Droni dalla Sicilia, ma nessun intervento in vista
Le incursioni aeree americane hanno eliminato una quarantina di jihadisti, fra cui la mente degli attentati del museo Bardo di Tunisi e della spiaggia di Susa. Ma è "ordinaria amministrazione" della lotta al terrorismo. Ma non c'è alcun intervento più vasto sul tavolo, tantomeno italiano.
Il raid aereo statunitense di venerdì scorso contro la base libica dell’Isis di Sabratha, in cui sono stati uccisi una quarantina di jihadisti e Noureddine Chouchane (la “mente” degli attentati effettuati l’anno scorso a Tunisi e Susa), non sembra indicare la volontà di Washington di accelerare i tempi per un intervento bellico su vasta scala contro lo Stato Islamico in Libia. L’incursione dei jet F-15E decollati dall’Inghilterra rappresenta piuttosto l’ennesima conferma della dottrina che l’amministrazione Obama ha ereditato, potenziandola, da George W. Bush e basata sull’eliminazione con aerei, droni e forze speciali di leader e figure di spicco del terrorismo jihadista.
Una strategia già palesatasi negli ultimi anni con azioni dello stesso tipo in Yemen, Somalia, Malì, Pakistan, Iraq, Afghanistan e, in quattro occasioni nella stessa Libia dove nel 2013 gli incursori della Delta Force catturarono in pieno giorno a Tripoli Abu Anas al-Libi, 49 anni, la mente degli attentati del 1998 alle ambasciate americane in Kenya e Tanzania. Che non vi siano sviluppi rilevanti circa un’azione internazionale in Libia lo ha confermato ieri anche il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, precisando che l'uso della base di Sigonella autorizzato dal governo italiano per l'invio di droni americani in Libia (ma solo per operazioni difensive) "non è il preludio all'intervento militare".
Roma deciderà volta per volta se autorizzare o meno il decollo da Sigonella di droni USA armati, ma in ogni caso si tratterà di raid limitati non di una campagna militare organica contro lo Stato Islamico. Una scelta coerente con la decisione italiana di non farsi trascinare in operazioni di combattimento contro il Califfato, come vorrebbero invece gli Stati Uniti, anche se è paradossale che il governo Renzi non abbia autorizzato l’impiego dei droni di Sigonella per uccidere Chouchane, la “mente” dell’attacco al Museo del Bardo di Tunisi in cui vennero uccisi anche 4 cittadini italiani ma nessun americano.
Il dato più rilevante è però che la Libia resta abbandonata a se stessa e al dilagare dell’Isis e neppure l’eventuale insediamento del nuovo governo di unità nazionale, che per ora resta a Tunisi in attesa di legittimazione, sembra promettere sviluppi positivi nella guerra ai jihadisti. Il premier Fayez al-Sarraj ha infatti condannato il raid di venerdì scorso contro il campo dell’IS a Sabratha come una violazione della sovranità libica. Un segnale che non induce a ritenere che quell’esecutivo, se mai si dovesse insediare, muoverebbe guerra all’Isis come invece auspicano le Nazioni Unite.
D’altra parte al-Sarraj sogna di insediarsi a Tripoli, città infiltrata dallo Stato Islamico e dominata da milizie jihadiste salafite e dei Fratelli Musulmani. Forze che sulla carta controllano gran parte della Tripolitania inclusa la regione di Sabratha ad appena 70 chilometri dalla capitale ma che, guarda caso, non hanno mai attaccato il campo dello Stato Islamico dove sono stati addestrati migliaia di jihadisti tunisini e algerini, a conferma delle ampie collusioni tra i diversi movimenti islamisti libici.
Del resto neppure Washington vuole farsi coinvolgere nel pantano libico, dove vorrebbe invece vedere impegnati italiani ed europei. Basti pensare che i “piani di guerra” emersi dai media statunitensi nelle scorse settimane si basano su una campagna militare leggera con raid aerei mirati affidati a pochi velivoli, incursioni di forze speciali e addestramento di milizie libiche anti-Isis. Cioè la stessa strategia fallimentare adottata dalla Coalizione in Iraq e Siria che ha dato risultati eufemisticamente definibili limitati. Una guerra inconcludente che regalerebbe nuovi adepti alle milizie del Califfato che dovrebbero invece venire affrontate, in Libia come in Iraq e Siria, con una schiacciante forza aerea, terrestre e navale che le annienti in tempi brevi e in modo devastante. Una guerra vera che in Occidente nessuno ha più la capacità politica e sociale di combattere.