Duns Scoto, il teologo dell’Amore (ordinato) di Dio
Noto con l’appellativo di Doctor Subtilis, Giovanni Duns Scoto ha dato un contributo fondamentale al riconoscimento dell’Immacolata Concezione. Ma nella sua opera teologica ha affrontato molteplici altri temi, mostrando che il fine dell’uomo è innalzarsi alla contemplazione di Dio.
Giovanni Duns Scoto, il «Cantore del Verbo Incarnato e difensore dell'Immacolato Concepimento di Maria», così lo definirà san Giovanni Paolo II il 20 marzo 1993 durante la sua beatificazione; così è ricordato il più delle volte il frate francescano del quale oggi ricorre la memoria. Fondamentale per la storia della teologia, rimarrà - infatti - il suo insegnamento riguardo alla Vergine Maria: «Cristo esercitò il più perfetto grado possibile di mediazione relativamente a una persona per la quale era mediatore. Ora per nessuna persona esercitò un grado più eccellente che per Maria. Ma ciò non sarebbe avvenuto se non avesse meritato di preservarla dal peccato originale», spiega Scoto. Ma l’importanza della sua opera è ancora più vasta.
Conosciuto da tutti con l'epiteto di Doctor Subtilis, Scoto rappresenta una delle figure più affascinanti della teologia medioevale: lo scrittore e religioso Bartolomeo da Pisa (1338 circa - 1401) lo ricorda tra i Frati Minori «che si distinsero per scienza» e che «scrissero di Sacra Teologia, spiegandola e commentandola». Poliedrico e fine scrittore, teologo e studioso: molteplici sono i temi da lui trattati e molteplici le opere che la storia della filosofia ha descritto come immortali. È doveroso comunque ricordare un importante dato riguardo a queste opere: alcune di esse, ritenute in un primo momento attribuibili a Scoto, in realtà sarebbero da considerarsi spurie. Per altre ancora, pur scritte di suo pugno, è difficile risalire alla loro esatta datazione. L’opera omnia di Duns Scoto non è stata ancora completamente pubblicata; disponiamo, infatti, di due edizioni, appunto incomplete: la prima è quella dello storico francescano Luca Wadding, stampata a Lione nel 1639 (dodici volumi) e ristampata a Parigi tra il 1891 e il 1895 (ventisei volumi); la seconda, opera della Commissione Scotista (che ha sede nella Pontificia Università Antonianum di Roma), è ancora incompleta. Per questi motivi, possiamo ritenere Scoto un autore ancora da scoprire nella sua interezza.
Le opere di Scoto, per la grande maggioranza, originano dal decennale insegnamento in filosofia e teologia. Fra le più importanti ricordiamo: la Lectura, testimonianza dei suoi primi corsi - tenuti all’università di Oxford come baccelliere - sulle Sentenze di Pietro Lombardo; l’Ordinatio, che di questi stessi corsi fornisce una versione rivista e approfondita dall'autore; i Reportata Parisiensia, frutto dei resoconti forniti dagli studenti durante la sua docenza a Parigi; le Quaestiones quodlibetales; il De primo principio, un trattato sulla natura e l'esistenza di Dio; e i Theoremata. Questi sono solo alcuni titoli di una produzione - come si è ricordato prima - assai più ampia.
Il substrato delle sue opere è da trovarsi in una spiritualità che trae origine dall’attenta lettura e meditazione delle Sacre Scritture: è nelle pagine della Parola che si rivela Dio. È interessante sottolineare il rapporto che lo studioso ha con la filosofia, della quale sottolinea il limite per la comprensione del mondo e dell’infinito, della stessa natura dell’uomo; per il pensatore francescano, la filosofia - come scrive José Antonio Merino nella sua Storia della filosofia francescana (Edizioni Biblioteca Francescana, 1993) - «è prova dei principi e coerenza delle conclusioni», mentre la teologia «è adesione al mistero e spiegazione della verità rivelata». In questo modo, Duns Scoto evidenzia la netta separazione degli ambiti di pertinenza della filosofia da quelli della teologia: in estrema sintesi, teologia e filosofia si pongono su due piani autonomi e discontinui, e pervengono a risultati differenti, ognuna con il proprio linguaggio e con il proprio metodo. Ma questa divisione che potrebbe dare di Scoto un’immagine di studioso freddo o distaccato, trova invece una strada teologica che riscalda il cuore; quando ci si addentra nelle “cose di Dio”, fondamentale rimane il concentrarsi soprattutto sull’Amore. Scrive Scoto: «La crescita nell’amore gratuitamente ricevuto, e liberamente donato, rende pienamente umani». In quel suo sottolineare il «pienamente umani» e il dono dell’amore gratuito, troviamo tutto lo Scoto ardentemente innamorato, infuocato dell’amore e dall’amore di Dio; quello stesso amore che non può essere, certo, un prodotto dell’intelletto; per Scoto, inoltre, proprio l’amore rimarrà l’espressione massima di quelle che sono le capacità dell’uomo.
Il frate francescano, nel Tractatus de primo Principio, afferma che «il primo principio degli esseri» è racchiuso in tre verbi: credere, gustare ed esprimere. Tre verbi che Scoto farà sfociare in un unico grande verbo: innalzare. Dobbiamo «innalzare le nostre menti alla contemplazione» di Dio, come scrive nel suo trattato. Il climax dei verbi è assai interessante perché riesce involontariamente a offrire un’ottima sintesi di tutto ciò che è stato il percorso del suo pensiero teologico, sviluppato nelle molteplici opere da lui redatte, che hanno segnato il sapere medievale; opere che sarebbe bene riscoprire sempre più perché, anche se così lontane nel tempo, conservano un’attualità sconvolgente. Credere, gustare ed esprimere, un tragitto della mente e del cuore che Scoto “esprime” appunto al fedele; è l’affascinante viaggio dell’uomo nella stessa propria fede. E per poterla vivere pienamente, ci insegna Scoto, è necessario imparare ad amare, che vuol dire uscire fuori da sé stessi, dal proprio intelletto.
Dio - ricorda Scoto - è ordinatore e creatore, e noi siamo chiamati a seguire quell’ordine che nella contingenza del nostro vivere si tramuta nell’essere in relazione con Lui. Solamente facendo ciò è dunque possibile entrare nel Suo ordine, che è Amore.