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FAMILY DAY

Due o tre cose da fare dopo il Circo Massimo

Dopo la grande manifestazione del 30 gennaio a Roma, non possiamo abbassare la guardia di fronte a un potere politico, che va avanti imperterrito per la propria strada. Poi, occorre incentivare un impegno culturale per approfondire le ragioni per le quali il popolo delle famiglie deve essere presente nella nostra società. Gli slogan non bastano. 

Editoriali 03_02_2016
Il palco del Family Day

Caro direttore,

sono molto d’accordo, come spesso mi capita, con l’amico Robi Ronza, quando scrive che a Roma il 30 gennaio si è visto un grande popolo, ilare, intelligente, molto aperto. Un popolo vero e, quindi, molto variegato. Già in treno ho visto gruppi e gruppetti che recitavano il rosario, in metropolitana tanti laici, sacerdoti, giovani che esprimevano gioia e convinzione, al Circo Massimo mamme che spingevano carrozzine con i propri piccoli, anziani, famiglie intere che stendevano tovaglie per un veloce pic-nic prima dell’inizio della manifestazione vera e propria, persone “distinte” con in mano mazzette di giornali “impegnati”, gente che si abbracciava con grande cordialità, tanti bambini, tanti nonni. 

Io personalmente non ho visto i politici, perché sono rimasto tra il popolo vero. Al ritorno, il taxista, quando ha saputo che al Circo Massimo c’era stata tanta gente, ha urlato di gioia. Insomma, si è visto un poderoso popolo, che, fino a un anno fa, nessuno avrebbe anche solo lontanamente saputo ipotizzare o prevedere. Un popolo, che non può non interpellare sia il potere politico sia la Chiesa intera, la quale non può non gioire per il fatto che i suoi fedeli laici si sono finalmente svegliati da un lungo sonno (a volte indotto dalle stesse gerarchie). Tutto a posto allora? No, siamo solo all’inizio di un cammino su cui dobbiamo interrogarci tutti e tutti impegnarci. Segnalo, a caldo, alcuni punti di questo impegno.

Innanzitutto, proprio in nome di questo popolo, non possiamo abbassare la guardia di fronte a un potere politico, che ipocritamente dice di ascoltare tutti, ma che in realtà va avanti imperterrito per la propria strada (sempre più misterioso il motivo di questa testardaggine di Renzi su questa questione. C’entra Obama?). Contemporaneamente, penso che dobbiamo incentivare un impegno culturale, che sappia approfondire le ragioni per le quali il popolo delle famiglie deve essere presente nella nostra società. Da questo punto di vista, vorrei dire ai bravissimi e generosi amici del Comitato, che ha convocato il popolo, che non basta più ripetere o gridare slogan che ormai quel popolo conosce a memoria. Occorre esprimere le ragioni di una presenza entro il quadro complesso della modernità, che gira intorno ai temi del nichilismo e del relativismo. 

Senza spiegare più approfonditamente questo, a lungo andare le ragioni di un impegno si spegnerebbero. Si tratta di un lavoro che già viene in parte fatto: ora, di fronte a quel popolo, abbiamo tutti il dovere morale di svilupparlo e declinarlo nella sua sostanza e nelle sue radici, che affondano nella natura, nella storia e nel sacro disegno della Creazione. Insieme all’opera culturale, dobbiamo continuare l’impegno educativo e divulgativo già in atto. Il popolo convenuto a Roma non è apparso magicamente, come un fungo. É il frutto di una intensissima azione di informazione che tante persone intelligenti e generose hanno messo in atto in questi ultimi anni.

Il mondo cattolico, poi, deve chiedersi la ragione per la quale alla testa della volontà di far passare in fretta l’incostituzionale ddl Cirinnà vi siano tre cattolici: il premier, la ministra delle Riforme ed il vicesegretario del Pd (ex democristiano), a cui è dovuta l’infelice frase «rispettiamo il popolo, ma andiamo avanti» (sarebbe stato più sincero se avesse detto «me ne frego del popolo»). Questa situazione denuncia la grave carenza della cultura cattolica, sempre più succube del pensiero unico di questo mondo. E, per amore di doverosa verità, non possiamo non rilevare come alcune organizzazioni cattoliche facilitino questa sudditanza. Sarebbe ora che la Chiesa italiana si ponesse il problema.