Due anni di Isis: una rassegna di orrori
L'Onu ha pubblicato il suo rapporto su due anni di crimini dell'Isis in Iraq. Stima che le vittime civili siano quasi 19mila e i profughi interni 3 milioni e mezzo. Con questa rassegna di orrori, di esecuzioni condotte nei modi più crudeli, abbiamo solo una piccola idea di ciò che vuol dire vivere sotto le bandiere nere del Califfato.
Due anni di offensiva dell’Isis in Iraq e i risultati sono devastanti: 18.802 civili uccisi, 36.245 feriti, 3 milioni e mezzo di profughi interni, fra cui almeno 1 milione di minorenni in età scolare. Sono i dati diffusi dall’ultimo rapporto dell’Onu sul conflitto in Iraq, riguardanti il periodo che va dal 1 gennaio 2014 al 31 ottobre scorso. E sono, a detta degli stessi autori, approssimati per difetto.
Il rapporto è stato pubblicato ieri dall’Unami, la Missione di Assistenza per l’Iraq dell’Onu e dall’Ohchr, l’Alto Commissariato per i Diritti Umani. Si tratta di un documento redatto sulla base di interviste fatte a sopravvissuti, alle vittime di abusi e torture, fuggitivi, profughi e testimoni oculari. Nelle aree liberate dell’Iraq, dove prima c’erano le milizie del Califfato, ora si scoprono le fosse comuni e si tenta di ricostruire le città distrutte e le comunità spezzate. I numeri sono freddi e non rendono l’idea di quel che sta avvenendo all’ombra delle bandiere nere dell’Isis. Il rapporto consiste in una lunga rassegna di orrori, esecuzioni in pubblico effettuate con i metodi più crudeli immaginabili. Solo per citare alcuni degli esempi più eclatanti, il 4 giugno, due giovani uomini e un anziano di 60 anni, accusati di omosessualità, sono stati gettati dall’ultimo piano di un palazzo di Ninive. Il 10 luglio, i miliziani dell’Isis hanno costretto i loro prigionieri a stendersi a terra in una piazza del centro di Mosul, di fronte a una folla di spettatori, per poi travolgerli con un bulldozer. Fra l’1 e il 2 agosto, sempre a Mosul, 19 donne sono state assassinate per aver rifiutato di avere rapporti sessuali con i miliziani. Il 21 giugno precedente, nella stessa città irachena, le schiave sessuali erano state offerte come premio ai primi tre vincitori di un concorso di recitazione del Corano. Le esecuzioni sono pubbliche e spesso vengono filmate in alta definizione, per essere diffuse su Internet. Così è stato per l’uccisione di molti prigionieri: uno legato in un’auto e poi ucciso con un razzo anticarro, altri chiusi in una gabbia e immersi in una piscina (mentre le telecamere dei boia riprendevano la loro agonia anche sott’acqua), altri decapitati con collari esplosivi. La macabra fantasia degli aguzzini sembra non avere limiti e i video fanno il giro del pianeta per diffondere il terrore in chiunque intenda combattere il Califfato. Non sono risparmiati neanche i religiosi sunniti, come dimostra l’uccisione di quattro imam di Mosul, accusati di eresia e liquidati con un colpo alla nuca fra il 12 e il 15 luglio.
Sono molti anche i bambini soldato: rapiti, indottrinati e addestrati dalle milizie jihadiste. Il rapporto ne conta dagli 800 ai 900 nella sola area di Mosul. Quei bambini che non ce la fanno più e provano a fuggire dalla loro condizione di schiavi costretti a combattere, sono immediatamente uccisi, come emerge dai rapporti sui combattimenti nella provincia di Anbar. Altre 3500 persone, donne e bambini di minoranze religiose, soprattutto cristiani e yazidi, sono stati ridotti in schiavitù. Basta poco per finire nel mirino della nuova polizia religiosa istituita dal Califfato: un uomo che fuma una sigaretta fuori dalla porta di casa o semplicemente indossa un paio di jeans, una donna che esce di casa non accompagnata, o scopre parte della sua pelle, sono tutti passibili di punizioni corporali. Chi non porta la barba subisce due mesi di reclusione: non esce dal carcere finché la barba non è cresciuta.
“Durante il periodo censito (2014-2015, ndr), l’Isis ha ucciso o catturato numerosi civili, spesso in modo mirato – recita il rapporto – Le vittime includono coloro che sono accusati di essere oppositori dell’ideologia e del potere dell’Isis, perché legati al governo iracheno, come membri delle ex forze di sicurezza, della polizia, funzionari e impiegati degli uffici elettorali, professionisti quali medici e avvocati, giornalisti, leader tribali e religiosi. Altri sono stati rapiti o uccisi con l’accusa di aver fornito informazioni alle forze di sicurezza governative. Molti hanno subito processi nei tribunali costituiti dall’Isis che, oltre ad aver sentenziato la morte di innumerevoli persone, hanno imposto anche dure punizioni quali lapidazioni e amputazioni di arti”.
L’Alto Commissario dei Diritti Umani, Zeid Raad al Hussein, avverte che il numero delle vittime può essere molto più alto. Si sa quel che viene riferito dai sopravvissuti, da coloro che sono riusciti a fuggire dall’area sotto il controllo del Califfato, o che sono stati liberati dalle forze regolari irachene. Ma è ancora in gran parte sconosciuta la sorte di chi abita in un territorio che ormai è grande quanto l’Italia. “Anche le cifre tremende sul numero delle vittime – dice al Hussein – non possono descrivere esattamente le condizioni di estrema sofferenza della gente in Iraq. Queste stime raccontano solo di coloro che sono stati uccisi o mutilati con atti di violenza in pubblico, ma tantissimi altri sono morti anche per mancanza di cibo, acqua o assistenza medica di base”. L’inviato dell’Onu in Iraq, Ján Kubiš, dichiara che: “nonostante le gravi perdite inflitte dalle forze governative, l’Isis continua a uccidere, ferire e scacciare civili iracheni, a migliaia, causando loro indicibili sofferenze. Io rinnovo con vigore il mio appello a tutte le parti del conflitto, per assicurare la dovuta protezione dei civili dalla violenza. Chiedo anche alla comunità internazionale di rafforzare il sostegno al governo dell’Iraq e ai suoi sforzi per la stabilizzazione e la ricostruzione nelle aree liberate, così che tutti gli iracheni fuggiti dalle violenze possano tornare a casa loro, per vivere in sicurezza e dignità, perché le comunità colpite possano reinsediarsi nei loro luoghi d’origine”.
Gli orrori dell’Isis danno l’idea del tipo di regime che il Califfato sta imponendo, proprio quel regime che attira migliaia di jihadisti da tutto il mondo (Italia inclusa) e ispira atti di terrorismo in Europa, Asia e Africa. E’ solo un frammento di una realtà terribile, che si stenta a comprendere e che nessuno, finora, ha affrontato con la dovuta fermezza.