi destinati all’immigrazione alla sua manovra finanziaria. In pratica ha chiesto all’Ue una maggior flessibilità sulla spesa pubblica e il deficit giustificandola con gli stanziamenti straordinari per l’immigrazione e per il terremoto di Lazio e Umbria dello scorso agosto. Il risultato è finora negativo. La Commissione ha bocciato la manovra finanziaria, soprattutto per eccesso di deficit. E così rivela la debolezza dell’argomento renziano: la spesa straordinaria per l’accoglienza agli immigrati (e per i terremotati) è stata vista solo come una foglia di fico di una manovra tutta sbilanciata su spesa a debito.

Si è persa, insomma, un’altra occasione. Perché l’Ue avrebbe tutto l’interesse a intervenire in Italia per la gestione degli immigrati in arrivo e Roma ha tutto l’interessa a ospitare sul suolo italiano una missione europea per la temporanea accoglienza, la registrazione e lo smistamento (o il rimpatrio, se non sono regolari) della massa umana in arrivo dall’Africa.

Aggiornamento: un gruppo di 12 donne immigrate da paesi dell'Africa occidentale, avrebbe dovuto essere ospitato in un ostello di Gorino, un piccolo piccolo paese in provincia di Ferrara. Il bus che le trasportava è stato fermato da una manifestazione di cittadini locali e provenienti da altri paesi vicini, con barricate e sbarramenti di fortuna. I manifestanti protestavano contro la requisizione dello stabile destinato agli immigrati, l'ostello Amore Natura, requisito dal prefetto come misura emergenziale e senza consultarsi con i rappresentanti della comunità. Le donne sono state trasferite in altro luogo, la tensione resta alta. Questo episodio, anche se di portata limitata, è una spia del crescente malumore anche in Italia, causato dall'assenza di una politica chiara e da una retorica dell'accoglienza che inizia ad essere vissuta come un sopruso.

Aggiornamento delle ore 12: la replica del prefetto Michele Tortora: «Mi sembra francamente ingeneroso (affermare che non sono state coinvolte le comunità locali, come fanno i manifestanti, ndr): sono due anni e mezzo che facciamo riunioni con i sindaci e gli amministratori della provincia, che lancio appelli perché diano una mano a gestire l’emergenza: soprattutto ai sindaci dei comuni che, come Goro e Gorino non ospitano alcun migrante». Il capogruppo della Lega Nord di Ferrara, Alan Fabbri: «I cittadini di Gorino sono per noi i nuovi eroi della Resistenza contro la dittatura dell’accoglienza. Abbiamo sostenuto, e continueremo a farlo, in ogni sede e in ogni modo, la loro protesta».