Duello Musk-Trump, delirio social e scenari da democratura
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Rissa sui social di Musk e Trump, si insultano come adolescenti anche se sono gli uomini più potenti del mondo. Finché il duello resta sui social, è solo cattivo gusto. Ma se dessero seguito alle minacce sarebbe un problema grave per gli Usa.

Non è più una sorpresa ormai, la lite stava maturando da giorni. Ma quando Elon Musk, l’uomo più ricco del pianeta, ha iniziato ad attaccare sul suo account X Donald Trump, l’uomo più potente del pianeta, il mondo dei media è rimasto sbalordito. Si tratta di una situazione assolutamente senza precedenti nella storia americana recente. E la violenza verbale dell’attacco di Musk, con post sul social network di sua proprietà al ritmo di uno ogni 5-10 minuti, rivelano la collera di un personaggio mai noto per la sua stabilità. Fredde, ma cariche di minacce esplicite, anche le risposte del presidente Donald Trump, anche queste affidate al social network di sua proprietà, Truth.
Come già avevamo scritto su queste colonne, la prima crepa visibile fra Musk e Trump si è vista quando l’imprenditore ha attaccato il presidente sulla sua legge finanziaria (o legge di bilancio), in una intervista televisiva. Poco dopo il conflitto pareva sanato, grazie alla solenne cerimonia alla Casa Bianca con cui Musk ha preso commiato dopo i mesi passati come direttore del Doge, la commissione da lui voluta e fondata per tagliare la spesa pubblica. Ma proprio il fatto di essersi liberato del suo incarico istituzionale, ha spinto Musk ad essere sempre più franco, violento ed esplicito sulla legge di bilancio di Trump: «Scusate, ma non posso più trattenermi: questa legge è un abominio». Così condannava una manovra finanziaria che prevedeva un aumento del debito pubblico, di quattro volte rispetto ai tagli che lui aveva impostato al Doge, con un deficit previsto per il 2026 che già superava di tre volte i 174 miliardi già tagliati (con grandi sacrifici, anche di posti di lavoro) dalla commissione di Musk. La legge di bilancio è solo l’ultima goccia di uno scontro che sta rapidamente maturando. Fra l’imprenditore e il presidente non c’è accordo sull’immigrazione, sulla Cina, sulle tariffe, sulle nomine alla Nasa e anche sulla cancellazione dei benefit per le auto elettriche.
Ma l’attacco dell’imprenditore più potente d’America al suo presidente non si è fermato alla politica. Come al solito: quando Musk addenta qualcuno (che sia Keir Starmer, il governo tedesco, Sam Altman, Lula o Volodymyr Zelensky) poi non molla più la presa. E così, di fronte a tutto il mondo che è iscritto a X, cioè centinaia di milioni di utenti, ha iniziato a insultare i repubblicani che hanno votato la legge di bilancio, poi a proporre la nascita di un terzo partito. Infine Musk ha deciso di “sganciare la bomba”: ha scritto che Trump è “nelle carte del caso Epstein” ed è “il motivo per cui non sono state rese pubbliche”. In questo caso, Musk ha riacceso l’attenzione dei media sul caso del traffico di prostituzione, anche minorile, gestito dal miliardario Jeffrey Epstein (poi suicidatosi in circostanze ancora sospette in carcere). Tuttavia i legali di Epstein hanno negato di aver trovato nuove prove che coinvolgerebbero Trump nel traffico di prostituzione. Quel che si sa, da quando era scoppiato il caso nel 2019 era che il numero del presidente Trump, allora al suo primo mandato, fosse nell’agenda del miliardario, non che fosse coinvolto nel traffico di prostituzione. Musk ha però ottenuto il suo scopo: sollevare un nuovo polverone mediatico contro il presidente, ex amico e ormai acerrimo nemico.
Trump ha incominciato a rispondere, prima minimizzando, poi con minacce sempre più esplicite, fra cui quella di cancellare le commesse di SpaceX. Musk ha contro-replicato minacciando di smantellare il programma Falcon, che tuttora porta in orbita gli astronauti della Nasa e i rifornimenti alla Stazione Spaziale Internazionale.
Finché la lite rimarrà confinata ai social network, sarà solo una questione di pessimo gusto, un fenomeno ormai diffuso di malcostume politico nei tempi dei social network. Due uomini così importanti che si insultano pubblicamente, potenzialmente letti in tutto il mondo, sono uno spettacolo desolante e costituiscono l’ulteriore dimostrazione di quanto i social incentivino l’instabilità e la collera. Scrivere su un social contro qualcuno che è fisicamente lontano, è a metà strada fra il cervello e la bocca: manca quella mediazione, data dal contatto fisico con l’interlocutore, che spinge a pensarci bene, prima di aprire la bocca. Nel social, si butta giù, per iscritto, direttamente quel che si pensa e si prova. Uomini come Musk e Trump, con centinaia di milioni di utenti che li seguono e li applaudono, invece che sentirsi più responsabili, dimenticano le loro cariche pubbliche e trovano addirittura un ulteriore incentivo per sfondare ogni regola del buon costume, dell’educazione e del rispetto per l’interlocutore. Da un punto di vista dell’audience ed elettorale, questo modo di porsi, finora, ha pagato.
Proprio in una società così polarizzata, divisa in “curve” di tifoserie contrapposte, difficilmente la “bomba” sganciata da Musk avrà l’esito che spera. Spingerà semmai i fan di Trump a stringersi ancora maggiormente attorno al loro campione, come sempre avviene nelle risse da social. Non siamo più negli anni 90 (quando una menzogna su un rapporto sessuale quasi portò alle dimissioni di Clinton) e oggi il pubblico e gli elettori sono disposti a sopportare o a giustificare sia la menzogna pronunciata in pubblico che le trasgressioni morali: Trump ha una condanna di primo grado per uno scandalo sessuale e ha comunque guadagnato voti, vincendo le elezioni.
La rissa via social di Musk e Trump rischia di diventare una questione molto più seria, se l’uno o l’altro dovessero mettere in pratica le loro minacce, cosa che non è ancora successa quando questo articolo va online. Insomma, se Musk dovesse boicottare il programma spaziale Usa e se Trump dovesse deliberatamente danneggiare le aziende private di Musk (come sta già facendo con Harvard e altre istituzioni private, quali gli studi legali che assistono i suoi avversari politici), gli Usa nel loro insieme pagherebbero un prezzo molto caro. È concreto rischio che Musk diventi una mina vagante e faccia perdere agli Usa il primato nello spazio: per sabotare un’amministrazione ormai ostile sarebbe in grado di colpire il paese. Il rischio di una rappresaglia di Trump sarebbe ancora peggiore: il presidente degli Usa, se ascoltasse i suggerimenti del suo stratega Steve Bannon (ora tornato in auge), potrebbe avviare un’indagine ad hoc su Elon Musk, fino a revocarne la cittadinanza per sospetti sulla sua pratica di immigrazione, un dossier che risale al 2002. E, sempre secondo Bannon, potrebbe nazionalizzare SpaceX, se Musk agisse contro gli interessi nazionali. Ma un’America che fa leggi contra-personam, un governo che avvia indagini ad hoc contro i suoi avversari (Biden lo ha già fatto, per altro) e che nazionalizza le imprese del suo avversario, non sarebbe più la terra della libertà che conosciamo. La lotta fra l’imprenditore-oligarca e un presidente sempre più autoritario è uno scenario da democratura post-sovietica, non degno della prima potenza economica del mondo.