Due canzoni per Pascal, l'avventura di un filosofo
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Quattro secoli fa, il 19 giugno 1623, nasceva Blaise Pascal, matematico, inventore, teologo. È il filosofo autore della "scommessa" su Dio. Dai testi di due dei suoi "Pensieri" sono strate tratte canzoni composte da Hanns Eisler nel 1942 e hanno per tema il divertimento.
Quattro secoli fa, il 19 giugno 1623, nasceva Blaise Pascal († 1662) a Clermont-Ferrand, città nella Francia centro-meridionale, un uomo che, secondo sua sorella Gilberte, «ha sempre avuto un’ammirabile chiarezza di mente per discernere il vero dal falso» (G. PÉRIER, La vie de Monsieur Pascal, Amsterdam 1684, p. 5).
Di questo matematico, inventore, teologo, attento esploratore dell’animo umano, detrattore dei vizi del razionalismo borioso, del filosofo della «scommessa» su Dio, sul quale vale la pena fondare la vita, del pensatore che rivaluta le «ragioni» del cuore, dice bene Gilberte: suo fratello, in quella sorta di dialettica tra ricerca scientifica e avventura cristiana che caratterizza i suoi 39 anni di vita, si è sempre battuto per la verità. Circa il primo campo richiamiamo, per sommi capi, il suo precocissimo interesse per Galileo Galilei († 1642) e per Cartesio († 1650); l’invenzione della pascaline, una macchina calcolatrice; lo sviluppo delle ipotesi di Evangelista Torricelli († 1647) sullo spazio vuoto e il culto delle scienze. Quanto all’avventura religiosa di Pascal, che favorisce i suoi scritti più maturi (tra cui i celebri Pensieri), tre sono i momenti decisivi: la «scommessa» sull’esistenza di Dio, la «notte di fuoco» e la sua morte.
Quando il grande pensatore ha trentun anni «il motivo religioso lavora in lui. Egli diventa inquieto. La realtà che vede, i valori che conosce e i compiti impostigli dal mondo noto vengono messi in dubbio. Sente che c’è qualcosa di più alto. Si sente attratto verso il divino. Ma questo non è chiaro, non è sufficientemente reale per affermarsi in confronto con l’altra realtà, in uno spirito così esigente in fatto di realtà. Ha inizio un periodo di dura lotta; un periodo penoso perché ciò che urge per affermarsi è ancora oscuro e impreciso. […] La crisi raggiunge il punto culminante e si risolve nell’avvenimento della sera del 23 novembre del 1654, nella quale Iddio s’innalza, per Pascal, a Realtà delle realtà, per il fatto che a lui si fa chiaro chi sia il Dio vivo, distinto dall’uomo e dalla natura. È l’avvenimento che trova la sua espressione nel Memoriale» (R. GUARDINI, Pascal, Morcelliana, Brescia 1956, pp. 29-30).
E quando arriva finalmente all’incontro con Cristo, Pascal commenta nei suoi pensieri: «Non soltanto noi conosciamo Dio unicamente per mezzo di Gesù Cristo, ma conosciamo noi stessi unicamente per mezzo di Gesù Cristo. Noi non conosciamo la vita, la morte, se non per mezzo di Gesù Cristo. Fuori di Gesù Cristo non sappiamo che cosa sia la nostra vita o la nostra morte, Dio e noi stessi. Per questo, senza la Scrittura che ha per oggetto solo Gesù Cristo, non conosciamo niente e non vediamo che oscurità e confusione nella natura di Dio e nella nostra natura» (B. Pascal, I Pensieri, n. 148, Ed. Paoline, Milano 1960, p. 401).
Ma lasciamo ad altri queste belle discussioni, e limitiamoci alla musica. Sì, perché il testo inglese di due Pensées, l’incompiuto capolavoro filosofico di Pascal, è divenuto 2 Lieder nach Worten von Pascal (2 canzoni sulle parole di Pascal): Despite these miseries, man wishes to be happy e The only thing which consoles us. I due pezzi furono scritti da Hanns Eisler († 1962), che fu uno dei primi allievi del compositore austriaco Arnold Schoenberg († 1951) e amico di sempre del drammaturgo tedesco Bertolt Brecht († 1956), tra il 12 e il 14 settembre 1942 mentre viveva in esilio a Santa Monica vicino Hollywood in California.
Dice la traduzione italiana: «Nonostante queste miserie l’uomo vuole essere felice e non vuole che essere felice e non può non volerlo; ma come potrà riuscirvi? Bisognerebbe per riuscire che egli si rendesse immortale; ma non potendolo, ha deciso di astenersi dal pensarci» (B. Pascal, Pensieri, Opuscoli e Lettere, Milano 1978, n. 214, p. 482). E ancora: «L’unico sollievo delle nostre miserie è il divertimento, e tuttavia è la nostra più grande miseria. Infatti, è soprattutto il divertimento che ci impedisce di pensare a noi stessi e ci porta insensibilmente alla perdizione. Senza di esso saremmo immersi nella noia, e questa ci spingerebbe a cercare un mezzo più consistente per uscirne. Ma il divertimento ci diletta e ci fa giungere insensibilmente alla morte» (ibidem, n. 217).
Sono due frammenti che hanno per oggetto il divertimento, che Pascal, seguendo l’etimologia del termine, considera un modo per l’uomo di distogliere lo sguardo da quello che non si vuole guardare. Ne parlò anche Papa Paolo VI († 1978) quando, esortando gli ascoltatori a fare buone e ristoratrici vacanze estive, li scoraggiava da quello che Pascal chiamerebbe «divertissement, non nel senso di divertimento sano e riposante, ma nel senso di diversione, di dispersione dai valori reali della vita e dai centri vitali della coscienza» (PAOLO VI, Angelus, 26 luglio 1970).
L’avventura di Pascal ancora oggi ci appassiona, forse perché ci fa scoprire qualcosa di noi stessi. Lo scrittore francese François Mauriac († 1970) non ha dubbi al riguardo, quando, alla fine del suo ritratto del pensatore francese, ce lo presenta come «il fratello di tutti i peccatori, di tutti i convertiti, di tutti i feriti pieni di terrore, le ferite dei quali possono ad ogni momento riaprirsi: che l’amore ha cercati molto lontano e che soltanto a tale amore si affidano» (F. MAURIAC, Blaise Pascal e la sorella Jacqueline, Milano 1949, p. 177).